lo spunto
Dall'Eurovision al Consiglio d'Europa. I grandi eventi trasformeranno Torino?
Dopo il contest musicale, ora tocca alla diplomazia europea. Oltre alla Finale di Champions femminile e al Salone del libro. "Bello essere sotto i riflettori, ma adesso serve un'identità chiara". La versione di tre torinesi d'eccezione
In queste ultime settimane pensi a un grande evento in Italia e non hai neppure bisogno di conferme: quasi sicuramente avrà luogo a Torino. La riunione dei ministri degli Esteri del Consiglio d’Europa, il Salone del libro, la finale di Champions femminile, una tappa del Giro d’Italia, il primo contro festival dell’Economia targato Laterza e Boeri (dopo la scadenza della convenzione con Trento). Addirittura le riprese di Fast & Furious sul lungo Po e in centro (dopo che la stessa cosa era successa a Roma). E’ la coda lunga dell’Eurovision. Che ha rimesso la città sulle cartine del continente. E che ora sembra averci preso piuttosto gusto. Se è vero che da subito, per le vie del capoluogo sabaudo, s’è avvertito che qualcosa fosse cambiato. Come se si fosse invertito un ciclo. Stanchi di un’immagine decadente, remissiva, che l’ha contraddistinta quantomeno nell’ultima decade. Prima con la crisi del 2008. Poi con l'irruzione dei Cinque stelle al governo della città. Anche se saltare a conclusioni affrettate sarebbe sbagliato.
Almeno così la pensa l’ex sindaco Valentino Castellani, che abbiamo sorpreso a curiosare tra gli stand degli editori al Lingotto Fiere, dove da giovedì è iniziata la 34sima edizione del Salone del Libro. “Una kermesse che oramai ha acquisito una rispettabilità propria, e non ha niente da invidiare a quella più istituzionale di Francoforte”, dice l’ex primo cittadino. Rimasto quest’anno piacevolmente incuriosito dallo sciamare di centinaia di scolaresche, ragazzini, in quella che è un’edizione da record per numero di visitatori e spazi espositivi. E’ il segnale di una nuova, definitiva, rinascita di Torino? “Devo ammettere che si avverte una certa energia. E tutti questi eventi alimentano un clima diverso”, ragiona Castellani col Foglio. “Sto sentendo spesso in giro, in questi giorni, la percezione per cui si sarebbe tornati allo spirito delle Olimpiadi invernali del 2006. Ecco, io tendo a pensarla in maniera diversa. Questo è il momento in cui Torino, che è abituata a volgere lo sguardo all’indietro, deve mirare in avanti. Ripensare la propria identità, e completare quella transizione da città post-industriale che è stata troppe volte interrotta. Perché è certo che le grandi manifestazioni come l’Eurovision servono a farti conoscere, far apprezzare la tua bellezza, avere delle ricadute economiche immediate. Ma questa deve essere l’occasione per andare oltre: avere chiaro cosa saremo tra 25 anni”.
E qui si apre tutto un lungo e intricato dibattito su quale sia la direttrice dello sviluppo di una città che si è sempre concepita come un crogiolo industriale. E poi, quando la Fiat ha progressivamente perso radicamento nel territorio, si è trovata un po’ in mezzo al guado. “Io credo che Torino debba rendersi conto delle sue specificità, coltivare delle nicchie di eccellenza”, sottolinea Castellani, sindaco dal 1993 al 2001. Una di queste potrebbe essere per esempio il settore aerospaziale, per cui è prevista la nascita di una “Città dell’aerospazio”: costruita nel nord della città, al confine con Collegno, vi farà parte anche un acceleratore di start up della Nato e porterà 5mila posti di lavoro. Un investimento da oltre un miliardo e mezzo di euro.
Eppure uno spazio importante, da qui ai prossimi mesi e al di là del cartellone degli eventi, ce lo avrà la capacità di tenere assieme pezzi molto distanti di Torino. Il centro e la cintura, le due città, “una che fa sempre festa, l’altra che è un esercito di poveri”, come l’ha efficacemente dipinta il vescovo uscente Cesare Nosiglia qualche anno fa. "Ma anche questa narrazione è superata. Perché i ricchi a Torino sono sempre meno", racconta don Luca Peyron, nipote di Amedeo, sindaco democristiano negli anni 50. "Oramai è una città che non produce alcuna ricchezza, ma consuma ricchezza vecchia, legata a un patrimonio immobiliare il cui valore è sempre più sotto i tacchi". Il cappellano degli studenti del Politecnico ha osservato la città negli ultimi giorni, "e quello che ho visto è una gioventù contenta. Ma non è che possiamo vivere di narrazioni e ubriacature".
“Perché siamo tutti contenti dell’esposizione che abbiamo avuto con Eurovision”, concorda Paolo Giovine, imprenditore digitale che è ritornato a vivere sotto la Mole dopo le esperienze fortunate, tra gli altri, a Kataweb e Radio Deejay. “Ma adesso dobbiamo dimostrare di essere in grado di costruire cose che non siano frutto dell’improvvisazione, di colpi di fortuna”.
Molto risalto hanno avuto le foto del Parco del Valentino. Centinaia di migliaia di persone che hanno popolato il salotto verde della città come mai era accaduto nel post pandemia. “Ecco, solo da noi fa notizia che i ragazzi, dopo due anni di Covid, vogliano divertirsi. E per di più gratis. Il vero cambio di attitudine – racconta ancora Giovine – lo faremo quando usciremo da un certo provincialismo e considereremo questi eventi come la normalità. A Londra nemmeno se ne accorgevano che c’erano le Atp Finals”. Piuttosto, la grande sfida è contribuire all’attrattività di una città che per adesso, lo dicono le statistiche, viene vissuta quasi unicamente come una tappa di passaggio. Certo c’è stato un incremento dei flussi turistici, dovuti anche all’aumento dei voli Ryanair. Per cui spesso chi trova un biglietto a basso costo decide di farci un salto di un paio di giorni, girovagare per la città. Anche se Torino rimane esclusa da gran parte dei pacchetti turistici dei tour operator internazionali, che prediligono piuttosto le Langhe.
E poi ci sono gli studenti universitari, che si aggirano sulle 100mila unità. E però allo stesso tempo il tasso di disoccupazione tra i 18 e 24 anni è da sud Italia: 30,4 per cento. Ragion per cui, nonostante i prezzi delle case e il costo della vita siano notevolmente inferiori rispetto a Roma e Milano, molti scelgono una volta terminati gli studi di andarsene. “Credo che se non si affronterà questa realtà, qualsiasi fermento scatenato dai grandi eventi sarà vano. Perché i giovani hanno bisogno di scuole e servizi che funzionino. Ma soprattutto di lavoro”, dice ancora Giovine. “E anche in questo, rincorrere Milano non avrà molto senso. Dovremo capire già da adesso cosa vogliamo essere, ma scegliendo una strada tutta nostra. Non si possono tenere aperte mille possibilità diverse com’è stato finora”.
Il premier Draghi a inizio aprile è venuto a Palazzo di Città a firmare il “Patto per Torino”: oltre un miliardo di euro di finanziamenti da erogare da qui ai prossimi vent’anni, con una buona dote di interventi infrastrutturali che andranno a toccare soprattutto quartieri popolari come le Vallette. Serviranno a dare una veste precisa al futuro della città? Che nel frattempo, anche grazie a Eurovision & Co, sembra dire: fatemi splendere. "Questi eventi ci hanno detto quello che possiamo diventare, non sono un modo per descrivere quello che siamo", è la chiosa di don Luca. "Pensiamo che tutto ci sia dovuto. Ma se siamo meno attrattivi di Milano è solo colpa nostra. Il nostro problema è stato credere che la cultura monofabbrica fosse eterna. Cosa ci rende ottimisti? Sapere di avere una creatività e una capacità di pensiero fuori dalla norma". Tocca allora a Torino, anche al suo inossidabile Sistema, decidere ora cosa fare.
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