la repubblica dei gabibbi
Blanco molestato? Più codice penale e meno giustizia sommaria, please
L'unico che può decidere se la mano addosso al cantante in Piazza Duomo è passibile di reato è un giudice, non il rito mediatico dei talk e dei social network. Ripassino per editorialisti ciatroni
Se la mano morta è quella di un uomo che tocca il culo a una giornalista fuori dallo stadio, è violenza sessuale. Se la mano morta è di una fan che tocca il pisellino alla rockstar, è una semplice molestia. A deciderlo è il pubblico della rete, gli editorialisti cialtroni, i commentatori populisti che hanno più urgenza d'esprimersi che voglia di consultare il codice penale dello stato in cui vivono. Perché scomodarsi? E quindi scrivono che sì, è sbagliato che una donna si comporti come un uomo, è una indiscutibile *molestia*, però quante storie: il sesso, la droga, il rock&roll. Altri pensano alle intenzioni (ricostruite da una mano e dal proprio ombelico: gli scrittori sono cartomanti). Altri riconoscono che è un bene che la sensibilità sia cambiata grazie alla generazione Z (quella che ha meno voglia di scopare di sempre, aggiungo io) e che condanna senza appello la mano morta (ammesso ci sia qualcosa di veramente sessuale nel palpare le palle in quel modo: dobbiamo considerare anche Benigni e Fiorello come dei Bill Cosby a piede libero?).
Le leggi italiane però non seguono le logiche del pubblico di Forum né le diatribe culturali nello scontro tra cancelletti. Il confine tra lecito e illecito non lo decide l’applauso o il numero di cuori né l’umore di chi commenta. Vi sembrerà esagerato ma sulla carta questo caso, quello che riguarda Blanco, rientra nel reato di violenza sessuale. Il bene giuridico tutelato dalla molestia è infatti l’ordine pubblico, il bene giuridico tutelato dalla violenza sessuale è il diritto di poter disporre liberamente del proprio corpo. A parte i casi più gravi, per cui si procede d’ufficio, serve una querela di parte: cioè se mi tocchi il culo sono io a decidere, secondo la mia suscettibilità, se denunciarti, fregarmene o farti un video per lamentarmi coi gabibbi della rete (un tempo ci si divideva tra chi scriveva al giornale e chi a Capitan Ventosa, ora scrivono tutti alla Lucarelli). Se quindi siete su un treno e accarezzate una gamba a uno/a che vi piace dovete saper leggere i segni. Può finire o in una scomoda sveltina in bagno o in una scomodissima trafila in tribunale. O peggio: sputtanati online.
Non è il diritto penale a ignorare le vittime, sono le vittime che ignorano il diritto penale (e pure gli editorialisti ci si impegnano). Non siamo tutti uguali: Enrico Ruggeri e Damiano dei Maneskin reagiscono in modo diverso. Se uno sconosciuto mi tocca il fiorellino la mia prima reazione è chiedergli dei soldi, la reazione di un altro forse è tirare un pugno o più probabilmente intimorirsi (dal momento che gli uomini più che esser tossici sono le nuove fighe). Se un villano tocca il culo a una ragazza lei può querelarlo, là dove Natalia Aspesi da giovane avrebbe tirato un colpo di fianco, oggi forse un’ombrellata. In questi anni abbiamo tanto discusso di consenso come se il sesso fosse un questionario a crocette, il risultato è che gli ultimi che hanno ancora voglia di farlo sono gli Alpini e i marocchini in piazza per Capodanno.
Le leggi esistono per tutelarci. È un bene che ci sia modo di difendersi in sede legale, ma non significa che se c’è un reato c’è per forza una vittima. Il motivo per cui non si procede d’ufficio per un caso come questo di violenza sessuale non aggravata è che se tutelo la tua libertà sessuale devi essere tu a dirmi se è stata violata. In un momento storico in cui tutti ci sentiamo continuamente vittime, e ogni dolore, violenza, sofferenza è indistinguibile e sempre gravissima, è sempre più complicato. Sì, il comportamento che vediamo è un ipotetico reato di violenza sessuale, ma questo significa che siamo noi a decidere?
L’obiezione in genere è che diffondere video e commentarli serve a educare, sensibilizzare, accendere una luce. Qualche giorno fa girava su Twitter il messaggio di due ragazze lesbiche di Bologna che chiedevano aiuto per identificare un ragazzo che le avrebbe infastidite e palpeggiate. La foto del ragazzo veniva diffusa allegramente. La discussione? Da "che vergogna!" a “siamo perseguitati” fino a “facciamo girare la foto per evitare questa persona”. Discutiamone: la presunzione di non colpevolezza è un orpello del passato? Che fare se quel ragazzo non è responsabile: si procede per calunnia collettiva? Vivremo sempre più in un mondo in cui i vigilantes si aggirano con torce e cellulari e raccolgono prove di abusi da spedire al foro competente, l’influencer di turno togata, per avere giustizia sommaria virale?
Forse la battaglia di condurre il rituale giudiziario secondo i crismi dello stato di diritto è persa in partenza, e ha ragione Guido Vitiello quando proprio su questo giornale scriveva che serve un codice garantista per disciplinare il rito mediatico: “Il processo penale si svolgerà direttamente in uno studio televisivo e nelle forme di uno show”, o in un video su internet. Per il giudice basterà un gabibbo?
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