Perché il gelato è un italico vanto
Date retta a me, è la salvezza della nostra Italia. Per cui non fate gli schizzinosi e sfoggiatelo come uno status symbol
Da che mondo è mondo, il simbolo più diffuso del lusso (e quindi più importante) è il gelato. Stando a quello che ci raccontano i libri di storia, i primi rudimentali antenati di questa pietanza divina sono rintracciabili in Cina fin dal 2000 a. C.: all’epoca si trattava di un misto di latte, spezie e riso stracotto che si immergeva nella neve per farlo solidificare. Durante l’epoca della dinastia Tang, che regnò sulla Cina per quasi tre secoli tra il 618 e il 907 d. C., la preparazione si evolve: il riso viene sostituito dal kumiss, latte scaldato e fermentato, addensato con farina e insaporito con foglie di canforo. Il passo successivo, tra il 1200 e il 1300, è la diffusione di dolci a base di frutta e latte ghiacciati. Proprio in quel periodo c’è un italiano che si aggira per le strade di Pechino, il veneziano Marco Polo. Il mercante nota che tra i cinesi questo protogelato va a ruba e decide di portare l’idea anche in Italia, compiendo uno dei più significativi, radicali e apprezzati atti di appropriazione culturale nella storia dell’umanità e dell’alimentazione.
Marco Polo torna in patria mentre il mercato italiano sta vivendo un boom economico senza precedenti, grazie ai venali fiorentini che nel frattempo si erano inventati le banche, e così il gelato diventa un esotico, irrinunciabile e costoso status symbol. Esotico perché veniva dal Catai. Irrinunciabile perché se non lo mangiavi non eri nessuno. Costoso perché, per realizzarne una pallina, occorreva consumare – tra le altre cose – un’enorme quantità di ghiaccio che andava messa non solo nel composto, ma anche sotto la coppa in cui si mescolava il tutto, per tenerla costantemente refrigerata. Quindi gli italiani, oggi come allora, sfoggiano i loro preziosi gelati, consapevoli che quella deliziosa pallina di crema è l’ultimo baluardo dell’autostima di un’intera nazione, l’unica ragione per cui ancora valga la pena sopportare le tasse, l’irrilevanza sul piano internazionale e il caldo umido.
Ho viaggiato parecchio e il gelato è la mia ragione di vita, quindi posso dirlo senza timore di essere smentito: in Italia abbiamo il miglior gelato del mondo. Non avremo un’economia forte né una diplomazia astuta, ma in compenso a Milano in via Spadari, la via Montenapoleone del gelato, ci sono Peck e Ciacco a neanche trenta metri di distanza. Se andate da Peck, vi consiglio di assaggiare l’imperdibile gusto Fragolina di bosco. Se invece preferite Ciacco, allora avete il dovere morale di prendere la Crema del Miracolo, una crema al latte con grano tostato infuso.
Qualcuno di voi mi farà presente che il gelato non è sufficiente a tenere alto l’orgoglio nazionale perché, nonostante gli splendidi gelati di Peck e Ciacco, in Italia il salmone ha le strisce bianche di grasso e la cultura è più autarchica che in Algeria, tant’è che quando un nostro rapper va all’Eurovision sembra un giocatore di curling della Bielorussia che va a Mosca per i giochi invernali. Qualcun altro mi dirà che accontentarsi del gelato vuol dire far la fine dell’orso polare testimonial del global warming: condannato all’estinzione, in precario equilibrio su una piccola lastra di ghiaccio alla deriva. Ma io sono pronto a morire per ribadire questa verità: il gelato è la nostra salvezza, un po’ come scopare nelle Filippine.
Come saprete, il regime instaurato a Manila da Duterte ha messo in ginocchio il paese. Ormai nulla è permesso: no droga, no libertà, no scala sociale, no nulla. L’unico sport nazionale è scappare dai poliziotti e dai loro cani con la rogna che ti sniffano il buco del culo in cerca di crystal meth. La sua sanguinaria war on drugs, che tra il 2016 e il 2019 ha ucciso circa 30 mila persone, sta arrivando a delle punte di macabra assurdità, perché le vittime di questa cruenta strage politica non stanno tranquille neanche da morte. Infatti, a cinque anni dalla sepoltura, scade il leasing sulla tomba, ragione per cui questi cadaveri vengono riesumati e buttati in fosse comuni, per far spazio ad altri morti. Il tutto senza avvisare i familiari.
Nell’incubo totalitario di Duterte, ai poveri filippini non resta che scopare. Come a noi italiani non resta che goderci il gelato migliore del mondo.
Politicamente corretto e panettone