Saverio ma giusto
Non puoi hackerare ciò che non è digitalizzato. L'arma segreta del "deep state" italiano
I filorussi Killnet hanno invitato il governo ad aumentare gli stipendi della squadra del Csirt, i nostri specialisti di cybersicurezza. Bravi, senza dubbio, ma come possono gli hacker sabotare qualcosa che è già mal funzionante di suo? Per non parlare della quantità di scartoffie che lotta insieme a noi
Hacker russi contro l’inflazione: ieri, nello stesso giorno in cui l’Istat ha certificato l’aumento generalizzato dei prezzi (+6,9 per cento a maggio) – e l’Ocse qualche giorno fa ha diramato i dati che dimostrano che i nostri stipendi sono bloccati al 1990 (i nostri salari sono talmente inadeguati che alcuni vengono ancora corrisposti in lire) – su Telegram il gruppo di hacker filorussi Killnet ha invitato il governo italiano ad aumentare lo stipendio “di diverse migliaia di dollari” alla squadra del Csirt (Computer Security Incident Response Team), gli specialisti che lavorano all’agenzia di cybersicurezza nazionale italiana, perché – secondo le recensioni lasciate dal nemico – sono “eccellenti” e “bravi professionisti” nel respingere gli attacchi russi al nostro sistema informatico. Domenica, il Csirt aveva alzato il livello di guardia sugli obiettivi digitali sensibili italiani: erano stati annunciati dalla propaganda russa “devastanti attacchi all’Italia” nella giornata di lunedì 30 maggio – del resto, da attaccare il Donbas agli attacchi DDoS è un attimo, basta fare click sulla tastiera invece che sul grilletto.
E invece, qualcosa non ha funzionato: i nostri siti, per la precisione. Lunedì 30 maggio il sito di Poste italiane è effettivamente andato in tilt, ma per un guasto tecnico dovuto ad aggiornamenti di manutenzione. Il mal funzionamento della rete italiana e dei nostri siti internet è una garanzia per la nostra cybersicurezza: come possono gli hacker sabotare qualcosa che è già mal funzionante di suo? Se un hacker russo mettesse le mani su un sito governativo l’unico rischio che correremmo è che improvvisamente funzioni. Il discorso è sistemico: se aeroporti e stazioni italiane dovessero andare in down a causa di attacchi informatici, il traffico aereo e quello ferroviario subirebbero ritardi clamorosi, cioè una giornata normale per qualunque viaggiatore italiano in perenne attesa del proprio treno o aereo in ritardo.
Ma non possiamo riposare sugli allori: di fronte a una cyber emergenza sempre più concreta, possiamo e dobbiamo rafforzare la difesa dei nostri dati e delle nostre infrastrutture digitali. Ricorrendo a una grande tradizione nazionale, una gloriosa riserva di stato che pur se appannata dalla retorica dei tempi fortunatamente non è mai stata del tutto dismessa, continuando a operare nell’ombra: la carta. Nonostante siano decenni che in Italia sia in corso un processo di digitalizzazione, questa “elettronicizzazione” del paese ha tempi geologici; e quindi sono ancora vive e lottano insieme a noi le carte, le scartoffie, i plichi. Il deep state italiano sono le raccomandate, le pratiche, i fascicoli, gli incartamenti, le carte bollate, i fogli; il deep web italiano è di carta.
Il Metaverso in Italia esiste già: è una copia cartacea del mondo reale. E come possono i russi hackerare la cellulosa? Al massimo possono arrivare ad attaccare e mandare in tilt stampanti e fotocopiatrici; ma vorrà dire che faremo tutto a mano – sistema per altro ancora in uso in molti uffici e realtà produttive del paese. Certo, la carta costa cara (e in generale tutta la cancelleria mica te la regalano); ma del resto si tratta di un’emergenza, e a mali estremi estremi rimedi. Dopotutto l’Italia è ancora digitalmente arretrata: sfruttiamo questo nostro limite trasformandolo in una risorsa, in un super potere! Si cessi dunque la produzione di carte d’identità elettroniche; e si torni all’autocertificazione scritta a mano come durante il lockdown.