Nè processo Tik Tok né linciaggio
Per fortuna che c'è il verdetto. Depp vs Heard, con ordine
Se c'è una cosa da imparare dal processo dell'anno, è che il moralismo e la tifoseria non servono, ma giustamente vengono fermate fuori dall'aula di tribunale. E che l’unica verità, provvisoria, nei rapporti tra uomini edonne, quando sono conflittuali, è la loro natura giuridica
Non siano tutti dei Perry Mason, come direbbe Littizzetto, però tutti quanti una cosa semplice dovremmo averla capita, dal Johnny Depp vs Amber Heard trial. O almeno lo hanno capito quelli di noi che andranno a votare ai referendum per una giustizia più giusta. E cioè che c’è stato un processo – rapido, sei settimane – che ha stabilito che una delle due parti, quella che aveva chiamato in giudizio per diffamazione l’altra, ha ragione. E l’altra ha torto. Questo è stato stabilito oltre ogni ragionevole dubbio – spiegato alle tricoteuses, significa: per ciò che può stabilire un tribunale, non è la verità storica né quella divina. Ed è stato stabilito al di là di qualsiasi opinione si potesse avere sul courtroom drama dell’anno: su Depp, su Heard, sui rapporti tra coniugi, sulla violenza domestica e persino sulla disparità di genere e il relativo gap di credibilità sociale. Johnny Deep, che aveva denunciato l’ex moglie Amber Heard per diffamazione, è stato diffamato. Ciò che dovremmo avere imparato è che la verità processuale è l’unica che conta. Il resto, quando va bene, è dibattito. Spesso è sopruso. Esiste il diritto a non essere diffamati, persino se sei maschio e ti chiami Johnny Depp, così come esiste il diritto a non essere derubati, uccisi.
Attorno al processo c’è stato un eccesso di clamore morboso? Sì. C’è stata una violenta polarizzazione di opinioni? Sì. Ed è stata, si è scritto, determinata da (s)ragioni di genere: uomini senza dubbi a favore di Depp, in molti casi aggressivi; donne sicure che andasse smascherato il maschio violento. La rivista The Cut aveva pubblicato un articolo che si domandava retoricamente “perché così tanta gente crede che Amber Heard sia una bugiarda”, in cui si denunciava il peso di una campagna d’odio contro di lei e la difficoltà a essere creduta. Un editoriale dello scrittore Raven Smith su Vogue si intitolava “It’s time to believe Amber Heard”. Ovviamente prove, prima del verdetto, non ne aveva nessuno. Per fortuna i verdetti esistono.
E’ stato un verdetto emesso “già prima” su TikTok, come è stato scritto? No, nel modo più evidente. Eppure, si è letto che per Heard il processo è stato un linciaggio, una umiliazione. Ora un commento diffuso sul verdetto è che farà retrocedere il diritto di tutte le donne che denunciano abusi. Heard stessa ha detto: “Un ritorno all’epoca in cui una donna che osava parlare contro la violenza domestica veniva pubblicamente umiliata”. E’ vero? No. E’ una prospettiva sbagliata. Amber Heard non è stata vittima di un linciaggio, ma giudicata in tribunale. Se Depp non avesse avuto diritto a una verifica processale, sarebbe stato lui vittima senza la possibilità di difendersi.
I rapporti tra le persone, tra i sessi, persino tra i gruppi possono sussistere al di fuori del perimetro della violenza perché esiste la giustizia formale: che è molto meglio, e persino molto più bella di ogni convincimento o belluria morale, o di ogni bruttura violenta di gruppo o di genere. Il verdetto Depp vs Heard ha semplicemente ristabilito il concetto che l’unica verità provvisoria, nei rapporti umani e soprattutto quando sono conflittuali, è la loro natura giuridica.