Convivere con un'informazione chiacchierina è la specialità italiana
Ora è il caso delle presunte liste di proscrizione, prima di immigrazione e reddito di cittadinanza: da tempo siamo il paese delle ondate febbrili, dei movimenti moralistici, delle demagogie e del piccolo spirito tribunizio rilanciati dalla comunicazione sociale privatizzata e individualizzata
Demenziale che si faccia scandalo del ritratto giornalistico che il Corriere ha dedicato al partito di Putin in Italia. Che cosa c’entrano mai le liste di proscrizione? Chiunque può raccontare il partito americano con tutte le sue sfumature, segnalarne i tribuni e gli esponenti a vario titolo, nomi e fotografie. Che cosa c’entra mai la censura? Lasciamo stare i luoghi comuni sui partiti stranieri in Italia, sulla loro proverbiale intercambiabilità, Franza o Spagna, sta di fatto che sono sempre esistiti e non si vede perché non se ne debba raccontare e parlare. La libertà italiana di dire, di dire in modo sbrindellato, anche prima di pensare a quel che si dice, è un assoluto, un tratto che definisce il più spericolato giro o circo d’opinione in Europa; siamo invero un’eccezione, da nessuna parte tante voci, tanti talk-show, tante improvvisazioni incuranti dei fatti, del racconto nudo e profondo. Nell’informazione chiacchierina di massa manca un filo logico, un discrimine tra ciò che è accertato o accertabile e ciò che appare in soggettiva a ciascuno, lo abbiamo visto con la pandemia e i vaccini, lo vediamo con la guerra e le sanzioni; e questo filo logico, questo discrimine è cosa diversa dall’arrogante imposizione di un pensiero dominante, è un argine naturale ai piccoli narcisismi.
L’Italia storica non è la patria dell’opinione pubblica, nata e cresciuta in ambienti illuministi francesi e inglesi, ma delle fazioni. L’evoluzione dei sistemi di comunicazione non fa che amplificare il dato di partenza. E nel caos pescano i mezzi potenti della controinformazione bellica, da una parte e dall’altra, con un di più di specialismo e di attivismo oggi dalla parte degli aggressori. Registrare questo fatto è nelle cose, nessuna falsa indignazione può coprire l’evidenza.
E’ avvenuto per l’euro (basta euro), per l’immigrazione (porti chiusi), per la questione sociale (Reddito di cittadinanza senza avviamento al lavoro), e così avverrà per l’inflazione, il caro carburante, la questione energetica, l’esportazione: cavalcare paure e disagi nella pista del circo è fenomeno tipicamente nostro, che fa di noi avanguardia spicciola e precaria dei populismi di tutti i tipi, basta non scambiarlo per un’opinione pubblica.
Scuola, funzione degli intellettuali e degli esperti d’accademia, stampa globalizzata in grado di leggere almeno in parte il mondo e la nazione, una televisione documentaria e fattuale, élite capaci di una guida anche psicologica e morale, un abito di severa compassione, di pietas, al posto di una generale e pluriversa empatia, sono questi i tratti e i costumi propri di una società ispirata dalla propria opinione pubblica. Nello stato liberale unitario l’opinione pubblica era ristretta, il fascismo e la Repubblica hanno alimentato il circuito e il circo di massa delle bellurie di fazione, e da quella originaria ristrettezza in realtà non siamo mai usciti. Salvo che un tempo i partiti e i loro criteri di politica e cultura in conflitto offrivano una base e un sostrato a una certa stabilità e serietà del sentire comune. Tutto questo è disperso, e da tempo siamo il paese delle ondate febbrili, dei movimenti moralistici, delle demagogie e del piccolo spirito tribunizio rilanciati dalla comunicazione sociale privatizzata e individualizzata. E’ un tributo, pericoloso quanto si voglia, all’informalità e al carattere un po’ effimero del nostro modo di essere stato e nazione e società. Bisogna conviverci, senza menare scandalo per chi lo racconta e senza dargli troppa importanza, specie quando la linea di marcia, in uno scenario senza alternative, è quella giusta, nonostante la caciara.
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