Il reportage
Venezia sullo scalino dei 50mila abitanti. Il preludio alla città-museo
Stop ai negozi di paccottiglia, ingressi su prenotazione. Ma oltre alle manovre tardive, ecco la proposta inedita per frenare l'emorragia demografica: “Una piattaforma per riattivare la comunità oltre il turismo”, ci racconta Venywhere. “C'è forse città migliore per i nomadi digitali?”
Cartello '49.999' sul ponte dell'Accademia, di fronte alla basilica della Salute
Cartello '49.999' in campo San Giacometo
Il 'contaveneziani' della farmacia di campo San Bortolo. Dati aggiornati a maggio
Veduta del centro storico di Venezia dalla Scala Contarini del Bovolo
Locazioni turistiche in Rio de San Giovanni Laterano, a fianco della libreria Acqua alta
Tramonto su Venezia dai Giardini della Biennale
L'Hotel Combo ai Crociferi, una delle strutture coinvolte nel progetto Venywhere (foto Venywhere)
Il dipinto realizzato dallo street artist Chrprn sul retro di Piazza San Marco
I cartelli apparvero nella notte. Opera di ignoti, come in un noir metropolitano. Sui ponti, sugli angoli delle case. Con il font dei nizioleti, i lenzuoletti murali che da secoli contraddistinguono la toponomastica veneziana. E una cifra, sempre la stessa: 49.999. Memento mori lagunare. Tempo poche settimane e il centro storico scenderà sotto la soglia psicologica dei 50.000 residenti. Si stima tra luglio e agosto, proprio quando verrà sperimentato l’ingresso su prenotazione – dall’anno prossimo prevista anche una tassa di sbarco obbligatoria – per i visitatori giornalieri. Di fatto, il preludio alla città-museo. Ma anche un palliativo essenziale per tamponare la fiumana turistica, di nuovo a pieni giri dopo la pandemia. Come e peggio di prima. “Eppure, per noi questa è la grande occasione di invertire la tendenza”, garantiscono gli isolani. “E tracciare una Venezia altra”.
Canali di stress
Tutto è a misura di vacanziere, nella città d’acqua. Secondo canoni sempre più low-cost: il biennio di crisi ha congelato le rotte del lusso, a vantaggio dell’indolente mordi e fuggi. Una fresca opera di street art dietro Piazza San Marco la chiama “generazione wonder lost”, dello stupore dimenticato. Sul lato dell’offerta, il riflesso è duplice: di giorno i negozi di souvenir, di notte le locazioni turistiche. A macchia d’olio, asfissiando artigianato locale e aree abitate. È una criticità condivisa da tutte le città d’arte. Ma a differenza di Roma o Firenze, Venezia non ha periferia. Manca di continuità fisica: finito il centro storico c’è la laguna. Poi isole. Poi ancora laguna.
Per questo si fa appello all’eccezionalità, pur di sopravvivere. E bloccare quelle cellule tumorali di tessuto urbano “che generano esternalità negative estese”, come spiegava su queste pagine Marco Percoco, consigliere economico di Draghi. Ad aprile un’ordinanza comunale ha vietato nuove aperture di attività commerciali legate alla paccottiglia per i prossimi tre anni: “La prima delibera del genere in Italia”, dichiarano i fautori a La Nuova Venezia, “con il codice Ateco come discriminante”. Nello stesso periodo le autorità locali si sono rivolte al ministero dell’Istruzione per chiedere uno status speciale per le scuole: spesso non ci sono abbastanza bambini per formare le classi. È l’immagine di una popolazione che invecchia, emigra, non trova più casa. Perché il business degli affitti a breve termine la fa da padrone. E in questo caso, intervenire sul quadro normativo senza una regia nazionale è più lungo e intricato. Venezia, intanto, si fa Airbnb.
Innovazione salvagente
Lo mostrano i dati. Secondo la Regione Veneto, i 15mila posti letto che le strutture ricettive non alberghiere disponevano in centro storico nel 2016 sono più che triplicati: oggi si avvicinerebbero a quelle 51.134 unità segnate dall’iconico orologio ‘contaveneziani’ di campo San Bortolo. È in questo contesto che si colloca l’iniziativa privata. Tra fondazioni e ricerca universitaria, tra multinazionali e associazionismo civico: l’altro frutto della primavera lagunare è Venywhere, la piattaforma creata “per riattivare una collettività lavorativa che vada oltre il turismo, tramite l’innovazione tecnologica”, spiega al Foglio Massimo Warglien, docente di Economia a Ca’ Foscari e ideatore dell’iniziativa. Il concetto è semplice: quale città meglio di Venezia, per le categorie emergenti dei workers from anywhere e nomadi digitali? “Siamo partiti con un progetto pilota insieme a Cisco”, leader mondiale di networking e IT, “con 16 dipendenti europei trasferitisi qui per qualche mese. Dal prossimo autunno coinvolgeremo anche i freelance: la domanda è forte, la pandemia ha sdoganato lo smart working ed è appena stato approvato un decreto che faciliterà il rilascio dei visti per i lavoratori internazionali qualificati. Appena ingraneremo, contiamo di coinvolgere diverse centinaia di persone all’anno”. Più o meno quante ne perde la città. Ripopolare Venezia attraverso l’immigrazione colta significa anche colmare “un enorme buco nella nostra piramide demografica: la popolazione attiva fra i 30 e i 45 anni. Tre quarti dei volontari appartiene a questa fascia d’età. La sfida è integrarli al tessuto urbano”. Qui entra in gioco Venywhere, individuando spazi lavorativi e servizi associati alla quotidianità autentica. Dalla cultura allo sport.
“Quando i nuovi arrivati non sopporteranno più le calli intasate dai turisti, ecco i nostri cittadini temporanei”, sorride Carlo Santagiustina, ricercatore per il progetto di collaborazione tra Ca’ Foscari e Cisco. “Alcuni si fermeranno qui, altri torneranno indietro portando con sé questa esperienza: sogniamo una comunità veneziana allargata e itinerante”. Ma come superare l’ostacolo immobiliare? “Venezia soffre un mercato asfittico sul medio termine. Eppure, almeno il 10 per cento dei 4.500 appartamenti destinati al turismo risulta sfitto o sottoutilizzato: il margine per dirottarli sui lavoratori c’è. A prezzi accessibili. Segnalando queste inefficienze allocative, ottimizziamo il matching tra domanda e offerta”. L’altro tassello è il dialogo con la città. Soprattutto fra i giovani: ci mette la faccia Marco Paladini, archeologo, sulla trentina come Carlo, alle spalle una webserie in dialetto e davanti l’identità di Venywhere. “I soggetti da noi coinvolti non saranno mai in competizione con chi ha sempre vissuto qui”, dice il testimonial, “ma rappresentano una risorsa complementare, equilibrante per l’intero territorio. Venezia e le associazioni cittadine lo stanno capendo. Occorre sinergia tra chi ha mezzi e retroterra differenti, un percorso comune per un fine condiviso”. Salvare il centro storico. “Il nostro è un approccio inedito a un’enorme problematica: da soli, senza interventi di residenzialità pubblica, non andremo lontano”.
E saranno cartelli, 49.999. Ce n’è uno anche sulla colonna di San Giacometo, là dove si dice che 1601 anni fa sia stata fondata Venezia. Sopra vi dorme un gatto solitario (anche loro sempre di meno: una città morente mica può essere felina). Sembra un prodigio. Quasi la Piazza grande di Lucio Dalla: “E se non ci sarà più gente come me…”.
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