Via Taranto e la corsa dei camerieri con il vassoio in mano, anni '50

Ode ai camerieri e alle cameriere, motore della gioia conviviale

Giuliano Ferrara

Sono un campionario di tipi originali, ti gratificano, ti fanno sentire un signore. Sono la condizione necessaria e sufficiente del culmine indiscusso della vita associata. Andrebbero pagati il doppio

I camerieri e le cameriere andrebbero pagati il doppio di quello che è. Sono benefattori dell’umanità, una professione che meriterebbe il bollo dell’Unesco. Mia madre disprezzava chi tratta male un cameriere, e aveva ragione. Alla vecchia Campana di Roma, che ancora profuma o puzza del pellegrinaggio cinquecentesco di Montaigne, mi chiamavano tutti “professore”, me che non sono nemmeno laureato, e quel titolo sulfureo, gradevolmente ruffiano, me lo godevo carnalmente, altro che dottore o ministro, in sorniona compagnia dei miei amici garçons tutti rigorosamente di Leonessa, a un tiro di schioppo da Amatrice, me lo assaporavo come i supplì croccanti e bianchi, qualche volta spolverati di tartufo d’Alba. Mai avuto bisogno di chiamare un cameriere o una cameriera, compito tecnicamente impossibile (garçon è ridicolo, cameriere è stupidamente tautologico, scusi è timido). Mi è sempre bastato alzare lo sguardo con attenzione umanistica al contatto personale. 

Non ce n’è uno, camerieri e cameriere, che sia uguale all’altro. Sono un campionario di tipi originali, ciascuno con il suo trotto, la sua camminata, i suoi piedi leggermente piatti, la sua inclinazione alla gentilezza o a un burbanzoso ritegno. Il cameriere ti gratifica, ti fa sentire un signore. Specie se le donne della tavolata non intralciano la comanda con petulanza e pentimenti e lasciano a te, maschio e molto professore, il compito di parlare con loro e mediare i desideri confusi. Un cameriere romeno ha salvato la mia bassottina caduta in un piccolo dirupo maremmano nei dintorni del ristorante e incapace di risalire, capite il bene che gli voglio. Il cameriere francese è così pretenziosamente professionale da intimidirti per l’orgogliosa precisione del suo allonsanfan de la bouffe.

Il ciuffo del cameriere, il mezzo abbigliamento di rigore, sempre più casual ma impeccabile per definizione, i capelli bianchi della sua persistenza e lealtà, gli occhi che ti riconoscono e sono avidi di giusto riconoscimento, la tristezza dell’imminente pensionamento e il ritorno felice per qualche turno dopo la conquista di un giusto riposo, la mobilità tra i tavoli, uno spettacolo che vale qualsiasi cena o pranzo fuori, in qualsiasi città o borgo, con un comune tratto internazionalista che li fa uguali nella diversità delle lingue e degli stili, il civettuolo attrarti e ritrarsi delle giovani di sala e di cucina, i ragazzi stanchi in pieno apprendistato della fatica, condotti dai maestri del genere, che mondo meraviglioso il mondo del servizio a tavola.

Tutte quelle ore di lavoro stremante portate con nobiltà d’animo, e i preparativi a noi largamente ignoti, e il dopo, il riassetto delle nostre macchie e molliche; sono, camerieri e cameriere, il motore della gioia conviviale, la condizione necessaria e direi anche sufficiente del culmine indiscusso della vita associata. La loro indifferenza ai culti sociali, un sentimento profondo anche in chi tra loro affetta devozione per il cliente facoltoso, non è cinica, è profondamente morale, si tratti di un power lunch in una steak house o in un giapponese di Manhattan a quattrocento dollari, si tratti di una pizzeria di strada del Testaccio a venti euro. L’internazionale dei camerieri è quel che resta di tutte le Internazionali di classe del nostro passato. La loro fatica è la “lutte finale” per l’emancipazione dell’umanità dalla fame e dalla solitudine, questo regalo che la natura fa ai pochi, ai privilegiati, e dannazione comminata ai più.

Gianni Agnelli era un geniaccio della battuta cinica self incriminating. La sua “Magna Grecia” un complimento dissimulato in insulto sornione, una testimonianza di lacuna profonda nella formazione dell’uomo, che pure era notevole. “Solo le cameriere si innamorano” è il crisma sprezzante su una realtà lusinghiera per gente che dovrebbe essere pagata il doppio, e vedrete che a lavorare ci vengono, perché, lo sappiamo o no, siamo tutti innamorati di cameriere e camerieri.
 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.