La giungla felice

Alice Delgrosso è l'amica geniale e pratica di chi vuole convivere con le piante tra le mura. Oggi il suo canale youtube ‘I giardini di Ellis' ha 115.000 iscritti. Il selvaggio e il casalingo, i terrari e la rivoluzione con il lockdown

Maurizio Baruffaldi

È diventata una specie di star del green d’appartamento. Un’escalation spinta dalla pandemia, un po’ come quella del prendersi un cane. Alice Delgrosso è l’amica geniale e pratica di chi vuole convivere con le piante tra le mura. Oggi il suo canale youtube ‘I giardini di Ellis’ ha 115.000 iscritti, con un video ogni venerdì, oltre al sito omonimo, dove espone e racconta la sua attività di Plant Trainer e Plant Design, ruoli che esporta anche in corsi ed eventi dal vivo. Un’attività iniziata in sordina qualche anno fa, con la produzione di terrari, giardini in miniatura dentro un qualsiasi recipiente in vetro. Come i velieri. O i paesaggi innevati natalizi. Nello stesso periodo si fa un tatuaggio sull’avambraccio, piccola scritta che recita: ‘The real plant lady’. “Lo feci prima dei Giardini di Ellis. Una specie di profezia”. Già sapeva. Già voleva.

  

  

Mi accoglie in un appartamento chiaro e luminoso, dove la folla di piante sembra osservarti, da varie angolazioni, sorniona e solidale. Con noi il compagno Roberto, filmmaker, colui che cura i video e tutta la forma comunicativa, “e solleva i vasi pesanti, e annaffia le piante sospese o scomode” aggiunge Alice. Guardo con partecipazione da profano: accetto e apprezzo la presenza casalinga delle piante grazie a mia moglie, ma non conosco e non esercito.

   

“Ho capito, sei il classico marito che hai paura di lasciare solo in casa con le tue piante.” E con un programma scritto e piantato al frigorifero dalla calamita del souvenir vacanza. “Questo allora è per lei”, e mi passa il libro pubblicato l’anno scorso, ‘Diario di un’aspirante pollice verde. Crea, coltiva e cura la tua giungla felice’.”

 

Il mio primo libro è stato ‘della giungla’.

“È mutuato dal nome anglosassone, per chi non poteva avere un giardino esterno: Urban Jungle. E perché sono soprattutto le piante tropicali, che non tollerano gli sbalzi climatici, a star bene in casa. La provenienza è simile: dove non c’è escursione termica.“

 

Un bel paradosso, che il Tropicale, con tutto il suo immaginario esotico e selvaggio, abbia le stesse abitudini del casalingo. E quando arriva in tavola una brocca con un infuso verde pallido, fatto con le foglie della menta in prima fila sul balcone, le mie associazioni ballano tra il Marocco e il Mojito.

  

C’era una volta.

“C’era un lavoro che non mi piaceva. E una laurea in filosofia. E una casa con Roberto. Iniziamo a portare piante, con lo scopo di rendere bello il nostro spazio. Non avevamo alcuna conoscenza, io le facevo morire tutte, ma abbiamo insistito. Poi faccio un corso sui terrari, che in Italia non realizzava quasi nessuno, mi appassiono, inizio a farli e a venderli. Sono questi, ‘I giardini di Ellis’, che danno il nome a tutto.” Intanto solleva una bella damigiana dal collo lungo, farcita di vegetali.

 

Come funziona la mescita all’incontrario?

“Nessun versamento. Se lo tappi, conserva i suoi elementi, come ecosistema chiuso. Non c’è evaporazione, o meglio dire dispersione, perché le piante sono gli unici esseri viventi che creano il loro cibo, con la fotosintesi.”

 

Nutrirsi di sola luce. Essere spirituale. Ma torniamo sulla terra. E a quel fatidico febbraio 2020.

“A gennaio decido di mollare il mio lavoro. E aprire il canale youtube. Per promuovere la mia attività di terrari, corsi e consulenza di Plant design. Un mese dopo arriva il lockdown. Brutto a dirsi ma per noi è stata un’esplosione. La gente si annoiava: chi panificava, chi prendeva un cane, e chi si accorgeva delle piante. Si stava su youtube, cercando qualche momento di svago, e gli utenti si sono moltiplicati. È diventato un diario di bordo.”

 

Ci sono siti, pubblicazioni, esperti di ogni risma. Cosa succede, di diverso, nel tuo canale giardino?

“Tutto quello che so l’ho imparato mettendo le mani nella terra. Non sono mai stata la maestra, ma ho parlato delle piante maestre. Ho cominciato ad ‘ascoltarle’, mi piace dire così. Una lingua visiva.”

 

Ho un’amica che abbraccia gli alberi.

Alice ride. “Fa molto più fricchettone parlare, alle piante. Ascoltarle, significa sviluppare la sensibilità, verso un essere vivente che comunica. A modo suo. Come si comporta dopo averla innaffiata? Agisco di conseguenza. Non seguo la regoletta, del tante volte, un tot, periodico. Nelle relazioni non ci sono libretti delle istruzioni. Ci vuole impegno. Sforzo. La conferma che hai ascoltato bene, è la foglia. Il fiore, poi, è l’apoteosi. Della soddisfazione. Hai capito di aver stabilito un contatto.”

 

Anche con le piante grasse? A me paiono anonime, tozze, e dispettose.

“Non le conosci.”

 

Verissimo.

“Sono piante che hanno bisogno di poco, di meno, ma devi sapere qual è quel meno. E magari danno fioriture inaspettate, e importanti. Perché poi si uccide per eccesso di amore. Che nella maggior parte dei casi è eccesso di acqua.”

 

Nei video hai quel tono da ‘Care amiche’.

“Si, perché sono all’80% donne, e sono aumentati i giovani.”

 

Poi ci sono i pensieri botanici. Filosofici.

“Ma non c’è teoria interiore. Sono riflessioni stimolate sempre dal confronto con la pianta. Viene naturale, se accetti che sono essere viventi. Un libro che sta a metà tra la crescita personale e un manuale pratico.”

 

Cos’altro va fatto, per una sana relazione?

“Conoscere i nomi, è un atto di gentilezza. Come ti chiami? Cosa ti piace? Sono le due domande necessarie, quando accogli un ospite.”

 

E cosa ti danno, in cambio?

“Intanto lo svuotare la testa dal bombardamento di informazioni e informazioni, è già benessere. Poi ci sono enzimi nella terra che promuovono endorfine… In Giappone esiste il Forest Bathing. A secondo del disturbo, che sia pressione, o colesterolo, al posto della pastiglietta, ti immergi in una foresta, specifica, adatta, per 10/15 minuti. Scientifico, non esoterico.”

  

La vedo una gioia sottile, alla sera, quando mia moglie si è dedicata alle piante. La vedo come a mani a coppa sposta la terra, con delicatezza ed eros. O quando mi chiama, accesa come una bambina, per indicarmi un germoglio, o un lampeggiare di un fiore appena nato.

“Certo, è così. E la nostra giungla ha funzionato quando abbiamo smesso di trattarle come arredamento e rifugio, e a trattarle come amiche, come compagne. Quella che noi chiamiamo ‘La nostra famiglia verde’.”

 

A quanto pare e speriamo, non dovrebbero esserci più costrizioni casalinghe. Il pane ok, torni al fornaio sotto casa, il cane te lo tieni perché ormai lo ami come un figlio, ma la famiglia verde allargata è dura, ed esigente. Come si fa?

“Avverto questo fatica. E così anche il mio racconto si è trasformato. Per esempio, su Instagram, ogni mercoledì, ho una rubrica dal titolo ‘Non piantiamole in asso’, dove pubblico storie con annunci, delle persone che non riescono più a prendersi cura di alcune piante e cercano di scambiarle. Mi faccio raccontare la storia, ‘personale’, della pianta, da regalare alla persona che la prenderà. L’attenzione si è spostata in un orizzonte più largo, quindi il mio prossimo, e imminente sogno, è l’andare a stare nei luoghi dove loro sono a casa. L’inverso del concetto di giardino. Prima ho bisogno di loro, le accolgo, e le capisco, poi loro hanno bisogno di me. Ma deve arrivare il tempo di una relazione in equilibrio. Non devo avere il problema di lasciarle sole, perché saranno nel loro ambiente. Nel quale anche io ho imparato a stare. Quindi un luogo con grande pezzo di terra, dove vivere con le piante che le appartengono, le essenze di quella terra.” Con un lungo sorso finisco il mio bicchiere di infuso alla menta.

 

Leggo sulla tua pagina la Playlist delle Piante Felici. Anche loro, ascoltano.

“Gli studi dicono che la musica classica, e i rumori naturali, quindi diciamo la new age, aiutano uno sviluppo armonico, lo rendono più rapido. Insomma, non l’heavy metal. E mettergli la playlist, mentre fai altro o devi uscire, è un bel gesto d’affetto.”

 

Io ho un affetto morboso per il basilico. Ne farei un’essenza da gocciolare sulla pelle. Ma a noi, in balcone, le foglie si incartano, cominciano a macularsi, e ciao. E così, al supermercato, si prende una nuova piantina.

“Arrivano spesso dall’Olanda. Vengono pompate di brutto nei vivai, come le galline. Luce h24, fertilizzanti a iosa, e si mettono in viaggio. La fase di adattamento al tuo balconcino milanese poi può essere dura…”

 

Una pianta che le tue adepte hanno quasi tutte?

“Sono le piante della nonna, come il Pothos.”

 

Mi accendo. La so. In sala abbiamo un Pothos che scende dal soffitto e la sua coda ha iniziato a strisciare sul pavimento.

“Pensa che è l’unica pianta della quale non si hanno notizie di fioriture dal 1957. Non ha bisogno di fiorire perché noi le moltiplichiamo, e ne facciamo talee per noi o da regalare. Per continuare a riprodursi, essendo una pianta facilissima, ha addomesticato lei noi.”

 

Come un virus benevolo.

“Sì, è incoraggiante, per l’autostima dell’aspirante pollice verde. Di queste mi piace raccontare, non di quella che arriva dalla Thailandia per collezionismo.”

 

Un fiore incanta e muore. Mentre il frutto, o la foglia aromatica, nutre.

“Un sorriso nutre eccome. E il fiore è quello: un sorriso. Dura poco, ma te lo ricordi. E ti segna. E in tutte le piante è previsto, anche se in alcuni casi è difficile ottenerlo in casa. Il loro sforzo è teso alla sopravvivenza, quindi alla fioritura.”

 

Per continuare la specie devono arrivare a sorridere. A meno che non siano addomesticate. Allora possono fare senza.

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