il dialogo
Perché il cervello non ha ancora ceduto a un computer lo scettro del linguaggio
I misteri (qualcuno svelato) del linguaggio e di come ci passa per la testa. In libreria un dialogo, intitolato "I segreti delle parole" tra Noam Chomsky e Andrea moro
E’ da qualche giorno in libreria un piccolo grande libro, di Noam Chomsky e Andrea Moro, intitolato “I segreti delle parole”, per i tipi de La Nave di Teseo (l’edizione in inglese è già disponibile per la Mit Press). In essenza, è una nutrita conversazione su linguaggio, mente e cervello tra il sommo linguista, scienziato cognitivo, filosofo e politologo Noam Chomsky, il più citato al mondo tra tutti gli intellettuali viventi, da qualche anno professore all’Università dell’Arizona, e il suo ex allievo, oggi prominente linguista, neuroscienziato e romanziere Andrea Moro, professore alla Scuola universitaria superiore Iuss di Pavia.
La conversazione nasce da un incontro, forzatamente virtuale, al Festival della letteratura di Mantova del 2020 tra Chomsky e Moro. Insieme hanno scelto di dialogare liberamente su cervello e linguaggio cercando di far assaporare a tutti le scoperte e il clima che Chomsky ha fatto nascere e la nascita di una comunità di studiosi che ha cambiato il modo di vedere il linguaggio. Un modo che non solo ha avuto un impatto sulla linguistica ma anche sulle neuroscienze, sulla filosofia e alla fine proprio sul modo di capire ciò che è veramente umano. La chiave di lettura principale è la centralità delle cosiddette “lingue impossibili”. Ci torniamo tra un momento.
Chiedo a Chomsky una sua riflessione sulla conversazione e su questo agile libro. “Per me, la nostra conversazione è stata un puro piacere”, mi dice. “E’ stimolante confrontarsi con una mente originale e indagatrice su interessi condivisi e su una ricerca in pieno svolgimento che entrambi [Chomsky e Moro, ndr] consideriamo capace di sollevare alcuni veli dai misteri del linguaggio e del pensiero – le proprietà’ fondamentali di questa nostra strana specie”.
Chiedo a Moro quali novità emergono dalla lettura di questa loro conversazione. Così mi risponde: “Il libro contiene almeno tre novità: una summa delle idee di Chomsky che hanno fatto nascere la grammatica generativa e la loro storia; la descrizione della svolta rivoluzionaria che ha fatto per la prima volta da ponte tra neurofisiologia e linguistica, cioè la definizione di lingue impossibili e gli esperimenti correlati; una valutazione controcorrente dello stato attuale della ricerca”. Il primo esperimento di Moro, molto ben spiegato nel corso della conversazione, risale al 2012 (in Neuroimage), seguito da un ulteriore esperimento nel 2033 (in Nature Neuroscience). Ancora oggi questi risultati segnano la nascita di un filone aperto e promettente (e forse di un intero dominio scientifico: la neurolinguistica). La conversazione è corredata da una postfazione che cita i lavori fondamentali e aiuta il lettore e la lettrice più curiosi a farsi un’idea strutturata di questa straordinaria impresa scientifica.
Una tesi sostenuta da vari autori, dai quali Chomsky e Moro si distaccano decisamente, è che la sintassi sia schiava della semantica. Ma così non è. Prendiamo una curiosa frase, resa celebre da Chomsky molti anni fa (la traduco): “Verdi idee incolori dormono furiosamente”. Il significato è, quanto meno, bizzarro. Ma non c’è dubbio che è sintatticamente perfetta. Contrariamente, per esempio, alla frase: “Incolori furiosamente idee dormono verdi”. I princìpi della sintassi spiegano bene questa differenza, senza alcun ricorso alla semantica. Altro esempio noto nella letteratura: “Il gulco gianigeva le brale”. Non vuol dire niente, eppure è chiaro che il gulco (qualunque cosa sia) e’ l’agente, che le brale (qualunque cosa siano) sono l’oggetto e che l’azione del gianigere (qualunque cosa sia) è avvenuta nel passato. In fondo in fondo, la frase non è priva di significato. Solo le parole lo sono, ma non la sintassi. Ebbene, riassumendo molto semplicemente gli esperimenti di Moro, il cervello di un normale parlante, esaminato in un apparato di risonanza magnetica, mostra l’attivazione di un’area specializzata nella sintassi (l’area di Broca), quando gli vengono presentate queste frasi, seppur strane. Invece, quell’area non viene attivata quando vengono presentate frasi impossibili, come per esempio la negazione “Piero mangia la no pera”, oppure l’impossibile interrogativa “Pera la mangia Piero”? Infatti, le lingue impossibili sono, tanto per scegliere due esempi, quelle nelle quali la negazione consiste nell’infilare un “no” dopo le prime tre parole e nel formare le interrogative ribaltando l’ordine delle parole da sinistra a destra. Le lingue impossibili sono, in sostanza, quelle nelle quali le regole si applicano direttamente all’ordine lineare delle parole e non alle strutture gerarchiche delle frasi.
L’importante lezione di queste diverse attivazioni cerebrali, ben sottolineata nella conversazione, è che la sintassi non è il risultato di convenzioni sociali arbitrarie, bensì una computazione cerebrale, radicata in strutture largamente innate.
Infine, nell’ultima parte della conversazione, Chomsky e Moro ci mettono in guardia contro i pretesi trionfi, tanto strombazzati, dei big data e del deep learning, come modelli del funzionamento della mente umana, in particolare nel settore del linguaggio. Uno stretto collaboratore di Chomsky, Sandiway Fong, linguista e computer scientist all’Università’ dell’Arizona si è preso la briga di far frullare in dettaglio quei congegni e ne ha messo in rilievo le gravi limitazioni. Due esempi: software linguistici che proclamano un 97 per cento di successi, non riescono ad analizzare (con buona pace di Lenin) l’espressione “Che fare?” (What to do?) e analizzano in modo assai diverso frasi la cui prima lettera è maiuscola, rispetto a quando è minuscola. Tutti ci serviamo quotidianamente di questi software, utilissimi e grandi successi di computer engineering. Ma linguaggio, mente e cervello di questa nostra strana specie sono tutt’altra cosa. La conversazione suggerisce alcuni possibili sviluppi positivi nel futuro.