Dopo il crollo del ghiacciaio
"Contro tragedie come quella della Marmolada non serve il catastrofismo"
La valanga che ha sconvolto le Dolomiti, la colpa dell’uomo e la scienza che chiede un dibattito laico. Parlano gli scienziati Prestininzi, Crescenti e Scafetta
Il ghiacciaio della Marmolada, la tragedia, il dolore, il presidente del Consiglio Mario Draghi che, da Canazei, parla in nome dell’Italia che oggi piange le vittime: “Il governo deve riflettere su quanto accaduto e prendere provvedimenti”. E mentre le ricerche dei superstiti proseguono senza molte speranze, i titoli si susseguono, simili nel tono: “E’ colpa dell’uomo; questo ha combinato l’uomo”. E se le temperature elevate sono un fatto, ci sono però scienziati che, a proposito di “colpa” vera o presunta dell’uomo, chiedono, non da oggi, di evitare formule precostituite. Dicono cioè che il clima è un problema, ma che per affrontarlo bisogna capire bene cause ed effetti, senza automatismi che paradossalmente allontanino la ricerca della soluzione, come si leggeva anche nel testo della petizione firmata da centoquarantacinque scienziati italiani nel 2019, tra cui il professor Franco Prodi, e rivolta al capo dello stato.
E oggi, di fronte al crollo sulla Marmolada, uno dei firmatari dell’appello, Alberto Prestininzi, già professore ordinario di Rischi geologici all’Università La Sapienza di Roma, riflette sulle “distorsioni” che, specie a livello di comunicazione, investono la scienza: “E’ chiaro che se inviti in una trasmissione sempre gli stessi cosiddetti esperti che suonano sempre la stessa campana senza contraddittorio non aiuti a trovare soluzioni, anzi: questa rischia di diventare una scorciatoia che ci libera la coscienza. Chiediamoci piuttosto che cosa non abbiamo fatto. E’ chiaro che se la temperatura aumenta il ghiaccio si scioglie; il perché è un altro paio di maniche”. E, dice il professore, “se su un versante roccioso fratturato come quello in questione, di tanto in tanto coinvolto da frane, accade una cosa come quella purtroppo accaduta due giorni fa, io mi sorprendo che qualcuno si sorprenda, visto che si tratta di effetti di processi di morfogenesi sempre attivi sulla superficie terreste. Non per niente si parla di prevenzione. Ma in questo caso quale prevenzione si poteva attuare? Parlerei di prevenzione del tempo reale: monitorare e, laddove si riscontra pericolo, intervenire. Non puoi fermare le montagne, ma studiarle sì”.
C’è poi, dice Prestininzi, la questione delle ipotesi assurte a fatti senza prove: “Bisognerebbe applicare criteri galileiani, siamo in campo scientifico: un’ipotesi resta tale se non è supportata dai fatti. Altrimenti abbiamo soltanto dichiarazioni apodittiche, purtroppo molto diffuse in questo campo. Prendiamo invece e per esempio un fatto: la mummia di Otzi, ritrovata a circa 3200 metri di altitudine, risalente a 5000 anni fa. Un corpo non si mummifica con il ghiaccio, ma con il clima secco. Vuol dire che 5000 anni fa in quel punto non c’era un ghiacciaio: il ghiaccio si era allora ritirato, come avviene periodicamente. Poi, in un momento di nuova crescita del ghiacciaio, la mummia è stata ricoperta. Attenzione, in senso lato, a legare in modo semplicistico e scandalistico clima e inquinamento: l’inquinamento è il problema da risolvere; l’inquinamento e non il clima è la vera emergenza. Non si proceda per slogan quasi religiosi e si discuta in modo laico se si vogliono trovare soluzioni”. Di fronte alle vittime e alla montagna che frana, un dibattito sereno è difficile.
Il professor Uberto Crescenti, ordinario di Geologia Applicata all’Università D’Annunzio di Chieti, invita però a concentrarsi su un aspetto: “Una cosa è il riscaldamento globale, su cui siamo tutti d’accordo, un’altra la frattura mediatica tra catastrofisti e scettici. Il clima è sempre variato, è un fatto naturale. E, a proposito di presunta correlazione tra aumento della Co2 e aumento della temperatura, ci sono dei dati: dal 1860 la Co2 è sempre aumentata, mentre la temperatura ha sempre avuto un andamento suo; e sono i dati che ci devono guidare. Nel Medioevo, circa mille anni fa, la temperatura era superiore di uno o due gradi. I Vichinghi hanno infatti colonizzato la Groenlandia, ma poi, all’inizio di quella che viene chiamata ‘piccola era glaciale’, si sono spostati più a Sud. E ancora: Annibale ha attraversato le Alpi attraverso passi poi non praticabili. In tempi storici, e non parlo di ere geologiche, ci sono state fasi più calde e più fredde. Invece di attribuire colpe all’uomo, dovremmo adottare politiche adatte a difenderci dagli effetti del riscaldamento globale, e favorire ricerca e dibattito senza dividerci in fazioni”.
Anche il professor Nicola Scafetta, docente di Climatologia all’Università di Napoli, affronta da tempo il tema dell’interpretazione del cambiamento climatico (e recentemente ha pubblicato su Calabria.live uno speciale sull’argomento con alcuni colleghi). All’indomani del crollo sulla Marmolada, Scafetta ricorda un articolo scientifico del 2015 (“The tyrolean iceman and his glacial environment during the Holocene”), articolo che, dice Scafetta, analizza lo stato dei ghiacciai alpini nel tempo: “I ghiacciai sono variati periodicamente negli ultimi diecimila anni, con vari cicli di restringimento ed espansione. Sei-sette mila anni fa erano quasi inesistenti, successivamente si sono riformati per poi restringersi di nuovo. Prova ne è anche, come si legge in altri studi, il ritrovamento di resti di alberi a quote dove oggi non cresce nulla, come nei pressi del ghiacciaio Pasterze, in Austria. Di fronte alla tragedia della Marmolada, allora, dobbiamo sì soffermarci sulle elevate temperature e sull’assenza di pioggia, da cui l’instabilità del ghiacciaio, e sulla necessità di osservare, prevenire ed evitare se possibile i danni, ma dobbiamo a mio avviso anche respingere ogni ideologizzazione, pena la non soluzione dei problemi”.
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