JLo diventa Mrs Affleck. Scandalo? Ma va. Io ho un cognome fluido ed è una gran comodità
Per un caso, nel 1986 ho firmato col cognome di mio marito. Mi piaceva, con tutte le sue doppie e le sue vocali piene, me lo sono tenuto. So what? Da quando la fluidità di genere forse sì e quella anagrafica assolutamente no?
Passati circa trentasei anni, l’hanno imparato quasi tutti. Studenti, uffici stampa, amici. “Allora prenotiamo al tuo nome vero, giusto?”. “Sì, grazie, altrimenti non mi fanno salire sull’aereo”. In quel caso, ma solo in quello, devo rassegnarmi al mio cognome di nascita e attenermici. Perché non mi chiamo Fabiana Giacomotti, ma Maria Fabiana Cantalupi (più altri due eventuali), “detta” Fabiana Giacomotti (più uno eventuale), come recitano i contratti Rai, dove il nome d’arte è ampiamente previsto. Anzi, a viale Mazzini ce n’è una sfilza lunga così e tutti ci vivono dentro benissimo: cognomi acquisiti (anche perché acquisibili) di mariti, di madri e non in ossequio alla nuova possibile variazione anagrafica di legge ma per puro affetto oppure per segnalare una linea familiare importante (Fendi, Biagiotti), crasi immaginifiche, sostituzioni fra nome e cognome (Alessandro Mahmood). Una varietà infinita.
Da quando la fluidità di genere forse sì e quella anagrafica assolutamente no? Perché non posso scegliere il mio eponimo prendendolo dalla famiglia del mio sposo se, per esempio, nelle lingue slave addirittura posso declinarlo al femminile, che più presa di possesso di così si muore? Com’è che da qualche ora sugli stessi giornali si applaude nelle pagine politiche a Olena Volodymyrivna Zelens'ka (traduzione letterale “Olena moglie di Vladimir Zelensky”, anzi, “del nucleo famigliare di” in declinazione aggettivale) e ci si indigna in cronaca per Jennifer Lopez che sceglie di assumere il cognome del neo marito Ben Affleck (l’aveva fatto anche quando sposò Marc Anthony otto anni fa, fra l’altro, ma la vague revisionista del patronimico non era ancora dichiarata e battagliera)?
Nella nostra straordinaria ignoranza delle tradizioni diverse dalle nostre, tendiamo a dimenticare che ogni società si è saputa regolare a proprio modo, rispondendo a una infinità di variabili in cui entrano il diritto di famiglia e di proprietà: la Spagna, per esempio, era più avanzata sull’ereditarietà ai tempi del Regno delle Due Sicilie di quanto lo fossimo noi nel Novecento.
Insomma, il fatto che Giacomotti sia al tempo stesso il mio cognome d’arte e il primo cognome di mio marito è stata una fantastica opportunità di declinazione di quanto mi ha offerto la vita. Firmai il primo articolo della mia vita a suo nome, perché – occupandosi d’altro - non aveva tempo di scriverlo ma non voleva deludere l’amico direttore, Marco Borsa, che glielo aveva chiesto. Andò che mi trovai in Mondadori due settimane dopo, quando non avevo ancora deciso se restare in università o no. Il destino aveva scelto per me, e mi aveva assegnato quel cognome pavese pienotto, tutto doppie e vocali larghe. Non volendo però che scegliesse proprio tutto, ho giocato di rimessa e da decenni tengo i piedi in due scarpe, anzi in due cognomi, e me ne servo a piacimento. Fluidissima, nell’acquiescenza generale.
I guardiani del bene presunto