Da Nancy Pelosi a Silvio Berlusconi: il Pantheon degli ottantenni
Contro la retorica giovanilista. La speaker della Camera Usa a Taiwan mette in mostra i muscoli della sua generazione. Una carrellata sugli altri, che fanno di tutto per lasciare un segno nella storia
Con un bestseller scritto a venticinque anni, Johann Wolfgang von Goethe, ancora alla ricerca di se stesso seppur già determinato a diventare grande, aveva cambiato non solo il romanzo, ma lo spirito del tempo. Adorato dalle donne delle quali non poté mai fare a meno fino agli ultimi suoi giorni (“purché porti la gonnella” anche lui dopo don Giovanni), idolatrato dai giovani che amavano e si vestivano alla Werther, vezzeggiato dai potenti come il granduca di Weimar Carlo Augusto – che lo aveva nominato ministro della Cultura, passava sopra a ogni bizzarria (la fuga improvvisa verso “il paese dove crescono i limoni”) e gli pagava ogni capriccio – l’olimpico poeta allietato dall’amore per Ulrike von Levetzow, più giovane di ben mezzo secolo, era assorbito dal Magnum Opus che lo aveva accompagnato per tutta la vita e non era mai riuscito a finire. Un demone vero perché il protagonista era nient’altro che Mefistofele, il quale aveva conquistato il Doktor Faust offrendogli ricchezze e magie, conoscenza e piacere, fino all’orrenda seduzione della dolce Margherita vergine immolata alla lussuria, ma pur pronta a salvargli l’anima. E così tra amori e dolori, il più celebrato scrittore della sua èra completa il monumento alla nuova epoca sorta dalle ceneri della “gloriosa rivoluzione”, e lo pubblica allo scoccare degli 82 anni, poco prima di chiedere con esile voce “più luce” e spegnersi per sempre.
Nancy Pelosi a Taiwan ha commesso un plateale errore? Forse, oppure ha svelato il bluff cinese, con la forza di chi non ha più nulla da perdere
Alla stessa età, rosa dallo stesso pensiero dominante, Nancy Patricia D’Alessandro in Pelosi non ha ancora scritto nessuna pagina memorabile, anzi ha acceso una miccia che rischia di far esplodere il conflitto tra la Cina e gli Stati Uniti. Vuol lasciare anche lei un’impronta nella storia. Ma se è così, ha scelto la più stupida delle trovate: uno sberleffo a Xi Jinping mettendo piede senza permesso sul suolo di Taiwan, e un dispetto a Joe Biden, incerto più che mai, provato nel corpo e nello spirito dalla penultima variante del Covid-19, ripudiato stando ai sondaggi anche da coloro che lo avevano eletto antiTrump magari turandosi il naso. Pechino, ovviamente, ha il pieno sostegno dell’alleato russo: “La Cina sta agendo in modo legittimo per difendere la sua sovranità”, insiste il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. “Queste provocazioni non resteranno senza ripercussioni”, ha aggiunto nella dichiarazione riportata dalla Tass, convinto che “le tensioni non si placano così rapidamente”. La Francia (quanto assomiglia all’Italia nonostante le apparenze) si divide non solo sulla Russia, ma anche sulla Cina. Jean-Luc Mélenchon, capo del partito francese di estrema sinistra France Insoumise, ha ribadito il suo sostegno alla politica di “una sola Cina” che renderebbe la questione di Taiwan un problema di politica interna e ha reiterato le sue critiche alla visita “provocatoria” a Taipei della presidente della Camera dei rappresentanti Usa. Ha scritto il politologo Fareed Zakaria, in un’opinione pubblicata sul Washington Post: “Da parte americana, diversi errori – molti di questi tattici e legati alla politica interna – hanno prodotto una realtà pericolosa: non ci sono serie relazioni bilaterali tra i due attori più influenti del XXI secolo”. Henry Kissinger ormai quasi centenario è furibondo, già con Mosca è pronto a cedere, figuriamoci con Pechino, lui che ha portato Richard Nixon da Mao Zedong. Le reazioni cinesi sono state scomposte ed eccessive, con una dimostrazione di forza militare che per ora è solo teatro, come nell’antico trattato sull’arte della guerra. Se davvero il presidente Xi applicherà gli insegnamenti del generale Sun Tzu, una volta gonfiati i muscoli, sarà soddisfatto. Ma se segue l’esempio di Putin allora saranno guai. Dunque, travolta dal proprio ego e desiderosa di lasciare la sua impronta sulla sabbia della storia, Nancy Pelosi ha commesso un plateale errore? Forse, ma c’è anche un’interpretazione meno malevola e più sottile: la presidente della Camera ha svelato il bluff cinese, ha dato una mano al tentennante Joe Biden, e ha mostrato a sua volta i muscoli americani, quelli politici per il momento, perché la superiorità militare nel Pacifico è evidente. Il fattore Ottanta conta, in questo caso possiede la forza di chi non ha più nulla da perdere.
Il presidente Biden varca la porta degli ottanta a novembre quando con molta probabilità le elezioni di midterm daranno la vittoria ai repubblicani, eppure con un tour de force parlamentare è riuscito a mettere a segno una serie di successi che sia Bill Clinton sia Barack Obama avevano mancato, come i provvedimenti contro il riscaldamento climatico, scrive Edward Luce sul Financial Times. Non solo. Il Chips Plus Act stanzia decine di miliardi di dollari nella ricerca e produzione di componenti chiave per la transizione digitale un po’ come accadde cinquant’anni prima con internet. Inoltre il Tax bill per la prima volta consente al governo di negoziare con l’industria i prezzi dei farmaci. Senza contare che l’economia continua a sfornare posti di lavoro nonostante il denaro più caro, e l’inflazione sta scendendo sia pur di poco. Quindi attenti a recitare troppo presto il de profundis. Tuttavia ci vuol altro per fermare l’onda anti-istituzionale che ha allagato di odio gli Stati Uniti. E non basterà nemmeno l’Fbi. Sarà pur bravo, dall’alto della sua esperienza, a manovrare tra i banchi del Congresso, però il Commander in chief si dibatte nella tenaglia stretta da Vladimir Putin e Xi Jinping senza sapere come evitare che si stringa sui suoi lombi inariditi.
Biden con un tour de force parlamentare ha messo a segno una serie di successi che sia Bill Clinton sia Barack Obama avevano mancato
Lontane in tutto e per tutto, legate solo dal filo lungo e ormai sottile dell’età, personalità forti abituate alle luci della ribalta, non intendono mollare. Abbiamo cercato di intercettare i loro insaziati sogni di grandezza senza trascurare l’uomo dei sogni per antonomasia, Silvio Berlusconi. Allietato come Goethe da una donna giovane seppur non più giovinetta, vuole lasciare il suo vero capolavoro, il Grande Ritorno, feuilleton in più puntate un po’ Conte di Montecristo un po’ Vent’anni dopo. Perché voltare le spalle a Mario Draghi sostenuto fino alla penultima ora? Nemmeno Gianni Letta ha capito bene che cosa agita Berlusconi e cosa ribolle nella famiglia politica che ha aiutato a costruire con i suoi consigli. Mettersi insieme per affrontare i pericoli comuni, questa è stata fin dall’inizio la preghiera inascoltata del Gran Ciambellano come lo hanno chiamato. Non voleva la caduta di Draghi, ha cercato di trattenere il Cavaliere, di salvarlo da quel friccico che sempre lo attraversa quando sente odore di polvere da sparo. Raccontano che abbia stretto un patto con Giorgia Meloni per diventare ministro degli Esteri e fare la pace con l’amico Putin. Così può restare davvero nella storia del mondo intero. Sembra un calembour. Ma chissà? Dicono che i fili siano ormai nelle mani delle due parche, Licia e Marta (Ronzulli & Fascina). Può darsi. Fare campagna, uscire dall’ombra, tornare a lanciare le sue promesse, ancora una volta al centro della scena, manovrato e manovratore. E’ questa la sua natura che lo avvicina a Matteo Salvini, lo stesso spirito battagliero, la stessa irrefrenabile tentazione eversiva: far saltare il banco, è la mano di carte che entrambi preferiscono.
“Sono una parte di quella forza che desidera eternamente il male e opera eternamente il bene” diceva di sé Mefistofele. Ci avrà pensato Fedele Confalonieri, uomo di buone letture, prima di rilasciare la lunga e corposa intervista ad Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera? E’ stata la premessa del voltafaccia, un male che nelle intenzioni vuol produrre il bene della destra. “Sono milanese, leghista, bossiano, l’unità d’Italia è stata un errore. A Silvio dico: punta su Meloni. La leader è lei”, ha proclamato. Berlusconi gli ha dato retta e adesso dice che vuol “difendere Giorgia”, illudendosi che ne abbia bisogno. Tra i suoi storici consiglieri, così, è prevalso il fedele Fidel, persino, a quel che si dice, sull’amata figlia Marina.
Un mito sfiorito con l’età è Rudy Giuliani. L’eroe che ha sconfitto Cosa nostra in America è diventato l’anima nera di Donald Trump
Gli sforzi di Romano Prodi (classe 1939), due volte vittorioso su Berlusconi, non sono andati a buon fine. Il Professore ha seguito passo passo la trattativa Letta-Calenda con in mente l’obiettivo di ricreare un’alleanza simile all’Ulivo che vinse le elezioni nel 1996. Quando tutto è saltato (per colpa di chi è ancora da capire) ha visto crollare le speranze e non ha nascosto la propria delusione: “Motivazioni incomprensibili”, è sbottato gettando alle ortiche la sua apparente bonomia. Carlo De Benedetti, 88 anni, dopo aver venduto Repubblica ha fondato un piccolo e pensoso quotidiano lanciando allarmi da interviste sui giornali e in tv. Ora invoca la nascita di un fronte antifascista per fermare la pericolosa coppia Meloni-Salvini. Al contrario, Fausto Bertinotti, 82 anni, ex leader di Rifondazione comunista e già presidente della Camera, considera l’intesa di Nicola Fratoianni con il Pd “un accordo sostanzialmente perdente che almeno alla sinistra non frutterà nulla di buono” perché “stabilisce una gerarchia tra un fronte neo-conservatore e i portatori d’acqua”. Per di più, Enrico Letta promuove la stracitata agenda Draghi, che secondo Bertinotti è un compromesso “regressivo”.
Quanti consigli ispira la legge bronzea dell’età. Maurizio Costanzo classe 1938, da 41 anni ha sempre condotto lo stesso talk-show. Chi s’inginocchiava in quel confessionale televisivo, per poi essere unto da questo taumaturgo del potere, poteva star tranquillo che non si sarebbe perso nell’androne del Palazzo. Nel 2020 è diventato lo spin doctor di Virginia Raggi, ma è stato tutto inutile, anche per lui. La Virgy che s’aggirava tra i Fori imperiali come la vispa Teresa, ha perso il Campidoglio e non ha guadagnato nemmeno uno strapuntino alla Camera. Forse non c’era niente da fare, era ormai un caso disperato per il più potente baffo televisivo. E adesso, a chi dispenserà le sue consulenze?
Il tempo non risparmia nemmeno il re di denari, cioè Warren Buffett (di anni ne compie 92 il 30 di questo mese) al quale tanto debbono i grandi dell’industria americana e mondiale: dalla Microsoft di Bill Gates alla Apple di Steve Jobs della quale è grande azionista, dalla Coca Cola a Chevron e all’American Express. L’Oracolo di Omaha, così viene chiamato, non le ha sempre azzeccate tutte e questa volta non ha saputo leggere le viscere del capitale. Nell’ultimo trimestre la Berkshire Hathaway, la sua corazzata finanziaria, ha perso ben 44 miliardi di dollari. Non è la fine dell’avventura, eppure andranno aggiornate le sette regole d’oro che hanno funzionato così bene per mezzo secolo.
Un mito sfiorito con l’età è Rudy Giuliani. Non ha ancora varcato la terribile soglia degli Ottanta, ma l’eroe che ha sconfitto Cosa nostra in America, il campione di Pizza Connection, il maestro di Giovanni Falcone, poi sindaco sceriffo di New York tutto legge e ordine, è diventato l’anima nera di Donald Trump, quello che brigava per truccare in Georgia le elezioni del 2020. “Trovami 11 mila voti” intimava il presidente che non voleva accettare la sconfitta a Brad Raffensberger, il suo uomo ad Atlanta, e Giuliani cercava ogni cavillo per spingere il Parlamento dello stato a invalidare le schede. Ora dovrà apparire davanti a un gran giurì e nella polvere sotto l’altare, la giustizia non ha posto per la riconoscenza.
L’esperienza, la storia personale e quella collettiva contano. Non suscita sdegno l’insistere del circo mediatico sulle fragilità della vecchiaia?
Quale differenza con due superbi esempi che non cessano di stupire e conquistare chi dalla fama ha distillato anche lo stile. Che lezione di vita da Sofia Villani Scicolone in Ponti meglio conosciuta come Sophia Loren e Mina Anna Quaini nata Mazzini, per tutti Mina. Guardate come vivono il loro tempo, con quale classe e quale senso della realtà. Entrambe in Svizzera, più esposta al pubblico Sophia, più appartata, quasi reclusa Mina, l’una dispensa sorrisi e si concede a rari eventi per celebrare i passati trionfi, l’altra centellina note con quelle corde vocali fuor dal comune, e trasforma l’assenza della sua immagine in una inarrivabile presenza. Il velo di Maya diventa prezioso, non nasconde la realtà, la mitiga e la rende accettabile; superata una certa soglia custodisce una volontà di vivere sottratta agli inarrestabili malefici del tempo. Sophia e Mina l’hanno capito al contrario di Michael Philip Jagger detto Mick, vicino ormai anche lui alla fatidica soglia. “Com’è sexy”, sospiravano le ragazze adoranti all’ultimo concerto dei Rolling Stones a Milano nel marzo scorso. Purtroppo è un omaggio solo per i pochi felici che hanno ricevuto i doni dell’Olimpo, baciati dalla fortuna, pieni di vitalismo inquieto, sempre creativi, per i quali “futtiri è megghiu ca cummannari”.
Ha una conclusione questa nostra carrellata sugli Ottanta? Non certo raccomandare la pensione né in versione Fornero né, tanto meno, in salsa Salvini. L’esperienza, la storia personale e quella collettiva contano. Non suscita sdegno quell’insistere del circo mediatico sulle fragilità della vecchiaia? Prendiamo come si segue ogni malanno di Biden, i suoi balbettii, quando inciampa sulle scalette dell’Air Force One e quando dimentica la geografia o storpia i nomi stranieri. Non parliamo poi di Berlusconi, il suo cerone eccessivo che in tv gli fa prendere un colorito marziano, i suoi maldestri tentativi casual con la t-shirt sotto il troppo ampio doppiopetto, la torta nuziale delle quasi nozze, e qui l’elenco diventa davvero sterminato. Che cosa debbono fare, allora, i Biden e i Berlusconi? Escludiamo i giardinetti con nipoti e pronipoti, anche perché, se loro se ne vanno, chi resta? Sarebbe naturale indossare la toga dei nobili padri. Tuttavia non è così facile in un mondo opulento e invecchiato trovare sostituti che siano della stessa pasta. Chi è nato nel bel mezzo del secolo breve, ha attraversato fascismo, nazismo, comunismo e la più sanguinosa guerra mondiale. Che cosa hanno fatto i loro eredi? Il Sessantotto? Non scherziamo. La mancanza di ricambio delle élite rivela la palese debolezza delle nuove generazioni, che sono altrettanto ambiziose ma meno capaci di affrontare le sfide, generazioni che succhiano fama e ricchezza con qualche foto sul telefonino, influencer di tutto e di niente, pronte a sacrificare la libertà per qualche grado del termosifone. A teatro e nella vita il grande interprete si giudica da come entra e ancor più da come esce, purché non lasci la scena vuota.
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