La paura degli squali è fortemente esagerata
Effetto Spielberg, d’accordo, ma i dati dicono altro: la cucina per esempio è molto più pericolosa
Io ho paura degli squali anche quando nuoto in una piscina ed è colpa di Steven Spielberg. Certo, lo so che gli squali nelle piscine non ci sono – o quasi in nessuna perché nella piscina di Emilio Largo in “Agente 007 - Thunderball. Operazione tuono” c’erano. Certo, lo so che è più pericoloso attraversare sulle strisce pedonali a Roma. E forse è anche più imprudente comprare merendine, patatine e altre schifezze dai distributori automatici. Un articolo su Slate di qualche giorno fa ha provato a rispondere a una vecchia domanda: è vero che i distributori uccidono ogni anno più persone degli squali oppure è una leggenda metropolitana come i coccodrilli che escono dai water?
La domanda è seria. E non solo perché ha a che fare con la differenza tra i rischi percepiti e i rischi reali, cioè con la nostra natura impressionabile e con la distrazione per i dati e, soprattutto, con la fiducia malriposta nella nostra “esperienza”, ma con le definizioni e le categorie. Che cosa intendiamo quando parliamo di “morte da distributore automatico”? Che ci avveleniamo mangiando porcherie? Che rimaniamo fulminati spingendo il pulsante A46 o inserendo le monete nella fessura? No, la specifica morte da distributore è causata dall’esserne schiacciati. Per questo ci hanno messo un’etichetta: non scuotetemi perché potrei cadervi addosso. L’estensione della nostra sprovvedutezza è sempre sorprendente.
Ma insomma, a parte questa premessa, è più mortale uno squalo o un distributore? Rispondere non è facile per mancanza di dati confrontabili. In Italia l’ultimo incidente risale a poche settimane fa: alla fine di giugno un uomo di trentatré anni ha rotto il vetro di un distributore in un liceo siciliano, forse per rubare i soldi, e si è tagliato morendo dissanguato. Però per capire quanto i poveri squali siano innocui possiamo scegliere qualsiasi altra causa di morte come termine di paragone. Il Florida Museum ha una sezione dedicata agli attacchi degli squali nel mondo (l’International Shark Attack File) e al confronto con altri incidenti e cause di morte. Tra il 2012 e il 2021 ci sono stati in tutto il mondo 761 attacchi, di cui 60 mortali. Negli Stati Uniti circa 1.500 in tutto dal 1580.
In Italia i casi sarebbero 13. Nel database del Global Shark Attack File ci sono più segnalazioni che comprendono anche casi che risalgono all’VIII secolo, incontri senza conseguenze, corpi recuperati dal ventre di squali. Il mio preferito è un caso del 1975: la stampa lo ha classificato come un attacco di uno squalo bianco – c’è scritto nella casella “infortunio” – ma l’aggressore era il sub. Era il 1975, che è l’anno di uscita dello “Squalo”. Sarà mica un caso? In ogni modo sono 72 le segnalazioni totali. Tra il 2009 e il 2018 i morsi mortali dei cani solo negli Stati Uniti sono stati 349. Degli squali 65. Non parliamo nemmeno degli incidenti stradali o di quelli domestici. Nel 2020 in Italia ci sono stati 118.298 incidenti, di cui 2.275 mortali, con 2.395 morti, e 159.248 feriti (dati Aci-Istat). E ogni anno si verificano più di 3 milioni di incidenti domestici, con oltre 130 mila ricoveri e più di 5 mila morti. Anche la cucina è molto più pericolosa degli squali bianchi.
C’è una morale in questa storia? Sì, come ho già detto, e cioè che non possiamo fidarci di quello che sentiamo, delle nostre percezioni e delle nostre paure. Non è una novità ma saperlo non basta ed è sempre utile ripeterlo. Soprattutto considerando quanta importanza moltissime persone danno alla esperienza diretta e personale, forse la più ingannatrice delle vie per conoscere e capire il mondo. Per farlo, o almeno per provarci, ci servono i dati. Ci servono un contesto e un termine di paragone. Perché ovviamente “ucciso da uno squalo” fa moltissima paura, ma le probabilità di fare quella fine sono bassissime e dovremmo avere paura di altro. (Poi ho cercato “squalo in piscina” e ho scoperto che qualche anno fa in Australia ne è sbucato uno; quindi faccio bene a guardarmi sempre indietro, non si sa mai.)
generazione ansiosa