(foto LaPresse)

Rosa Russo Iervolino e la macabra fenomenologia dei coccodrilli messi in crisi dai social

Michele Masneri

Il “pezzo freddo” un tempo era tenuto pudicamente nel cassetto dei giornali per dei vecchissimi o moribondi. Oggi viene sparato online senza troppe cautele

La morte sui social, che tema. Non c’è solo il selfie col morto, ormai categoria precisa e format che ha superato il necrologio giornalistico (appena decede qualcuno di celebre è tutto un correre a trovare una foto e postarla il prima possibile con vaghe parole di cordoglio, e un classico “rip”). Di solito sono foto in cui il defunto è venuto male, impacciato, grasso, controluce, mentre il necrologista benissimo (del resto il necrologio da che mondo è mondo serve ai vivi). Cambiano i media ma il messaggio è sempre quello, ricordare agli altri vivi che si era intimissimi soprattutto di potenti e ricchi

A digitalizzarsi è anche il vasto mondo del morto-che-non-lo-era, come è successo a Rosa Russo Iervolino, indimenticata ministra dell’Interno e sindaco di Napoli, che ieri è stata commemorata per qualche minuto sui social, salvo poi risultare viva, vivissima, “quando lo abbiamo detto a mamma si è fatta una bella risata”, ha detto il figlio Michele Russo, e tutto sembrerebbe una storia napoletana da “Un posto al sole” o da “Vivi e lascia vivere”, la serie Rai diretta da Pappi Corsicato che ha come protagonista proprio un morto che non lo era, un padre spacciato che torna a stravolgere una famiglia che stava benissimo in quella vedovanza; ma al netto di scaramanzie e “giocate” (il morto risuscitato sarebbe il 18), quello dei morti che non lo erano non è una prerogativa dei tempi nuovi ma è anzi un grande classico, semplicemente prima la smentita ci metteva di più ad arrivare. “La notizia della mia morte è fortemente esagerata” è il celebre joke di quel burlone di Mark Twain, che nel 1897 utilizzò il più moderno media a disposizione, il telegrafo, scrivendo la celebre frase “The reports of my death are greatly exaggerated” al New York Journal che aveva scritto un toccante coccodrillo su di lui. 

 

Ma il coccodrillo è un’altra forma mortifera che sta risentendo molto del cambiamento tecnologico: il “pezzo freddo” un tempo tenuto pudicamente nel cassetto dei giornali per dei vecchissimi o moribondi oggi viene sparato online senza troppe cautele, per cui si troverà “Mario Rossi, padre della letteratura e autore del romanzo ‘Poveri anni in Cilento’, è venuto a mancare INSERIRE DATA", e quella sciatteria peserà sul povero defunto che non avrà diritto neanche a una data certa. Il coccodrillo poi talvolta fuoriesce dal cassetto anzitempo; è successo a Steve Jobs che l’agenzia Bloomberg fece defungere nel 2008, tre anni prima del previsto.

Ma le tecnologie più avanzate non hanno sconfitto la piaga dei finti morti, anzi, il “news cycle” più veloce e l’abbandono in cui giacciono le versioni internet dei giornali fanno sì che tutto si diffonda senza controlli. Attori e cantanti e celebrità varie sono date per spacciate di continuo: Bruno Pizzul nel 2009, Vasco Rossi nel 2012 e Tullio De Piscopo nel 2013. Qualcuno più volte. Il record è di Paolo Villaggio, che raccontava di essere morto tre volte, una nel 2014 e due nel 2016. C’è infine chi fa del finto morto una specie di performance: il regista franco-greco Costa-Gavras fu dato per defunto nel 2018 da Tommaso Debenedetti, il giornalista-fantasista che si inventava interviste a celebrità mondiali, che per molto tempo furono prese per buone (come quella in cui Philip Roth criticava la politica di Obama). Debenedetti aveva utilizzato un finto profilo Twitter della ministra della Cultura greca. Ma qui siamo nell’ambito dell’arte, della performance, e del resto tutto ciò che riguarda la necrologia spesso ha un lato divertente, scaramantico, e lo stesso Twain usava dire di non aver “mai ucciso nessuno, ma di aver sempre letto obituaries con grande piacere”.

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).