Soft power: ha senso parlarne se il "potere duro" si è manifestato nell'invasione russa? Sì, lo ha
In occasione di una conferenza che si è tenuta a Venezia si è parlato di transizione energetica, innovazione digitale e del consenso conquistato con la persuasione invece che con la sopraffazione. La narrazione vince ed è l'arma in più dell'Ucraina
La “domanda”: ha ancora senso parlare di soft power in un mondo dove l’hard power si è manifestato in modo così brutale con l’invasione russa dell’Ucraina? La “risposta”: ha talmente senso che, accanto ovviamente a droni o missili, una potente arma dell’Ucraina per resistere all’invasione è consistita nel servizio di Vogue sulla coppia Zelensky. La “conclusione”: la capacità di fare narrazioni è più potente della capacità di usare le armi.
La domanda è stata fatta dal commissario europeo per gli Affari economici e monetari Paolo Gentiloni. La risposta è stata elaborata dalla storica dell’Arte Clara Tosi Pamphili, che ha spiegato come appunto Vogue era nata a fine ‘800 non come giornale di moda ma come “giornale che comunicava che cosa succedeva in Europa” attraverso l’arte e la fotografia. La conclusione è di Charles Rivkin: presidente e Ceo di quella Motion Picture Association che è l’associazione delle major cinematografiche di Hollywood. Non sono stati, ovviamente, i soli interventi, ma riassumono un po’ il messaggio della terza Soft power conference che si è tenuta a Venezia alla Fondazione Cini lunedì e martedì a cura del Soft power Club: associazione internazionale fondata da Francesco Rutelli. Il primo appuntamento, tenutosi lunedì pomeriggio e dedicato al tema della transizione ambientale e energetica dopo la drammatica svolta della guerra in Ucraina, è stato in particolare aperto da un saluto del presidente Mattarella, che ha ricordato come purtroppo “la guerra intrapresa dalla Federazione russa contro l’Ucraina… rende più fragile ogni risposta comune” a questi problemi.
C’è stato anche l’intervento del ministro dell’Economia Daniele Franco, che ha avvertito come “la crisi energetica non deve cambiare gli obiettivi di breve e medio termine della transizione, non deve rallentarla né scoraggiarla”. E quello di Enrico Giovannini, ministro delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili: “Abbiamo 10 anni per trasformare l’Italia, anche grazie ai fondi aggiuntivi di fonte nazionale e comunitaria, ed è quello che abbiamo cercato di fare con il lavoro di questi mesi, sviluppando anche i piani strategici per ferrovie, strade, mobilità ciclistica, ecc.”. E quello del sindaco Luigi Brugnaro: “Venezia è una città in evidente lotta con i cambiamenti climatici ma vedere oggi l’acqua calma in laguna mentre fuori, oltre il Mose, il mare è in tempesta, ci dimostra che con la tecnologia e l’ingegno italiano i cambiamenti possono essere affrontati”.
Il secondo appuntamento, martedì mattina, è stato dedicato a innovazione digitale e dialogo digitale. Il terzo e ultimo, martedì pomeriggio, è stato su “Soft power in a hard power world”, e ha incluso la cerimonia del conferimento del Soft power prize 2022, sostenuto da Generali, a due personalità che si sono distinte nella lotta al cambiamento climatico: l’attivista per l’ambiente Vanessa Nakate, 25enne di Kampala in Uganda e l’oceanografa statunitense Kim Cobb, 48enne che guida le ricerche climatiche più avanzate sui sistemi marini e dirige l’Istituto per l’ambiente e la società a Brown University.
Insomma, si è parlato di moltissime cose. Ma i tre punti da cui siamo partiti possono dare forse il senso generale del tutto. “Il soft power italiano non può essere ridotto a una cartolina ricordo delle nostre città d’arte”, aveva spiegato due anni fa l’ex sindaco di Roma e presidente dell’Anica nell’annunciare il primo appuntamento pubblico del Club. Il concetto è quello lanciato nel 1990 dal politologo di Harvard Joseph Nye in un articolo su The Monthly Award, per definire l’abilità nella creazione del consenso attraverso la persuasione e non la coercizione.
Del Club fanno parte una serie di personalità di tutto il mondo: in ordine alfabetico, dal principe della corona di Giordania H.H. El Hassan Bin al Talal al fondatore e direttore generale del Guggenheim Museum Bilbao Juan Ignacio Vidarte. Venezia è città simbolo: nata in un momento di crisi come la caduta dell’Impero romano e in un ambiente estremo come quello della laguna, seppe diventare una potenza capace di hard power ma che si sosteneva soprattutto attraverso un raffinatissimo soft power di diplomatici e mercanti. Rutelli ha indicato, come esempio di questo soft power che continua, il modo in cui un imprenditore veneziano della gastronomia e del turismo come Giuseppe Cipriani seppe rilanciare nomi di grandi artisti per affermare il cocktail Bellini e un piatto come il carpaccio.
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