Presto che è tardi
“L'Italia crollerà a 36 milioni”. Il rapporto Onu ci suona la sveglia sulle nascite
Tra il 2050 e il 2060 si arriverà allo squilibrio di 350mila nati contro 800mila morti annui, mentre a fine secolo il paese tornerà ad avere gli abitanti del 1883. Intanto la Francia ha un intero sistema sociale e fiscale che premia la natalità, ha invece appena visto le nascite tornare a ricrescere
“Italiani attenti: se non fate più figli la vostra civiltà si suiciderà nel giro di qualche decennio”. Sulle pagine di Le Monde già vent’anni fa lo studioso Henri Mendras lanciò quest’avvertimento esprimendo stupore per un fatto: gli abitanti della Penisola “non sembrano prendere sul serio il pericolo che li minaccia. Nessun popolo può sopportare un evento così traumatico. E l’equilibrio generale dell’Europa sarebbe scosso”. Altrimenti addio civiltà italiana: “Farà karakiri, scomparirà. E sarebbe una perdita irreparabile e catastrofica, per gli amici dell’Italia e per il mondo intero”. Quale pericolo? C’erano già state le stime di Gian Carlo Blangiardo, demografo presidente dell’Istat: “Siamo un paese da 32 milioni”. Un paese che solo nel 2014 sembrava dovesse arrivare a 61 milioni e che oggi è già sceso a 59. Poi The Lancet aveva scritto: “L’Italia si dimezzerà”. Ora le previsioni 2022 della Population Division, il dipartimento dell’Onu che si occupa della popolazione, sono come la presa d’atto di uno smottamento. La popolazione italiana scenderà a 36 milioni in due generazioni. 3,1 milioni in meno rispetto alla previsione di tre anni fa, 22 milioni di abitanti in meno rispetto a oggi.
Tra il 2050 e il 2060 l’Italia arriverà allo squilibrio di 350mila nati contro 800mila morti annui. La Francia di Mendras, che ha un intero sistema sociale e fiscale che premia la natalità, ha invece appena visto le nascite tornare a ricrescere (con soltanto sei milioni di abitanti in più, la Francia fa quasi il doppio delle nascite dell’Italia, 720mila contro meno di 400mila).
Nel biennio 2018-2019 in 21 province italiane (un quarto del totale) ci sono state duecento morti ogni cento nati; 47 province con 150-200 morti ogni cento nati; in 38 province con 100-150 morti ogni cento nati. I 4.400 comuni con meno di tremila abitanti, che rappresentano il 56 per cento dei totali, saranno i primi a svuotarsi in una generazione. Le regioni crolleranno a diverso grado: Veneto, Toscana, Friuli- Venezia Giulia e Lazio perderanno dal 10 al 20 per cento della popolazione. Dal 20 al 30 per cento il crollo di Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta, Marche, Umbria, Abruzzo e Campania; dal 30 al 40 per cento l’ecatombe in Sicilia, Calabria, Puglia, Molise e Sardegna; infine la Basilicata perderà oltre il 40 per cento della sua popolazione.
Tutto il Sud si sta spopolando: meno 40 per cento di nascite in vent’anni e nel 2050 “sparirà” una regione come la Puglia. “La Nuova Sardegna” racconta di un’isola destinata al “suicidio demografico”: “Siamo oltre il timore di un’isola senza futuro. In vent’anni i nuovi nati si sono dimezzati”. In mezzo secolo in Italia bambini e ragazzi fino a 14 anni passano da 7,7 a 5,5 milioni, con una contrazione del 29 per cento, mentre gli over 65 e più passeranno da 13,9 a 16,3 milioni, un aumento del 18 per cento. Tre anziani per ogni bambino e ragazzo. Numeri simili dall’Umbria: “Dal 2008 crollo del 42 per cento delle nascite”. Genova, in cinque anni, ha già perso 23mila abitanti. “Tracollo demografico, i morti sono tre volte i nati a Genova” (peggio della media nazionale).
Alla fine del secolo, l’Italia tornerà ad avere gli abitanti del 1883. Più che numeri, lapidi sulla società italiana. Il demografo francese Alfred Sauvy osservava che la demografia è come la lancetta corta dell’orologio: sembra immobile, ma è la più importante. Presto che è tardi.
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