Come vincere la nostra avvincente stupidità. Una rieducazione possibile
Le fake news fanno breccia anche tra gli istruiti. Un libro
Arrendetevi, siete circondati. Dalle idee scadute. Dalle idee morte. Da quelle che l’economista Paul Krugman chiama idee zombie, cioè – avete presente? – da quelle convinzioni che restano tali ancorché smentite da prove lampanti. Da tutte quelle affermazioni vere solo per chi le fa e continua a farle, in barba alle dimostrazioni logiche. “I vaccini fanno venire l’autismo”. “Putin è un uomo di pace”. “Non è mai esistito lo sterminio di sei milioni di ebrei” (2008, sondaggio Usa: due terzi di questi negazionisti non hanno mai sentito parlare di Auschwitz).
“Quando persone intelligenti hanno idee stupide” è il titolo di un saggio firmato da Steven Nadler e Lawrence Shapiro (Raffaello Cortina editore, pagg. 216, euro 19), due professori che raccontano la prevalenza del cretino a cavallo della sua fiera persistenza nel torto, della sua ferma opposizione ai dati di realtà in nome di una guerra totale al logos. Un saggio accessibilissimo, che vale la pena di leggere anche solo per il rinfrancante sottotitolo: come la filosofia ci salva da noi stessi. Pagina dopo pagina, con le sole forze dell’epistemologia e dell’etica, i due studiosi snocciolano un’analisi dettagliata e avvincente della nostra stupidità.
Perché sì, bisogna ammetterlo: la stupidità è avvincente. Altrimenti non se ne parlerebbe tanto. Altrimenti non saremmo afferrati dal desiderio invincibile di seguire, scanalando nottetempo, certi sbirulini della geopolitica televisiva che ci mandano a letto coi nervi in un groppo. Altrimenti non scrutineremmo con scrupolosità gli account dei complottari per scovare l’ennesima aeronautica scemenza che hanno lanciato, con invidiabile successo, nello spazio. Altrimenti non sarebbe così difficile sconfiggerla, questa dolorosa stupidità. E invece no, invece ti guardi in giro ed è sempre peggio, è sempre più insidiosa, demoniaca, budellare e infaticabilmente riproduttiva, mentre genera errori dentro a errori dentro a errori, smontare i quali, per il povero argomentatore razionale – vero mestiere usurante – risulta, a volte, tanto laborioso da essere impossibile.
Il saggio parte da una diagnosi brutale. “Una parte significativa della popolazione americana non pensa in modo ragionevole e responsabile”. Il punto – scrivono Nadler e Shapiro – è che non si sceglie di essere stupidi, e anche persone intelligenti o istruite possono pensar male. Ma se molti psicologi sostengono che in realtà abbiamo poco controllo su ciò che crediamo, è altrettanto vero che se funziona così per tutte le nostre convinzioni, dovremmo allertarci. Tuttavia, buone notizie: al pensar male c’è un rimedio. Perché possiamo rieducarci. Niente gulag, solo buona volontà. Come sempre, l’unica disciplina che conta è quella che riusciamo a darci da noi, sforzandoci di praticare quella “vita esaminata” di cui parlava Socrate, sicuri che la consapevolezza di ciò che non sappiamo è ciò che ci fa fiorire come individui; al contrario, “ogni volta che sposiamo una credenza – parole del matematico W.K. Clifford – indeboliamo le nostre facoltà di autocontrollo, di esercizio del dubbio, di valutazione giudiziosa”. Insomma, cominci male, finisci peggio.
Il libro di Nadler e Shapiro offre spunti pratici più che analisi astratte, interessanti soprattutto per chi con la filosofia non ha dimestichezza e soffre la mancanza di un criterio da opporre alla pandemia di idiozie in circolo, sospettando di non avere tutti i dispositivi per rigettarle. Come spesso capita, è un testo venato da una contraddizione: si offre come manuale di aiuto per chi non voglia farsi sommergere dai flutti venefici dell’irrazionalità diffusa, ma sarà letto da chi, quei flutti, li ha già individuati e in parte scansati. Il che, però, lo rende perfetto per essere regalato: un bel regalo contundente allo zio ossessionato dalle scie chimiche o dal progetto giapponese finanziato da Bilghéiz su come utilizzare le zanzare come siringhe volanti per vaccinare tutti! Tra l’altro, da ogni sua riga trapela un’ammirevole volontà transitiva, di farsi seguire e comprendere. E magari aiuterà lo zio a capire che, invece di definirsi scettico, dovrebbe sospettare di essere, tristemente, solo un cinico.
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