I fratelli son stanchi
La tv generalista insegue i social ma è sempre più in crisi. Eppure la politica ancora ripete le parole del Gf Vip
Attorcigliata nel dolore del ricordo, pietrificata nella penombra del confessionale, Pamela Prati rievoca al “Grande Fratello Vip” l’oscura vicenda Mark Caltagirone. Quattro anni dopo lo choc collettivo (“Mark Caltagirone non esiste, non è mai esistito”) è il momento delle accuse, dei chiarimenti, della catarsi. E’ la svolta “giorno in pretura” della saga più fantasy-trash della tv. Altro che Tolkien e “Game of Thrones”! “Siamo qui per mettere un punto alla storia”, dice Alfonso Signorini sfregandosi le mani trepidante, “il tuo Pamela è un atto d’amore dovuto verso il pubblico” (ultimo happening televisivo prima di una raffica di disgrazie, il fantasma di Mark Caltagirone ci riporta in effetti al mondo spensierato di prima, niente virus, lockdown, guerra, minaccia nucleare, bollette, eravamo felici e non lo sapevamo). Come una Medea del Grande Fratello, avvolta in un abito sacerdotale, con gioiellone di bronzo al collo, Pamela Prati squaderna i dettagli più macabri della tragedia. Le lacrime arriveranno quasi subito. E’ un racconto straziante. Una seduta di analisi. Anche a distanza di anni, mantiene intatta la sua forza: “Mark l’ho conosciuto in un ristorante, però non l’ho mai visto, dicevano che gli piacevo, mi seguiva su Instagram, costruiva oleodotti in Siria, aveva adottato un bambino con un tumore alla gola, si chiamava Sebastian … mi dicevano che saremmo stati perfetti insieme, però non potevamo incontrarci perché Mark era un collaboratore di giustizia”.
Con il caso Bellavia, il format “Grande Fratello” tocca il punto più basso, ma è inevitabile. Gli psicologi del Lazio “aprono un’istruttoria”
Sono cose che ricordiamo bene (come dimenticare un incipit del genere? C’è dentro Hitchcock, “La vita in diretta”, “The Bourne Identity”, “Uomini e donne”, le fiction Rai sui pentiti, tutto). Nella dilatazione mostruosa di una vicenda trascinata per mesi e mesi ci eravamo persi i dettagli. Spunta così il “video-choc” di Pamela Prati sola, in terrazza, con torta e palloncini, mentre festeggia il compleanno di Sebastian (che non c’è) e gli manda baci e auguri. All’epoca fece anche scalpore l’ammissione del sexting. Lei che si era “concessa in tutto” al bel Mark. Quindi ore di amplessi virtuali, ma sempre nell’attesa delle nozze, con la promessa di una nuova vita “tra la Costa Azzurra e l’America”. Ora tra i singhiozzi del pianto, col fazzoletto in mano, in piena riviviscenza del trauma, Pamela Prati confessa: “Facevamo l’amore al telefono, gli mandavo le mie foto nuda, lui mi mandava le sue, ma erano senza testa”. In tutta la drammaturgia di Ionesco, Beckett o Achille Campanile non c’è passaggio che regga il confronto. Solo che qui si pretenderebbe il tragico, la compassione. Ripescata oggi, la saga Caltagirone si allinea così ai tempi nuovi. Dentro la cosiddetta truffa, ecco soprusi, traumi ramificati nell’infanzia, violenze, ricatti, anoressia, istigazione al suicidio, dolori e sofferenze indicibili che si consumano nell’indifferenza generale, insomma tutto il repertorio della vittimizzazione. In televisione, si sa, non si butta mai niente.
La riesumazione di Mark Caltagirone diventa così un controcanto del “caso Bellavia”, lo scandalo di quest’anno. In un gioco di rimbalzi tra passato e presente, anche Pamela Prati è lì in memoria della prima edizione, per rivivere e rievocare la sua uscita polemica dalla casa nel 2016, come una grande diva del muto (“chiamatemi un taxi, portatemi le valigie!”). “Ho fatto la storia della tv”, spiega ora all’influencer Alberto De Pisis, forse all’epoca troppo giovane. Come Gloria Swanson a William Holden in “Viale del tramonto”: io sono ancora grande, è la casa del Grande Fratello che si è rimpicciolita. Siamo in pura mitopoiesi: la memoria, la storia orale, l’epica, io c’ero, ho fatto il primo Gf Vip.
Ma in questa edizione, con l’ingresso della depressione, lo spettro di una malattia mentale di Marco Bellavia, di sicuro la gran voglia di rivalsa televisiva dell’ex “Bim Bum Bam”, oggi mental coach 4.0 (qualsiasi cosa voglia dire), il format tocca uno dei punti più bassi, e allo stesso tempo inevitabili, della sua evoluzione. Lui che rantola sul pavimento. Piange, si dispera. Gli altri reclusi che lo sbeffeggiano. L’ordine degli psicologi del Lazio apre “un’istruttoria per il comportamento di Gegia” (il Codacons si butta invece sui conflitti di interesse di “Ballando con le stelle”). Terapeuti, esperti, medici, tutti intervengono sui giornali per dire la loro su sintomi, prevenzioni, rischi e fragilità varie. Lo scorso anno era toccato alla “disabilità”, con la partecipazione di Manuel Bortuzzo. Il caso-scandalo di questa stagione vola sulle ali del “bonus psicologo”. E’ il tentativo di fare della “casa” lo specchio dei tempi, di inseguire e cavalcare la cronaca, l’attualità, le trasformazioni sociali, di “ruminare quello che c’è nella realtà”, come dice Andrea Palazzo, uno degli storici autori del programma. “Quest’anno ci adegueremo a norme molto rigide sul risparmio dell’acqua”, spiegava Signorini presentando la nuova stagione, “nella casa si farà la differenziata, ci sarà grande attenzione per l’equilibrio eco-ambientale”. Un’impennata green cui si potrebbe dare seguito con un momento di teatro civile, alla Marco Paolini: i concorrenti del Gf Vip leggono la bolletta del Palastudio di Cinecittà.
Naturalmente il tracollo di Marco Bellavia non ha nulla da dirci sulla malattia mentale. Racconta semmai del rapporto sempre più stretto tra tv e social. Di come siano questi a dettare legge ormai anche in fatto di share. Sulla scia dell’hashtag #Iostoconbellavia gli spettatori inferociti hanno imposto una svolta alla drammaturgia del programma. Il sistema Signorini è franato sotto l’indignazione del pubblico. I capisaldi della scrittura dei reality cedono il passo ai flussi dei social. Da un lato, questi eventi performativi con cui fatalmente deve aprirsi ogni edizione (scandali, polemiche, vittime sacrificali designate) hanno la funzione di far volare gli ascolti. Dall’altro, diventano subito nutrimento dei social e sortiscono ormai l’effetto contrario: gli spettatori si dissociano, gli sponsor scappano, i ricavi crollano. Più aumenta l’onda di sdegno social, più diminuisce l’audience in tv. Era già successo con il caso Aída Nízar, bullizzata, messa in mezzo pure lei, anche lì con tracollo emotivo a seguire. Anche lì fuga degli sponsor.
La reputazione social batte la visibilità televisiva. L’indignazione a ciclo continuo a botte di hashtag rende la vita difficile agli autori
La reputazione social batte la visibilità televisiva. Gli autori, invece, sembra ragionino ancora alla vecchia maniera: agli ascolti bassi della prima puntata, segue una trovata a effetto (bestemmia-scopata-rissa-altro-a-piacere) con probabile risalita del programma. Ma col tribunale permanente dei social, con l’indignazione a ciclo continuo a botte di hashtag, è tutto più difficile. Meno governabile. Imprevedibile. La prima puntata del Gf Vip di quest’anno è stata la meno vista di sempre. Ha superato il record negativo della quinta edizione, nel 2020. Gli ascolti diminuiscono puntata dopo puntata. Un tempo ci si rallegrava per questi dati (ah che bello, gli italiani mollano il trash, si buttano sulla cultura). Era quando ci si dava molte arie dichiarando di non guardare mai la tv. Di non averla mai vista o quasi. Di non averla neanche in casa. Oggi nessun ventenne resterebbe impressionato da uscite del genere. Non avere la tv, non guardarla, o guardarla solo a forma di clip sullo smartphone è la norma. Tutti o quasi i debutti televisivi di questa stagione, Mediaset in testa, sono in calo più o meno vertiginoso. C’entra un po’ l’effetto pandemia, che durante il lockdown aveva gonfiato gli ascolti, come una bolla immobiliare applicata allo share. Ma non è solo questo.
La stagione dei talk-show è ricominciata e quasi non ce ne siamo accorti. Eppure, i temi non mancano: il ritorno del fascismo, il governo, il totoministri, l’impennata della guerra. Ma il pubblico non vuole saperne. Si aspetta l’Armageddon switchando semmai su Netflix e facendo scrolling su Twitter, Instagram, TikTok, Twitch. Persino i late-night americani se la passano male. Lancia l’allarme il New York Times che parla di un generale calo di interesse per questi programmi. Alcuni chiuderanno, altri cambieranno fascia oraria, celebri conduttori mollano (e se se la passano male Trevor Noah, James Corden o Jimmy Fallon, figuriamoci i nostri).
Persino i late night americani se la passano male. Lancia l’allarme il Nyt: alcuni chiuderanno, altri cambieranno fascia oraria
Per accorciare la distanza tra tv e smartphone il Gf Vip sfodera Giulia Salemi, modella lanciata nella galassia delle celebrities grazie a una comparsata smutandata sul red carpet di Venezia qualche anno fa. Al Gf Vip veste i panni della “portavoce dei social”. Seduta in studio, accanto a Signorini, Giulia Salemi legge i tweet più popolari. Come in una rielaborazione trash della lavagna di Diego Bianchi a “Propaganda Live”. Doveva essere la grande novità del programma, ma ovviamente non funziona. E’ una cosa già vecchia. L’integrazione social-televisione resta la grande chimera di questi anni (il matrimonio tra Instagram e la vecchia tv generalista si celebrerà forse solo con Chiara Ferragni al prossimo Sanremo). La nostra è una tv fatta di volti più che di concept e meccanismi narrativi. Mentre in tutto il mondo il format detta legge, da noi anche il programma più collaudato e globale diventa sempre “un programma di”. Il “Grande Fratello” di Signorini, quello di Barbara D’Urso, di Ilary Blasy. Ognuno a immagine e somiglianza del conduttore. Come il Sanremo di Baglioni, di Fazio, di Carlo Conti, di Amadeus. Ma con i format pensati per un mercato globale, quest’approccio diventa un problema.
Qualcosa in tv è cambiato per sempre. Tranne che per le dirette di catastrofi, elezioni, matrimoni o funerali epocali, televisione e attualità sono ormai sempre meno collegate una con l’altra. La tv italiana è una finestra spalancata sul passato. Non è più solo la “vogue” di una nostalgia sparsa ormai da trent’anni in tutti i format, il “come eravamo” dei vecchi programmi di Fazio, di quelli nuovi di Carlo Conti, delle Arene Suzuki coi maschi boomer che si commuovono per Samantha Fox o di Techetecheté. Il passato è oggi l’unico richiamo significativo, la cifra, la forza, la forma prediletta dell’autarchia televisiva. Come una forma di resistenza. Come una valida alternativa al sempre-nuovo delle piattaforme. Vecchie glorie di “Bim Bum Bam” che crollano sotto i colpi del bullismo. Marta Flavi a “Ballando con le stelle” che elogia il primato morale della sua “Agenzia Matrimoniale”, una tv elegante, vera, autentica, mica come i reality di Maria De Filippi. Wanna Marchi che ricompare da Giletti, in promozione per conto di Netflix, subito riciclata in salsa “vitalizi” (“vivo con seicento euro di pensione”). Si rivede anche La Russa, come nel Berlusconi IV, con gli stessi discorsi sulla riappacificazione, lo sdoganamento, l’onda lunga di Fiuggi. La televisione italiana si nutre di politica e la politica imita la televisione. Comporre la squadra di governo è un casting. Governare è un format. Palazzo Chigi è il reality dei giornalisti. Da settimane, intorno ai possibili ministri, lo stesso gioco di anticipazioni, voci, smentite, come nei grandi reality montati dai tabloid (sarà un Gf di “alto profilo” o un governo di opinionisti e influencer?). Come i conduttori più navigati, Giorgia Meloni crea e cavalca la giusta attesa, promette che sarà un’edizione “diversa da tutte le altre”, cambia look poco prima di andare in scena, anche a sottolineare naturalmente lo strappo con il passato. Il partito si mostra compatto, unito, pronto per questa grande avventura che lo farà entrare “nelle case degli italiani”. Dopo Rocco Casalino portavoce di Giuseppe Conte, da “Fratelli d’Italia” al “Grande Fratello Vip” il passaggio di consegne è quasi scontato. Si entra a Palazzo Chigi come nella “casa”. Lo stesso repertorio di finzioni e minuetti tra il prima e il dopo, la retorica della sfida, la prova, il “mettersi in gioco”. Anche il claim del programma di Signorini sembra perfetto per la storica, epocale vittoria della destra a cento anni dalla marcia su Roma: “Niente sarà più come prima: stiamo tornando”.
Comporre la squadra di governo è un casting. Giorgia Meloni crea la giusta attesa, promette che sarà un’edizione “diversa da tutte le altre”
La tv in fondo sembra fatta apposta per questo. Déjà vu, revenants, fantasmi che ritornano. Mentre la rincorsa affannosa del pubblico dei social, dell’ultimo meme, della battuta o del “gesto del giorno” rimbalzato tra Twitter e TikTok non funziona mai. Il povero Ossini che a “Uno Mattina” si taglia una ciocca di capelli per solidarietà con le donne iraniane sembra uscito da una televendita di prodotti di bellezza, non dall’ultima moda di Instagram. Nell’oceano di uno share in calo pressoché ovunque, nella disaffezione del pubblico per le vecchie formule televisive, resta insoluto il mistero “Paperissima”. Ascolti sempre alti. Addirittura in crescita. Quest’estate ha superato anche “Techetecheté” (in caduta libera pure lui). Forse perché nella sua struttura così povera, elementare, ripetitiva, con quel repertorio sconfinato di clip di scherzi, incidenti domestici, gattini che zompano in aria, momenti scemi di vita quotidiana è la cosa più vicina a internet che ci sia in tv (altro che tweet letti in studio). Una specie di TikTok per anziani. Coi capitomboli al posto dei balletti.
I guardiani del bene presunto