decennio '82/'92
L'Italia in duplex, tra gettoni e numeri di telefono da ricordare
Pagine bianche, una voce fuori dalla finestra: fino alla diffusione del cordless, il fisso imponeva immobilità. Quel modo di comunicare senza privacy non c’è più, e forse il nuovo ci ha resi inutilmente seri
Lo sanno tutti che le vecchie generazioni trovano grande sollievo nel salvare la faccia.
Don DeLillo, “Americana”
Diventavano insoffribili gli uggiosi pomeriggi delle domeniche di fine ottobre come questa, nemmeno pensate quali vigilie di Halloween ma al più di Ognissanti, quando non si poteva ancora essere nerd ma al più secchioni. Diventavano insoffribili perché “tanto il telefono non squilla”, cantava Antonello Venditti in uno scoraggiante brano d’allora intitolato proprio Buona domenica. E se il telefono non squillava era spesso a causa del duplex, la calvinista formula di abbonamento alla Sip che garantiva un robusto risparmio sul canone ma si scontava con la condivisione della linea tra due utenze.
Così, se due piani più su il tuo coetaneo Riccardo si dilungava nella conversazione o nel bisticcio con la fidanzata, tu non potevi telefonare alla tua né riceverne la chiamata per prendere un appuntamento, salvo scendere a cercare una cabina funzionante (sperando di avere i gettoni e che la tua ragazza non fosse vittima a sua volta di un altro duplex). Perciò, dopo logoranti appostamenti alla cornetta per agguantare la linea libera un istante prima dell’avversario, si addiveniva a un gentlemen’s agreement con Riccardo sugli orari del sentimento: tu chiami tra le otto e le nove, io tra le nove e le dieci o viceversa; io stasera ci debbo litigare, anticipami la giurisdizione sul telefono e a buon rendere. Ai figli di case duplex la doppia coppia evocava questo patto anche se capitava come punto al poker, mentre nei loro genitori, deprivati dell’accesso al telefono, alimentava un dilemma: il passaggio all’abbonamento simplex se erano d’indole progressista; l’applicazione del lucchetto alla rotella numerica se covavano tendenze autocratiche.
L’Italia dello smartphone non può capire l’Italia del duplex tranne che in rari frangenti come quello del 25 ottobre scorso, quando un down di WhatsApp ha suscitato per un paio d’ore negli utenti un sentimento comparabile ma non assimilabile. L’ultima rievocazione spetta a Maurizio Costanzo, che ha appena pubblicato il libro Smemorabilia. Catalogo sentimentale degli oggetti perduti. Cresciuto anche lui in una casa col duplex, ne rammenta ulteriori inconvenienti: “Fu un concerto di interferenze, di involontarie sortite negli affari degli altri, di parolacce e bestemmie che s’innescavano nella tua conversazione”. In più, fino alla diffusione degli apparecchi cordless, il telefono fisso imponeva l’immobilità e a seconda della collocazione domestica “la privacy era poca o nulla”. Coautore dei versi di Se telefonando, musicata da Ennio Morricone e reputata fra le migliori interpretazioni di Mina, Costanzo ricorda cabine e gettoni della Sip come “un luogo dello spirito romantico dei miei tempi, sparito nel nulla”. “Come è cambiato il senso della comunicazione, è impressionante a pensarci: dovevi centellinare i minuti, ogni gettone ti garantiva quella manciata di parole, poi cadeva la linea, e se avevi detto tutto quello che volevi dire, bene, sennò ti arrangiavi”.
Un trentenne avventuroso che volesse esplorare nuovi mondi li troverebbe, interpellando più della geografia la storia, in un viaggio breve nella generazione precedente. Forse una settimana non resisterebbe, ma un weekend nel decennio ’82/’92 gli procurerebbe una digeribile dose di emozioni e la coltivazione di specifiche virtù: il rumore dei gettoni inghiottiti con la voracità della teleselezione per incrementare la capacità di sintesi; la caccia a una cabina efficiente come misura del livello d’intuizione e di benevolenza del fato; l’attesa che uno sconosciuto termini la conversazione quale addestramento alla pazienza; la consultazione delle Pagine bianche alla ricerca di un numero come parametro delle diottrie. Si perpetuava fino a non molto tempo fa la consegna annuale dei nuovi elenchi telefonici e dello stradario, con un rito immancabile come la discesa degli zampognari sotto Natale. Fa alquanta nostalgia ripensare ai ponderosi volumi (che constavano a Roma o Milano di due tomi) la cui scomparsa procura, però, anche un certo sollievo.
Sgomentavano Giorgio Manganelli: “Disposti su parallele colonne, minutamente stampati, stanno cognomi e nomi, vie e piazze e numeri: numeri che designano case, e infine il numero telefonico, misteriosa combinazione talmudica… Chi sono quei cognomi e nomi? La convenzione racquietante vuole che siano indizi di esseri esistenti; e poniamo che sia vero: ma di costoro si presuppone anche una egizia immobilità, mummia e statua; l’elenco descrive una città di esseri asettici, disamorati, o morti e immortali”. Spesso gli intestatari dell’utenza benché defunti da anni persistevano stampati, come adesso per affettuosa delicatezza fatichiamo a eliminare dallo smartphone un contatto purtroppo diventato inutile. Perché una rubrica telefonica non è mai asettica neanche in digitale, ma al tempo in cui era infilata tra l’apparecchio bigrigio e le Pagine bianche dava di sé testimonianza fisica, cartacea, con la rilegatura sfilacciata, la consunta similpelle e le cancellature o sovrascritture di numeri e nomi fatte da mani e inchiostri diversi, perché le rubriche si gonfiavano e invecchiavano con la famiglia, inseguivano cambiamenti d’indirizzo e di destino dei contatti registrati e si sgualcivano per gli usi affrettati o nervosi, per esempio se il tizio cercato d’urgenza era l’idraulico o un pediatra, di quelli che esploravano la gola dei bambini col cucchiaio consigliando di frequente di asportare le tonsille (anche la storia della medicina attraversa le mode).
Però i numeri più intimi, che oggi nemmeno ricordiamo a memoria non avendo bisogno di comporli, al tempo del simplex e del duplex li tenevamo a mente: casa dei nonni (sovente gli egemoni materni), gli amici stretti, la ragazza e anche l’ex ragazza, le cui cifre restavano impresse nella testa molto dopo l’addio pur volendole abolire. Non c’erano in compenso password da preservare tra l’82 e il ’92, tra l’anno della vittoria ai Mondiali di Spagna e quello in cui iniziò Mani pulite, nella decade che finiva col governo Amato ed era cominciata dai due “governi fotocopia” Spadolini: cadde il secondo per lo scontro Formica-Andreatta, definito come “litigio delle comari” in un mondo ancora senza giustizieri dello schwa.
La preoccupante equivalenza che tradisce talvolta scrivendo chi è nato dopo il duplex, tra i tempi verbali del passato prossimo e dell’imperfetto, è sintomo di quanto molti nomi – Spadolini, Fanfani, Natta – risultino ormai svaporati nell’indistinta nube della storia accanto a quelli di Mazzini, Giolitti o Depretis. E chi sa più collocare nella giusta cronologia Longo, cognome in duplex di un certo Luigi e di tal Pietro. Per non parlare delle sigle: Psdi, Pli, Pri, Psiup, Dp. Cosa vogliono dire e che bisogno c’è di decifrarle: Google soccorre sullo smartphone mentre le Garzantine, come gli elenchi telefonici, non si portano più. Prendevano assai spazio e non si potevano aggiornare all’istante.
Nei giorni del duplex, quando c’era un solo tipo di bacio Perugina e una sola estrazione del lotto alla settimana ma tanti giornali del pomeriggio; quando le morti si apprendevano dai necrologi sulle pagine locali perché non c’era Facebook; quando una nuda boccia d’acqua ospitava i pesciolini rossi nel loro giro demente fino alla morte; quando le sigarette si compravano anche sfuse, allora, in quel periodo, se dovevi cercare un amico per proporgli di uscire mentre il telefono di sopra era impegnato da Riccardo, andavi sotto casa a chiamarlo.
Al citofono o a voce. Per esempio: “Gaetano! Gaetanooo!”. Ed è questa la scena iniziale di Ricomincio da tre, che arriva nelle sale nel 1981, e l’implacabile Lello Arena continua a gridare il nome dell’amico finché Gaetano/Massimo Troisi, indolente ma esasperato, scende a zittirlo. E dalla prima scena, che ne replicava una vissuta da tutti – certe volte chiamanti, altre chiamati – si capiva che quel film parlava proprio di noi, napoletani e no. Perciò fu clamoroso il successo. Fosse adesso, bisognerebbe riadattarne la sceneggiatura tenendo conto di WhatsApp. Riuscirebbe lo stesso benissimo Troisi, che immaginiamo sempre riapparire un giorno o l’altro dicendo che in tutti questi anni è andato a letto presto, ma nell’attesa si può solo chiedere un parere ad Anna Pavignano, coautrice di Ricomincio da tre e sua compagna d’allora: “Mi è capitato di rileggere una sceneggiatura che avevo scritto negli anni precedenti all’avvento di internet: funziona ancora tutta sotto il profilo delle relazioni umane e delle emozioni, a patto di un congruo riadattamento alle nuove tecnologie. La forma cambia ma la sostanza rimane uguale, anche se un amico forse non andrebbe più sotto casa di Gaetano per chiamarlo”.
Cosa hanno regalato questi anni e cosa mai avranno rubato: “Ci hanno tolto il piacere dell’attesa”, dice Anna, “perché ogni possibilità di connessione è sempre a portata di mano. Non sono una nostalgica ma mi manca un certo mistero di prima. Per esempio non ho mai capito come fosse possibile, allora, darsi un vago appuntamento su un’isola greca per l’estate e davvero ritrovarsi lì, senza sentirsi a telefono, anche se uno partiva da Napoli e l’altra da Torino. Ricordo che dalla vacanza chiamavamo i genitori magari solo giorni dopo, con la scusa di non esserci riusciti prima. Ora sarebbe inconcepibile: se vedi che tuo figlio per un giorno non si è collegato a WhatsApp subito ti spaventi. Questa costante connessione ci ha portati, per paradosso, a un’apprensione maggiore. Anche chi ha vissuto l’èra analogica, se internet gli salta, si sente disorientato”.
È mutata la percezione dei giorni e delle ore: “La vita era più lunga”, nota lo scrittore Giuseppe Culicchia. “La tecnologia ci ruba ciò che abbiamo di più prezioso, il tempo. È vero: per fare un bonifico non dobbiamo più andare in banca, ma passiamo ore e ore a guardare schermi, attraverso cui passano anche i rapporti umani. Per tacere delle libertà che ci sono state sottratte: il tempo del duplex”, aggiunge, “era anche quello delle cabine telefoniche. Non eravamo costantemente raggiungibili. Erano più libere le nostre giornate, le nostre serate, le nostre vacanze”.
Chissà allora se il 29 giugno del 2007, data d’arrivo del primo iPhone nei negozi, non sia stata ceduta a questo “asso pigliatutto tecnologico”, come lo chiama Costanzo nel libro, anche una certa facoltà di spirito, quella che lui assegna per epitome all’epopea filmica di Amici miei: “Forse siamo diventati un popolo inutilmente serio. Non so perché, non so cosa sia successo davvero e come sia cambiato il dna degli italiani in questi decenni, di certo abbiamo vissuto dopo Amici miei, un periodo di birignao, di sopracciglio alzato, di illusoria convinzione che guardare dall’alto in basso quella leggerezza fosse il modo per stare davvero più in alto… invece, l’unico risultato che registro è che non si ride più”.
Maledetto sul momento, forse il duplex dovrebbe essere ribenedetto oggi per averci privato di quell’esile connessione telefonica negli uggiosi pomeriggi domenicali, costringendoci a scendere per cercare Gaetano o a stenderci sul letto a rileggere un romanzo di Kerouac, il quale nell’82 avrebbe compiuto sessant’anni e nel 2022 addirittura cento. Sfilando da uno scaffale Sulla strada o Il Dottor Sax negli Oscar Mondadori, con la quarta di copertina punteggiata dalle zanzare spiaccicate d’estate, subito riaffioravano i ricordi abbandonati al mare o in un campeggio. Forse riaffiorano anche adesso, tanti anni dopo, a riprendere quei tascabili se non li hai smarriti o gettati o prestati per sempre o traditi per il kindle, con cui risulta sconsigliabile schiacciare zanzare sui muri. È invece quasi certamente inutile tornare sulle tracce di Gaetano, di Riccardo del duplex o chi per loro. Forse non ci sono più o hanno cambiato casa o non li riconosceresti. Se bisogna proprio fare un tentativo, non c’è che da impugnare lo smartphone e provare con Facebook.