In morte di Kaiser Franz
Franco Tatò, il super manager poco amato dalla politica che riscrisse il futuro di Enel
Nell’arco di sei anni seppe trasformare la compagnia energetica da vecchia azienda delle partecipazioni statali in una realtà moderna e capace di stare sul mercato nazionale e internazionale. Un capolavoro nella carriera del dirigente scomparso
Franco Tatò è morto alla bella età di 90 anni, dopo una vita lunga e intensa, piena di risultati, ma scarsa, forse, di pubblici riconoscimenti. Sicuramente meno di quanti ne meritasse. Colpa probabilmente del suo carattere brusco, al limite della durezza. Che era anche la sua migliore qualità.
Laureato in Filosofia, svezzato alla carriera manageriale in Olivetti, passato due volte nelle aziende di Berlusconi, in Fininvest, là imposto da Cuccia a Berlusconi che l’aveva carica di debiti, e in Mondadori. Più varie parentesi all’estero, in particolare in Germania, che gli regalò il nomignolo di Kaiser. Raccontava che là, arrivato per risanare un’azienda in grave crisi, trovò il piazzale pieno di lussuose auto destinate ai dirigenti. Che furono vendute il giorno stesso, tanto per far capire che aria tirava. La stessa che evidentemente avvertiva Berlusconi che con il gusto della battuta che certo non gli manca ebbe a dire una volta: “Quando Tatò mi guarda mi sento come un costo da tagliare”. Franco faceva parte della categoria dei risanatori, detti anche dai nemici “tagliatori”. Quelli che chiami quando la situazione si fa disperata e gli azionisti ne sono i primi responsabili. Negli anni Novanta lui e Bondi, un altro duro che andava dritto al punto, si sono spartiti quella fama. Ma chi sa un po’ di queste cose sa anche che risanare e tagliare non vuol dire ammazzare il paziente. Al contrario, se sei bravo, significa rimetterlo in piedi abile a camminare con le sue gambe e senza respirazione artificiale. Anche se la terapia comporta qualche sofferenza.
Il capolavoro di Franco Tatò è stato certamente il suo periodo all’Enel. Nell’arco di sei anni, ma la maggior parte delle cose avvenne nel primo triennio dal ’96 al ’99, seppe trasformare Enel da vecchia azienda delle partecipazioni statali in una moderna azienda capace di stare sul mercato nazionale e internazionale. Da questo punto di vista Franco Tatò può essere veramente considerato il padre della moderna Enel. Certo il quadro di comando dell’azionista pubblico aiutò non poco. Presidente del Consiglio era Prodi, al Tesoro, l’azionista, c’era Ciampi e il direttore delle partecipazioni si chiamava Mario Draghi, e con lui c’erano giovani come Scannapieco e Grilli. All’Industria c’era il miglior Bersani, quello delle liberalizzazioni. Non credo ci sia più stata combinazione tanto felice. L’elenco delle cose fatte in tre anni avrebbe richiesto in un’azienda “normale” alcuni lustri. Enel fu collocata in Borsa, all’epoca la più grande Ipo mai fatta, per un totale di 15 miliardi di euro, incassati dal Tesoro insieme a ricchi dividendi ordinari e straordinari. Tre società di generazione furono vendute facendo nascere nuovi player e la concorrenza nel settore elettrico, mentre nasceva anche l’ Autorità per l’energia. Il parco termoelettrico fu completamente rifatto e, in anticipo sul resto del mondo, fu letteralmente inventato il contatore digitale, installato nelle case di 30 milioni di italiani. Fu fondata Wind con azionisti, oltre a Enel, France Telecom e Deutsche Telecom. Fu separata la rete di alta tensione dando vita a Terna e furono collocate in Sogin le residue attività nucleari. L’ attuale panorama elettrico italiano è in gran parte conseguenza di quelle scelte.
Nella seconda parte del suo mandato, Tatò cercò di perseguire il disegno della multiutility, scelta molto osteggiata da chi ne temeva una posizione dominante. Ma che non fosse un modello sbagliato lo si vede nello stato di salute delle multiutility che hanno come azionisti diversi comuni italiani. Tatò era un teorizzatore estremo della linea retta come strumento di congiunzione fra due punti. Contro gli arabeschi. Che voleva dire “andiamo dritti al punto” senza deviazioni. Una volta provai a spiegargli che i tornanti in montagna sono necessari quando la pendenza è troppo aspra. E questo valeva anche nelle aziende e nei rapporti con il mondo esterno, che per Enel era fatto soprattutto da stakeholder politico-istituzionali. Non credo di averlo convinto. E per questo la politica lo ha forse sopportato, ma mai amato.
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