il caso
Femministe che scappano dai media liberal. Il caso Hadley Freeman
Dopo 22 anni di onorato servizio da columnist, la giornalista se ne va dal Guardian per raggiungere The Sunday Times. Tutta colpa di un reportage che non si poteva fare. "Stupefacente che i media progressisti abbiano regalato un autogol così alla destra", ha scritto alla direttrice Viner
Il reportage su Mermaids, la charity che si occupa di disforia sessuale negli adolescenti, non si poteva fare. Non si è mai potuto fare, sebbene ora sull’argomento ci sia un’inchiesta. E quindi Hadley Freeman, penna magica e voce ironica e appassionata del Guardian, ha dovuto unirsi alla scia di donne anglosassoni che hanno rivisto il loro percorso professionale, nei giornali, in politica o nell’accademia, perché di certi argomenti, nella fattispecie bendaggi per il seno forse dannosi per la salute offerti da Mermaids alle ragazzine all’insaputa dei genitori, non si può parlare, punto e basta.
Come la femminista storica Suzanne Moore, anche la quarantaquattrenne Freeman se ne va dal Guardian, dopo 22 anni di onorato servizio da columnist dal seguito oceanico per raggiungere The Sunday Times, casa Murdoch, dietro il paywall rigidissimo di un giornale meno ossessionato dalle sue credenziali liberal. Inizierà a gennaio, la notizia è uscita da qualche settimana, mancavano i dettagli. “Io e te lo sappiamo da un po’ di tempo che non sto più bene al Guardian”, ha scritto Freeman in una lettera alla direttrice Katherine Viner uscita con un certo clamore sul pettegolissimo Private Eye. “E’ stupefacente che i media progressisti abbiano regalato un autogol così alla destra, chiudendo gli occhi sui dubbi e sulle tutele per paura che, agendo diversamente, ci sarebbero state accuse di bigottismo”, ha proseguito la columnist, che ha fatto dello spirito indagatore e dello stile confidenziale il suo marchio di fabbrica. “Hai detto che entrambi i lati del dibattito sul gender sono ugualmente appassionati, ma che solo una parte richiede la censura. Ecco, mi sembra che al Guardian sia questa fazione ad aver vinto”, ha aggiunto la giornalista, riferendosi al modo in cui Viner aveva reagito alle dimissioni di Suzanne Moore dopo la lettera in cui ben 330 dipendenti della testata – mica solo giornalisti, ma anche tecnici, gente del commerciale o dell’amministrazione dalle sedi di tutto il mondo – si erano detti “delusi dalla decisione reiterata di pubblicare punti di vista anti-trans”, andando a “interferire con il nostro lavoro” e “rafforzando la nostra reputazione di pubblicazione ostile ai diritti dei trans e ai dipendenti trans”.
Ai tempi, nel 2020, Moore si era lamentata della scarsa solidarietà ricevuta all’interno del giornale, che oggi Freeman giudica “disfunzionale”, con la redazione terrorizzata di dire qualcosa di “sbagliato” sui temi controversi come le questioni di genere, su cui ormai esiste una “censura”. Un tempo, ricorda Freeman, l’argomento più bollente era il medio oriente, commentato da due giornalisti di visione opposta a cui “mai nessuno ha detto che non potevano scrivere perché avevano opinioni troppo forti sul tema, o per le loro connessioni personali o perché ne avevano già parlato, come è stato detto a me e altre donne scrittrici sul tema del gender”. Ma a questo proposito, la giornalista ha sottolineato come l’aria fosse cambiata già ai tempi di Jeremy Corbyn, “quando mi era stato ripetutamente sconsigliato di scrivere di Labour dalla mia prospettiva di ebrea”.
In passato Hadley Freeman aveva parlato con passione del tentativo di mettere le voci femminili in un angoletto, schiacciandole dietro un puritanesimo di facciata che non è altro, a suo avviso, che l’ultima incarnazione di un potere maschile a cui i conformisti in cerca di visibilità si accodano senza spirito critico. Come nel caso della scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie, che ha detto che “le donne trans sono donne trans” e si è ritrovata nel mezzo di una tempesta social aizzata da una scrittrice in cerca di visibilità, salvo poi scrivere un brillante saggio, “E’ osceno”, in cui denuncia le dinamiche perverse che cercano di spegnere i dibattiti. Ma per Freeman la soluzione della direttrice Viner è stata invece quella di evitare i pezzi forieri di possibili critiche, come quello su Mermaids, attualmente al centro di un’indagine della commissione sulle charities proprio sul tema che Freeman andava proponendo: le bende per il seno.
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