tra storytelling e realtà
Occhio, cari quiet quitter: il mercato del lavoro rischia di fagocitarvi
Quelli che se ne fregano dello stipendio, si dimettono e non si rendono conto: questo sistema economico sa adattarsi e rendere irrisori i fattori esogeni, e resisterà se ci sarà una sola persona disposta a fare quel lavoro al posto tuo e a condizioni al ribasso
A quanto pare l’America è una nazione di quitter. No, non di “quiet” quitter, ma di veri quitter, perché nato come surrettizio ritorno a un grado zero di coinvolgimento sul lavoro, per arginarne le pretese, il fenomeno del quiet quitting si è invece fatto rumoroso. Ma se il vento atlantico soffia forte sulla nostra penisola da più di mezzo secolo, il fatto un po’ ci riguarda.
Dopo i burrascosi cambiamenti introdotti dalla rivoluzione digitale prima – e dalla pandemia sin troppo fisica dopo –, si è innescata una corsa allo slogan che potesse racchiuderli meglio: dai job hopper che saltano da un lavoro all’altro, alle dimissioni di massa e ai mantra come YOLO, “you only live once”. Tutte buzzword che, ammettiamolo, guardando i videotape girati a parco Lambro nel 1977 ci sembrano già meno dirompenti.
Vivendo sul crinale in cui non è chiaro se un fenomeno di costume già è, e quindi se ne parla, o se viceversa stiamo reagendo a uno pseudo-ambiente alla maniera di Lippmann, l’approccio comparativo è una buona bussola per pesarne l’entità reale.
Gli americani si considerano per metà quiet quitter: i lupi della grande mela, che nella recente rivisitazione drammaturgica di Giovanni Ortoleva sono diventati “piccoli uomini”, hanno scoperto che quel fastidio alle ginocchia si è incancrenito e li ha prostrati. In verità non si tratta proprio di loro, ma dei figli dei figli, figlie delle figlie: va da sé che se #quietquitting fa trend su TikTok, non c’è stata alcuna rivoluzione di coscienza dell’artefice bensì l’ennesimo, sacrosanto parricidio generazionale.
In questa orestea lavorativa, di chi è il sangue che verrà davvero versato? Freelancing e autonomia sono miti postfordisti che hanno reso i lavoratori apolidi rispetto alle tutele del welfare. C’è chi dice che i dirigenti d’azienda stiano già tremando al pensiero di non poter capitalizzare sull’abnegazione dal sapore calvinista, ma dal Financial Times al Wall Street Journal si mettono in guardia i quitter silenziosi: la domanda di lavoro e la disponibilità al sacrificio sono a livelli talmente alti da renderne immediata la sostituzione. A rincarare la dose, Paul Krugman sul New York Times ha restituito il ritratto di un mercato del lavoro statunitense in salute: gli americani sembrano propensi all’“actual quitting”, attratti da prospettive più allettanti, ma questo veloce tasso di ricambio è stato pagato al prezzo della produttività (suonano familiari le orde di stagisti che passano a ogni stagione?).
In Italia i salti nel buio sono più radi, con ritmi di dimissioni più lenti e che interessano gruppi demografici molto diversi dalla narrazione da “estate dell’innocenza” sessantottina. Tuttavia, non siamo affatto immuni dalle influenze d’oltreoceano: vent’anni della nostra politica sono stati marchiati dalla novella dello yankee che si fa da sé e della leadership illuminata alla guida del paese-azienda.
Forse questa volta il nostro ritardo fisiologico rispetto al continente che ha prodotto i Simpson, Tiresia più affidabile del nostro tempo, può preservarci da alcune mistificazioni. Per esempio: non sarà il tuo manager a salvarti dalla relazione tossica che hai sviluppato con la cultura dell’eccellenza. Oppure, le sensazioni viscerali che provi quando devi svolgere le tue mansioni ti appartengono e non sono generalizzabili: forse una “decisione intuitiva” è quella giusta. Infine, pensa che quando Tolstoj fa sedere Levin in mezzo ai lavoratori dei suoi campi, non edulcora la fatica della falce: invece, moltiplica quello sforzo e ne fa aggancio di profonda e umana compassione. Il neotecnocapitalismo è un mutaforma: sa adattarsi e rendere irrisori i fattori esogeni, e resisterà se ci sarà una sola persona disposta a fare quel lavoro al posto tuo e a condizioni al ribasso. Finché omaggeremo il sacro totem della crescita e del consumo, il quiet quitting – o actual che sia – resterà un privilegio per pochi, per quanto diffuso sia lo storytelling di piattaforma.
generazione ansiosa