Come affrontare l'età dei tempi supplementari
Nove milioni di italiani oltre i 70 anni. Il geriatra Roberto Bernabei spiega l’importanza dei legami, del lavoro, della cura di sé
"A tutti noi è stato dato, rispetto a mezzo secolo fa, un extratime di circa vent’anni. Potremmo chiamarli anche tempi o anni supplementari rispetto a un ciclo di vita che qualche decennio fa coincideva più o meno con la vita lavorativa e si concludeva poco dopo i 60 anni”. Chi pronuncia queste parole è Roberto Bernabei, medico, che ha diretto per vent’anni il dipartimento Scienze dell’invecchiamento presso la Fondazione Policlinico Gemelli. Presiede “Italia Longeva”, associazione del ministero della Salute, ed è un geriatra riconosciuto a livello internazionale. Il padre, Ettore, è stato il direttore più celebre dell’intera storia della Rai, che ha traghettato verso la modernità. E’ stato medico del Papa, proviene da un famiglia cattolica, numerosa e longeva. “Mio padre è morto in pochi minuti ultranovantacinquenne dopo aver preparato e servito il pranzo domenicale per figli e nipoti e mia madre anche lei è morta ultranovantenne”. Ma questi tempi supplementari, una vera novità nella storia dell’umanità, cosa sono? Un’opportunità o un problema? “Cominciamo con qualche numero per capire la grandezza della cosa. Stiamo parlando oggi di quasi 14 milioni di italiani oltre i 65 anni e di 9 milioni oltre i 70. Oltre i 90 anni ci sono 800.000 persone e di queste 600.000 sono donne, spesso sole e spesso con problemi di demenza. Abbiamo anche 17.000 ultracentenari (erano 42 all’inizio del 1900). Le proiezioni dell’Istat ci dicono che se continuiamo con la bassa natalità in qualche decennio gli ultrasessantenni diventeranno la maggioranza assoluta della popolazione”.
Siamo vecchi quindi?
“Calma. Bisogna intanto capire che cosa significa essere vecchi”.
Ecco, questa è una domanda che volevo farti. Quando si diventa vecchi?
“Se ti devo dare una risposta semi-tecnica direi quando i tuoi figli, guardandoti, pensano papà (o mamma) è più lento dell’ultima volta che l’ho visto, si muove con improvvisa cautela. Questo fenomeno è un po’ la cartina di tornasole dell’inizio della decadenza fisica, è il marchio che dice da oggi sei vecchio. Ma questo momento si sposta sempre più in là, più o meno oggi intorno ai 75 anni. Dieci anni fa la soglia era a 70 anni”.
E nel frattempo?
“Nel frattempo dobbiamo imparare a gestire bene questi tempi supplementari. Ci sono molti problemi ma anche tante opportunità”.
Vediamole e cominciamo dai problemi.
“Invecchiando si diventa fragili. E affetti non da una singola malattia, ma da quattro-cinque malattie, la cosiddetta multimorbilità (cardiopatia ischemica, pressione alta, diabete, artrosi, solo per citare le principali), che si accompagnano a un diminuito 'funzionamento' ed è molto difficile per una persona in queste condizioni trovare un’unica interfaccia, un medico, che possa curare il tutto. Gli anziani sono costretti a vagare fra numerosi specialisti, che non comunicano fra di loro, o a finire per disperazione ad affollare le strutture ospedaliere che non basteranno mai. L’80 per cento delle persone che si presentano ai pronto soccorso ospedalieri sono anziani in cui esplode uno dei problemi sopracitati”.
Rimedi?
“Vari. Primo: diffidare di tutti quei trattamenti antiaging, farmaci o integratori o singole pallottole, che servono solo a far fare soldi a chi li vende. Secondo: applicare le regole che abbiamo dedotto da quelle cinque aree in cui vivono le persone più longeve, fra cui la nostra Sardegna, la Barbagia in particolare: alimentazione con adeguato apporto proteico; movimento regolare e non semplice passeggiata; mantenere forti legami sociali e familiari. Terzo: trovare un ‘centro fragilità’ con un medico e una struttura che sappia fare sintesi e indirizzare. Non al Pronto soccorso. Quarto: curarsi da sani con analisi mirate. L’obbiettivo è quello di avere negli ultimi vent’anni un andamento a rettangolo”.
Che significa?
“Immagina un rettangolo senza il lato lungo di sotto. Hai il primo lato che è quello della crescita fino ai 20 anni e poi hai un lato lungo e diritto e poi un lato che scende rapidamente e in perpendicolare. In termini medici un assetto stabile, per un bel periodo e poi una fine, perché di questo dobbiamo parlare, rapida e pacifica”.
Vuoi dire come la regina Elisabetta? Il giorno prima ha ricevuto la premier e poi se ne è andata. Il certificato di morte dice: causa della morte, vecchiaia.
“Perfetto. Occorre evitare il più possibile, grazie agli stili di vita e a quanto abbiamo prima elencato, una fine lunga e costellata da malattie croniche che rendono difficile, doloroso e deprimente l’ultimo periodo. Bisognerebbe morire come è morto mio padre, peraltro ultranovantacinquenne. Cucinando per la famiglia”.
Ok, capito.
“E poi c’e l’aspetto psicologico che è il più delicato. Gestire il proprio fine vita in modo equilibrato esige una preparazione quasi filosofica, o religiosa per chi ha fede. Solo dando un senso a tutto questo superi il senso di sopravvenuta precarietà, di sconfitta ed eviti la depressione. E’ un tema rimosso, non c’è letteratura su questo. Non ne parlano i romanzi, né i film, salvo qualche rara eccezione. La vecchiaia non è un tema sexy… ma rispetto al passato oggi riguarda milioni e milioni di persone. Ci sono molti modi per essere vecchi e per vivere la vecchiaia, ci vorrebbe un romanzo generazionale che ne parli”.
Va bene, adesso voltiamo pagina e parliamo delle opportunità.
“Lasciamo un attimo da parte gli aspetti patologici e torniamo ai tempi supplementari. Venti anni in più di vita sono tanti e una buona parte di questi riguardano persone che sono fisicamente quasi integre, ma che soprattutto rappresentano un capitale umano enorme. Hanno conoscenza, esperienza, capacità di sintesi, equilibrio di giudizio. Non ha senso considerarli solo dei pensionati a riposo in attesa della fine”.
Ma in Italia si discute di mandarli in pensione ancora prima.
“A parte i problemi di un bilancio pensionistico che diventa ogni giorno più insostenibile, oggi che una persona smetta di lavorare prima dei 70 anni è un non-sense biologico. Un settantenne oggi è una persona che ha le performance di un cinquantenne, con cervello e gambe pienamente attive. A parte chi proviene da qualche lavoro effettivamente usurante, ma numeri non certo enormi. E’ un’idea sbagliata quella per cui in questo modo si libera spazio per i giovani. A parte il fatto che ce ne sono molti di meno, il lavoro crea lavoro, non la pensione. Non mi torna allora, come avviene spesso, che le imprese paghino i lavoratori di una certa età per lasciare il lavoro. L’unico plus è per loro perché scaricano i costi sull’Inps. Mi torna, invece, un sistema molto più flessibile che consenta, raggiunta una certa età, di continuare a lavorare. Guarda cosa è accaduto nella sanità. L’obbligo per i medici di andare in pensione a 65-70 anni ha avuto due conseguenze negative. La prima è che non abbiamo medici sufficienti e ricchi di esperienza, la seconda è che molti di essi si trasferiscono nella sanità privata”.
Va bene, veniamo allora alle proposte per cambiare le cose un po’ in meglio.
“Facciamo il punto. Fino a 70 anni la percentuale di disabilità è intorno al 10 per cento. In compenso queste signore e questi signori hanno grande esperienza. Capitale umano da mettere a frutto, l’unica risorsa naturale tipo petrolio dell’Italia. E manco una trivella… Allora, quando si parla di start up tutti pensano ai giovani, ed esistono per loro incentivi di vario genere. Io farei un programma per le start up degli ultra sessantenni sciaguratamente pensionati. Che creino imprese nuove, finanziati a maggior ragione se assumono e trasmettono sapere a ragazzi, ne sono capaci e hanno l’esperienza per farlo. Dall’artigiano che ha fatto il falegname per tutta la vita al medico, al manager, allo specialista che conosce il suo settore come nessun altro. Comincio io, che sento di essere meglio oggi professionalmente, a 70 anni compiuti, di qualche anno o di molto tempo fa, la mia capacità di analisi, di giudizio e di sintesi è migliore. Anche perché corro 40 minuti tutti i giorni e peso uguale a quando avevo 20 anni…”.
Per fare questo devono restare in buona salute…
“Infatti. Dobbiamo adottare stili di vita corretti perlomeno dai 50 anni in avanti e, come si diceva, ci si deve curare da sani. Ma dobbiamo cambiare alcuni aspetti del Servizio sanitario nazionale e della cultura medica”.
Che cosa intendi dire?
“Bisogna creare figure professionali e strutture dedicate che facciano da interfaccia con soluzioni per i nuovi pazienti. Che affrontino le fragilità che mano a mano si manifestano senza disperdere le competenze in mille rivoli. Si parla per esempio molto di telemedicina , di monitoraggio a distanza. Oggi per esempio esistono indumenti, orologi e device vari che permettono di rilevare una marea di parametri fondamentali. Ma poi questi dati si sperdono in mille direzioni e non abbiamo qualcuno che li raccolga e attivi una soluzione all’eventuale problema segnalato. E dobbiamo trovare alternative all’ospedalizzazione, ovviamente con l’assistenza domiciliare che costa assai meno… ma devi saperla fare. E poi inventori e imprenditori studiate e mettetevi al lavoro: che sia una bottiglia di acqua minerale, una scatoletta di tonno o un barattolo di Nutella (oggi tutte inapribili al minimo sindacale di artrosi), che sia un appartamento o uno scaffale di supermercato (oggi inadeguati perché ricchi solo di barriere), che sia una poltrona o un mobile (oggi disegnati solo per gente fit)… c’è un mondo da riempire di manufatti semplici o ripensati perché è un mondo diverso, pieno di fragili. E l’Italia è un paese manifatturiero!”.
Bene, cose da fare mi pare ce ne siano anche troppe. E le famose istituzioni che devono fare?
“Allora, stimolato dalla nascita di un nuovo governo, dico loro di fare un ministero, unico, per la Fragilità (i minus da affrontare) e per il Petrolio (i plus da valorizzare) dell’invecchiamento. In fondo stiamo parlando di un quarto della popolazione italiana. In aumento”.
generazione ansiosa