Unsplash

Gli ultimi sono i primi

Il merito è un fattore individuale, non sociale. Lezioni da Oxford

Antonio Gurrado

Nella presitigiosa università aumentano le matricole provenienti da scuole statali e da famiglie svantaggiate. "Selezioniamo in base all’individuo, non alla categoria”: la rettrice Louise Richardson smonta tre luoghi comuni in voga

Le ultime parole della rettrice uscente dell’Università di Oxford, mosse da un intento di sinistra, asseriscono in realtà un principio di destra. Dopo sette anni da vice chancellor dell’ateneo, Louise Richardson ha dovuto infatti difendersi da un attacco perpetrato sulle pagine conservatrici del Daily Telegraph da parte di Melvyn Roffe, presidente della conferenza dei presidi delle scuole private del Regno Unito. Supportato da un’inchiesta dello stesso quotidiano, Roffe aveva ventilato l’ipotesi di un pregiudizio in favore dei diplomati delle scuole statali nella selezione delle matricole, immaginandosi perfino che, negli austeri e un po’ lugubri corridoi dei college, i professori si dessero poi il cinque tutti soddisfatti.

L’attacco è sorprendente poiché inverte una radicata convinzione giornalistica su Oxford. Era stato il Guardian, tempo fa, a indagare per dimostrare come la selezione delle matricole fosse condotta secondo il pregiudizio opposto, scartando sistematicamente gli studenti talentuosi provenienti dalle scuole statali e, in particolare, quelli cresciuti in famiglie povere, facilmente individuabili in quanto beneficiarie della mensa scolastica gratuita. A corollario veniva presentata la questione razziale, visto che molti di questi studenti svantaggiati appartenevano a minoranze etniche. Nel 2010 un’inchiesta rivelava che fra Oxford e Cambridge ben venti college non avevano offerto nemmeno un posto a studenti neri e che un college di Oxford non ammetteva matricole nere da un lustro. Qualche anno dopo il laburista David Lammy imperniava un’interrogazione parlamentare sul fatto che, nel 2016, a Oxford dieci college su trentadue non avessero ammesso nessuna matricola nera fra quelle che si erano diplomate col massimo dei voti, col record dell’Oriel college che non lo faceva da ben sei anni.

 

I numeri, che non è facile ottenere e si trovano sparpagliati su fonti talora incoerenti, sembrano collocarsi da qualche parte nel mezzo. E’ vero che nel 2018 è stato calcolato che otto scuole private avevano visto ammessi a Oxford più diplomati che quasi tremila scuole statali messe insieme; è vero anche che nel 2020 il numero di universitari neri a Oxford è salito a un ragionevole, per quanto non entusiasmante, quinto del totale. E oggi? La vice chancellor concorda coi dati del Telegraph, ossia l’incremento delle matricole provenienti da scuole statali (dal 56 al 68 per cento) e da famiglie svantaggiate (dal 10 al 23); quanto agli studenti neri, la percentuale si attesta al 25 per cento. Ciò su cui ha da eccepire, in questo dibattito sul merito, è una questione di metodo. E qui arrivano le sorprese.

 

“Sono orgogliosa del risultato che abbiamo ottenuto senza compromettere i nostri standard”, ha dichiarato al Guardian in quella che probabilmente resterà la sua ultima intervista, essendo in scadenza di mandato. Ha però aggiunto che questo risultato non è dovuto a una politica espressamente perseguita dall’università (quindi niente professori che esultano clandestinamente dopo i colloqui di ammissione) bensì al puro e semplice fatto che, grazie all’impegno nello studio e a una maggiore ambizione, gli studenti provenienti da contesti storicamente poco battuti sono riusciti a rendere meglio di chi è cresciuto in un ambiente privilegiato, magari in una famiglia che studia a Oxford da generazioni.

 

Notazione interessante, poiché implica che il merito sia un fattore individuale anziché sociale. “Selezioniamo in base all’individuo, non alla categoria”, ha spiegato, facendo crollare con una frasetta tre luoghi comuni in voga: che il contesto di provenienza sia sempre determinante per il destino del singolo, manco fossimo in un romanzo naturalista francese; che le istituzioni volte a premiare il merito perpetuino lo stato di cose bloccando quindi l’ascensore sociale; che senza categorie protette gli svantaggiati restino sempre sconfitti. Sembra di sentir riecheggiare il celeberrimo “There is no such thing as society” scandito anni fa da un’allieva oxoniana di un certo successo, Margaret Thatcher.
 

Di più su questi argomenti: