Può esistere una Juve senza gli Agnelli? Chiacchiere con un parente

Michele Masneri

Andrea, le dimissioni e la fiaba senza lieto fine del figlio di Umberto. “Se ci fosse una buona offerta, solo un pazzo non la accetterebbe, e John è tutto tranne che pazzo”, ci dice un parente serpente. Ritratto e scenari

"Fare il presidente della Juventus va bene per cinque anni, come fece suo padre, ma a farlo a vita diventi un Lotito qualsiasi". E’ severo, quasi sprezzante, l’azionista Exor, l’Agnelli che parla col Foglio a patto di non essere citato, sul caso dell’altro Agnelli, Andrea, che si è appena dimesso dalla presidenza della squadra di famiglia. “Ma lo sa quanti soldi abbiamo messo in questi dieci anni?”. Non lo so, mi dica. “Quasi cinquecento milioni. Mezzo miliardo”. Exor, la cassaforte della famiglia Agnelli, ha infatti una partecipazione del 63 per cento nella Juve. “Quindi il 63 per cento degli ottocento spesi in questi anni”, dice sempre l’azionista furibondo. Azionista e famigliare. E quel padre che poi fece “molte cose buone” era naturalmente Umberto, papà di Andrea. Una saga che non si spegne, quella Agnelli. Dopo i testamenti di Marella ecco la cacciata di Andrea, l’ultimo degli Agnelli a portare questo cognome. Loro sono la nostra unica “Succession” possibile (anzi impossibile, infatti non si può fare: c’è tutta un’industria di sceneggiature scritte e poi comprate da Torino purché non diventino film).

  

Nato il 6 dicembre 1975 a Torino, figlio del fratello più piccolo dell’Avvocato, e di Allegra Caracciolo di Castagneto, cugina prima di Marella, e pure figlia di Anna Visconti, sorella di Luchino. Quarti di nobiltà a schiovere, unico della sua generazione a chiamarsi con l’augusto cognome, è cresciuto alla Mandria, il compound golfistico torinese. Nato dentro un campo da golf. Educazione rigida, senza vezzi, cena alle 19.45 con margine massimo di 15 minuti.  Niente elicotteri né yacht come il ramo principale, niente vitalismo ramo Avvocato, anzi Fiat  Croma e Argenta di serie. No tuffi, no nudità. Sempre in soggezione psicologica col ramo principale, come il padre, Umberto, occhio a palla, “così poco Agnelli”, maldicenze: che fosse figlio di Curzio Malaparte, compagno di esilio a Forte dei Marmi di donna Virginia, ribelle mamma dei piccoli Agnelli, vedova di Edoardo perito in idrovolante.

 

Sudditanza anche per Andrea, alla ricerca sempre di un ruolo e di un’identità. Dopo la Bocconi ecco un’esperienza in Ferrari, poi alla Philip Morris dove incontrerà la futura moglie, poi all’Ifil, come si chiamava una volta Exor, poi nel cda della Fiat, come si chiamava una volta la fabbrica di casa. Si avvicina al sogno: entrare nel cuore dell’impero, conquistarlo e cambiarlo. Una Fiat ad azionariato diffuso. Nel 2005, annus abbastanza horribilis per Torino, la Fiat è sull’orlo del fallimento, per i debiti con le banche, che stanno per diventare padrone. Fine della storia. Poi con un’operazione molto spericolata si riesce a tornare a galla, arriva Marchionne, eccetera. Ma in quel momento Andrea Agnelli ha l’idea di dire ai giornali (a questo giornale) che va benissimo far entrare codeste banche, e che è l’occasione giusta per cambiare capitolo, per creare una public company all’americana. La Stampa, il quotidiano di famiglia, reagisce con delicatezza: Andrea, scrive, “parla  a titolo personale”, e il suo ruolo è quello di “stagista” nell’azienda. Fine di un percorso, di un’ambizione. Epoche dopo, Fiat risanata e francesizzata, Andrea è tollerato dal cugino Jaki, che gli affida la Juve, ma lì un altro incidente di percorso: l’anno scorso, a marzo, l’annuncio subito ritirato di un progetto “Superlega”.  E poi i guai a valanga, le inchieste, fino a oggi. 

  
Andrea è diverso anche nella riproduzione della specie. Non continua l’abitudine dinastica come Jaki (che sposa una Borromeo), sposa invece Emma Winter, inglese, da cui avrà due figli, Giacomo e Baya, e poi, con grande scandalo, si metterà con Deniz Akalin, modella turca e compagna di uno dei suoi migliori amici, il responsabile marketing della Juve, Francesco Calvo. Da lì, altri due figli, Livia Selin e Vera Lin. La casa a Torino (non proprio San Francisco in tema di anticonformismo) piace pochissimo. 

   

Ma adesso un altro capitolo si chiude, l’ultimo Agnelli è fuori. “Tutta la famiglia è con l’Ingegnere”, che sarebbe John Elkann, dice sempre il nostro Agnelli azionista. Ma quindi la Juve è in vendita? “Se ci fosse una buona offerta, solo un pazzo non la accetterebbe, e John è tutto tranne che pazzo”. Anche perché la famiglia dovrà tirar fuori ulteriori soldi, “andiamo verso un nuovo aumento di capitale, arriveremo a quota un miliardo, vedrà. E per cosa? Per darli ai calciatori? O ai procuratori? Per dare 14 milioni di stipendio annuo ad Allegri? Ma chi è quel manager che guadagna 14 milioni l’anno?”. Il calcio ormai è una roba “per emiri del Qatar”. Non per noi. “La Juve è posseduta da Exor, e non il contrario, ricordiamocelo”. E il povero Andrea che farà? In realtà è ricchissimo, assommando la sua quota della Giovanni Agnelli & C., la capofila delle società di famiglia, al patrimonio del padre Umberto, che come si sa era un gran finanziere, e salvò la baracca Fiat varie volte. Della sussistenza non dovremo preoccuparci, insomma.

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).