Natale con il Pos
Saltata la norma, l’egemonia della carta di credito torna a governare l’Italia. Ma il dibattito intorno a un mondo senza cash ha fatto emergere i nuovi guelfi e ghibellini. Dialogo contromano su un nuovo bipolarismo (e non nominate la Pec)
Insomma è deciso, questo sarà e resterà un grande Natale col Pos. Nessuno ci toglierà infatti la possibilità di pagare con bancomat e carte di credito, per qualunque cifra, anche sotto i famigerati sessanta euro che era la soglia psicologica meloniana; il grande fronte dei “contantisti” esce sconfitto (e anche un po’ il governo, che aveva promesso il grande ritorno della banconota libera in libero stato). Alle prese con gli ultimi acquisti dei regali, il paese però rimane diviso, spezzato, confuso, tra due nuove fazioni, due Italie contrapposte e feroci l’una con l’altra: chi loda le possibilità infinite del pagamento digitale e chi invece, paladino del cash, evoca una ennesima improbabile dittatura della carta di plastica.
Andrea Minuz: Il Pos come grande questione morale. Un nervo scoperto del paese. Un’Italia spaccata in due, come al solito, come sempre.
Michele Masneri: E discussioni sempre più difficili a Natale: il vecchio “e la fidanzatina?” sostituito da “e la moneta elettronica?”, un ennesimo tema divisivo tra te che vorresti solo mangiare il panettone e il vecchio zio che ti imbruttisce. Intanto, nuovi simboli. Ecco la pasticceria genovese che non usa il Pos, sfidando orgogliosamente la legge, come i ristoratori “disobbedienti civili” che aprivano col Covid. La “antica pasticceria Mangini” stanata da Selvaggia Lucarelli, strenua cacciatrice di No Pos secondo cui il bar si sarebbe subito allineato al nuovo clima meloniano. In realtà si tratta di un glorioso avamposto carbonaro che da anni si fregia di non permettere l’uso della diabolica carta di credito.
AM: Ecco, invece, il sushi bar di Bologna che usa solo “transazioni elettroniche” e forse ti perquisiscono all’ingresso (e questi cento euro che sono? Mica vorrà usarli qui). Però attenzione a schemi prevedibili. Attenzione a facili opposizioni binarie: un Nord cashless, un Sud coi soldi nel materasso; un contante arcaico e sovranista, un Pos progressista e cosmopolita, ideale col sushi, mentre le pastarelle si pagano in contanti. Perché non ci sono solo i tassisti col Pos rotto, i negozianti che sbuffano, i costi, le commissioni, la macchinazione delle banche, oppure il cameriere che quando paghi con la carta si blocca, ti guarda e fa, “allora devo prendere il Pos, poteva dirmelo prima”, quindi scompare con una camminata lenta, infinita, svogliata, strascinando i piedi e tornando dopo mezz’ora. A bilanciare le squadre c’è anche una cronaca che immortala un sotterraneo, inconfessabile elogio del cash a sinistra: i ventiquattromila euro nella cuccia del cane di Cirinnà, le borse ricolme di soldi del Qatargate. E poi come avrà pagato Bersani da Louis Vuitton, carta o contanti?
MM: Come al solito in Italia il dibattito, probabilmente ispirato dagli astuti comunicatori della premier, che in questo modo mentre si discute per mesi su questioni improbabili sono liberi di lavorare su dossier più seri, prende forme curiose, la realtà si avvita su sé stessa. Molti si sono convinti che dopo l’eliminazione della legge meloniana tu sia costretto a pagare col Pos. Dunque, scenari aberranti e distopici: poveri anziani trascinati dalle guardie a installarsi Apple Pay. Pensionati che, dopo la dittatura sanitaria, sono ora costretti ad abbonarsi alla Visa gold. In realtà è il contrario, cioè la norma vuole che tu possa pagare col Pos. E’ un po’ lo slittamento che avviene coi diritti civili. Se due uomini si vogliono sposare non è che poi tutti siamo obbligati a sposarci tra maschi. Ma è il concetto di libertà che crea sempre confusione in Italia. Siamo poco abituati, una nuova libertà viene sempre percepita come nuovo obbligo.
AM: Le libertà qui non si sommano. Sembrano escludersi, entrano subito in conflitto. Anche l’esaltazione per il Pos assume toni da stadio, scomposti, grotteschi. Parte un nuovo genere letterario: il reportage nei “paesi civili”. In viaggio senza contante, come dei Bruce Chatwin dell’American Express. “Cinque giorni in Svezia senza soldi in tasca, pagando solo con Swish”. Offerte in chiesa con lo smartphone, bonifici a homeless e musicisti di strada. Un paradiso. Un mondo meraviglioso. “E’ stato bellissimo, istruttivo e ho contribuito a cancellare il nero” (uscisse oggi “Senza un soldo a Parigi e Londra” di George Orwell, lo scambierebbero per apologia della carta di credito). Una volta si andava in Svezia-Danimarca-Norvegia per rimorchiare. Oggi l’esperienza più eccitante è il lettore contactless.
MM: Ma da questi paesi nordici o anglosassoni ormai abituati al “cashless” si potrebbe allora organizzare delle vacanze a tema in Italia, terra non solo della pizza, del sole e di Verdi, ma anche del cash. Per riassaporare quella sensazione della carta moneta tra le mani sorseggiando uno spritz. L’Italia potrebbe diventare un parco a tema diffuso del contante, che la gente lascia infatti nei posti più impensati. A luglio a Romano d’Ezzelino in provincia di Vicenza un’azienda di smaltimento di rifiuti, al momento di triturare vecchi arredamenti per ufficio, si è accorta che in una vecchia fotocopiatrice nel cassetto della carta saltavano fuori un gran numero di banconote. Centinaia di fogli da 50, 100 e 500 euro divenute coriandoli, per un totale di 1 milione di euro. A Gussago, invece, in provincia di Brescia, i Carabinieri hanno trovato 8 milioni di euro in banconote sigillate in buste sottovuoto sottoterra nel giardino di una villetta (pare che siano divenuti 15 secondo gli ultimi conteggi). Per portare a termine l’operazione i Carabinieri del Gico si sono dotati di uno speciale “scanner” capace di trovare soldi sottoterra come in intercapedini nei muri, eccetera.
AM: Uno strumento che mi sento di dire avrà un grande futuro industriale in Italia.
MM: Più del Pos! Che, nato negli anni Ottanta (“Point of sale”, significa l’acronimo), ha ammodernato e spezzato tutta una liturgia, un kamasutra dei pagamenti. Un tempo si diceva “strisciare” la carta, anche se ormai è un gesto antico e vagamente cafone, come la sciabolata della bottiglia di champagne o altre strisce. Ah, i bei tempi delle American Express che ti lasciavano la copia carbone. Oggi invece è tutto “contactless”, appoggi e vai, anche con sistema telefonico Apple Pay o Google Pay per cui è tutto un appoggiare telefoni o addirittura orologi sui terminali appositi. In Italia curiosamente questo sistema lo chiamano “contact”. “E’ contact”, sparisce il “less”, così una cosa significa il suo contrario; come “la spending” che sarebbe la spending review: c’è lo slittamento semantico che capovolge il significato. Sulla contact comunque anche la realtà offre clamorosi paradossi. Sulle metropolitane in giro per il mondo ormai basta “tappare” cioè appoggiare carta o telefoni sul lettore, e si passa. E chi l’avrebbe mai detto, ma a Roma questo sistema è all’avanguardia, si “tappa” solo in entrata, è velocissimo, mentre a Milano si fa sia in entrata che in uscita, è più lento, e spesso si blocca. E a Parigi invece ancora non esiste.
AM: Però si favoleggia, a Roma, di una mappa fatta dai tassisti coi punti della città dove il Pos “non prende”, segnati come “vento favorevole”, in gergo. Se ti fermi lì la carta non va. Si crea la fila. Il cliente prima o poi tira fuori il contante, oppure lo corcano. Sarà una leggenda metropolitana, ma è bella (e poi mi è successo tante di quelle volte - “niente dotto’ qui nun prende, che volemo fa?” - che io ci credo). Come quel tassista, qualche mese fa, cha appena tiro fuori la carta a fine corsa mi fulmina: “Ma che fa? Ma non lo sa che oggi c’è la tempesta solare?” C’è del genio a Roma. Ricordo anche l’inaugurazione della prima “Esselunga”, sulla Prenestina. Una ressa di anziani a caccia di offerte, famiglie coi carrelli pieni, e intorno questi manager lombardi in completo blu che sfrecciavano nei corridoi, arrivati qui per festeggiare i colleghi pronti alla nuova missione, “Ué… carissimo, in bocca al lupo…”. Alle casse, la prima delusione. Nessuno pagava con la carta di credito o col bancomat. Inutile lo spiegamento di forze del personale che a raffica chiedeva ai clienti: “Carta o contanti?” “Che carta?”.
MM: A Genova, invece, l’ex atleta olimpionica di lancio del martello e oggi vicepresidente del Coni Silvia Salis ha denunciato d’essere stata bullizzata da un tassista che le ha urlato contro perché aveva chiesto di pagare la carta. Genova si conferma insomma epicentro del valoroso popolo no-pos, come la Trieste dei no-vax.
AM: I paladini del free-cash sostengono che proprio il pagamento col Pos sul taxi sia un fondamentale strumento di controllo delle nostre libertà. “Non pago col Pos perché non voglio che lo Stato sappia dove vado”, dicono, evocando addirittura “l’economia della sorveglianza”, anche se spesso il tassinaro italiano medio gira ancora col Tuttocittà cartaceo e manco lui sa esattamente dove sta andando. Figuriamoci lo Stato. Per far funzionare questa benedetta “società della sorveglianza” ci vorrebbe prima la banda larga.
MM: Intanto si conoscono finalmente i misterici costi, di queste transazioni incriminate; la media per i pagamenti con carta di debito o bancomat, segnala la “Data room” del Corriere, è dello 0,7 per cento. Fino alla fine del 2023 il circuito PagoBancomat ha azzerato tutte le commissioni sotto i 5 euro. Vuol dire che la colazione al bar pagata con bancomat non ha nessun costo per il barista. Invece le commissioni delle carte di credito viaggiano mediamente sull’1,2 per cento. Adesso il Governo studia misure per supportare i commercianti che si accollano questa spesa, Meloni pensa ai “ristori”: però allora noi poveri giornalisti che per fatturare ci dobbiamo pagare il sistema di fattura elettronica, oltre il commercialista, che dovremmo dire? A noi chi ci ristora?
AM: Svettano per ora i tabaccai, unici o quasi esonerati dall’obbligo di Pos, almeno per le sigarette, un prodotto che “mal si concilia con i costi della transazione della moneta elettronica”. C’è sempre qualcosa di minaccioso in questo “moneta elettronica”. Suona sempre sinistro. Come “posta elettronica” per dire “mail”.
MM: Dovrebbero mettere la dicitura sulla carta di credito come sulle sigarette: può causare commissioni. Ma per famiglie di commercianti che vogliano istruire i figli a conoscere il nemico fin dalla tenera età, oppure al contrario per famiglie molto riflessive anti-tassisti che vogliano educare la prole a un futuro globale, ecco il regalo di natale perfetto, il Pos giocattolo. Si chiama “Theo Klein 9333”, è un “terminale di pagamento con luci e con funzione di pagamento contactless”, costa 17 euro e novantacinque, è del tutto uguale a un pos vero ma è appunto un giocattolo (per bambini a partire da 3 anni); arriva con una finta credit card e dei finti scontrini. E’ in vendita su Amazon, temo che non si possa pagare in contanti.
AM: Manca ancora però la brandizzazione: il Pos griffato Chiara Ferragni, il Pos glitterato di Gucci, quello minimalista di Prada, un cubo nero, esoterico, misterioso, disegnato da Enzo Mari. Chissà, forse solo così si incrinerà un po’ il rapporto degli italiani col contante, che è una cosa davvero complicata. Da psicanalisi. I soldi nel materasso, nel cuscino, nel bordo delle tende, oppure, quando si andava nella grande città dal paesello, nei calzini, nelle scarpe, nelle mutande, nel doppio fondo delle tasche, con cucitura apposita, tipo narcotrafficante. Cartucciera di soldi. Ovuli di contante da ingerire, come la coca. Insomma, non si può ridurre tutto a una sfiducia nelle banche, nello Stato. Non è la commissione. Qui non c’è fact checking che regge. C’è proprio un rapporto feticistico che andrebbe analizzato con cura. Ricordo la disapprovazione quando arrivò la banconota da 500 euro: “Ma come tutti ‘sti soldi in un foglio solo? Non c’è gusto”. E’ proprio un’ossessione per la carta, le fotocopie, il foglio protocollo, il certificato, il malloppo, il faldone, il plico, la copia fotostatica non autenticata conforme all’originale.
MM: Puoi essere digitale quanto vuoi ma alla fine l’italiano vuole “il pezzo di carta”. Io sono da anni cliente felice di Fineco, la “prima banca totalmente online” d’Italia, ma se voglio investire sulle azioni americane mi dicono che devo mandargli una lettera, di carta. Non accettano neanche la Pec. Devo andarmi a comprare una stampante e poi alle poste.
AM: Pazzo, non nominare la Pec! In men che non si dica può diventare il prossimo bersaglio!
MM: Infatti, ho il fondato sospetto che le grandi “culture wars” italiane abbiano come bersaglio questioni non di merito ma riconducibili a un acronimo monosillabico. Prima no Tav, poi no Vax, adesso No Pos e No Spid.
AM: Tremano la Pec e il Pin!
MM: Abi e Cab nel mirino! Comunque c’è anche il dubbio che agli italiani piaccia proprio sguazzare in questa specie di pre-modernità scomoda, come se un mondo sgangherato che non va mai avanti fosse una giustificazione poi per l’insuccesso personale. Quanti si affollano davanti agli uffici postali in coda, quando in trenta secondi puoi prenotarti online? O forse è anche un colossale rigurgito dell’epoca del Covid, quando tutti ci siamo illusi d’esser diventati digitali, quando anche gli ottuagenari si vantavano di fare la spesa online e la vita sembrava diventata una infinita sequela di riunioni su Zoom.
AM: E invece siamo tornati al “gettone nell’I-Phone” di Renzi, Leopolda, 2014. Un’immagine perfetta, che si porta sempre con tutto .
MM: A questo punto, è chiaro, sorge la fatale domanda: ma Pasolini, come si sarebbe posto sulla questione Pos?
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