Più puntuale di “Una poltrona per due” c'è solo il micidiale panettone gourmet
Durante questi giorni potremmo, come d'abitudine, goderci i soliti film. E invece è tutto un perdersi in disquisizioni sulla cottura, la farcitura e la lievitazione del sacro dolce natalizio
Del Natale amiamo tutto. Le luci, i regali, l’albero, il presepe anche se non lo fa quasi più nessuno, il traffico in tilt, le commesse e i commessi dei centri commerciali con in testa le corna da renna e naturalmente, sopra ogni cosa, il palinsesto di Italia Uno. Sì, bisognerebbe andare al cinema, ma il senso di pace che danno “Die Hard”, “Mamma ho perso l’aereo” e naturalmente “Una poltrona per due”, in italiano, con la pubblicità, non ha eguali: Jamie Lee Curtis che tira fuori le tette è un appuntamento fisso di ogni Natale in famiglia, come la poesia dei bambini a tavola, e ogni anno ci sembrano anche sempre più belle (le tette, non le poesie).
Ma ecco che intorno a questo momento di gioia incombe oramai una minaccia ricorrente. La cena, il pranzo sono finiti. Potremmo goderci il film. E invece no. Parte tutta una discussione sul lievito madre del panettone. La cottura, la farcitura, lo spessore della glassa al pistacchio di Bronte. Ecco il parente che da mesi aspetta questo momento e tira fuori “un panettone artigianale con lievito di birra fatto in casa”. Da anni i panettoni gourmet sono la rovina del nostro Natale.
Certo, il Covid, tragico momento collettivo di panificazione compulsiva, ha peggiorato tutto. Ma il problema c’era già, anche se non è chiaro quando è iniziato. Una volta panettoni e pandori si compravano all’ultimo momento. Alla rinfusa. Si pescavano dagli scaffali del supermercato. Si prendevano in Autogrill. Le marche erano due o tre. Decisamente indistinguibili tra loro. Invece ora, entrando in un negozio qualsiasi di gastronomia con l’idea di far presto che ci sono mille altri regali da fare, si rischia il sequestro di persona per il panettone. Si può restare inchiodati in una micidiale spiegazione sulla “texture”, la tenuta, il tasso di umidità che il panettone può sostenere. Panettone che poi andrà “scaldato in forno per nove minuti prima di essere servito”, raccomandandosi come fosse una bomba che rischia di esplodervi in casa.
Ecco tutto un pantheon di nomi, famiglie, piccole aziende locali, brandizzazioni che hanno reso complicato l’acquisto, il consumo e la digestione del panettone. Ecco premi, medaglie, segnalazioni della critica, panettoni “limited edition”, panettoni d’autore (quest’anno “Re Panettone”, si chiama così, è stato incoronato un pasticcere di Salerno, mi spiegava con un certo orgoglio la commessa del negozio dove anche io ho comprato il mio panettone artigianale). Ecco il panettone al limoncello di Cannavacciuolo, il panettone di Cracco con cristalli Swarovski, il panettone in confezione di velluto “con interni in seta jacquard bouquet”, il panettone fichi bianchi, mandarino candito, noci e glassa alla cannella, oppure il panettone a strati: una palazzina di panettone con salmone, maionese, salsa di gamberi, grande omaggio agli anni Ottanta. Va bene tutto. Nessuno pare indignarsi, come con la pizza all’ananas o la cipolla nella carbonara. Segno che del panettone, in fondo, non frega niente a nessuno. Com’è ovvio che sia.
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