Gens nova ma non tanto
Catalogo (s)ragionato dei vip che brilleranno anche nel 2023
In televisione e sui social. Chi si ricicla tra Covid e guerra, chi giovanissimo si costruisce il personaggio e chi rispunta dopo anni. E a volte riesce ancora a dare un po’ di scandalo
Virologi riciclati, annunciatrici impegnate, reali affannati, la nuova destra con fiamma o senza, e tanti tanti consiglieri del ministro della Cultura. Tra la guerra all’Ucraina, la coda lunga del Covid e infine l’arrivo di Giorgia Meloni, il 2022 è stato un anno davvero generoso in quanto a nuovi personaggi che appaiono come scintillanti meteore (insieme agli antichi, riemersi invece sotto nuove sembianze), e tutti insieme si sono imposti fra il tubo catodico, l’internet, i famigerati social, la vecchia politica. Ecco un catalogo (s)ragionato, local ma anche molto global, da sfogliare sotto l’albero.
Francesco Borgonovo
Il Rasputin con la Proraso. Pallidissimo, terreo, sempre vestito di scuro, aria affilata e barba rifilata ed espressione accigliata come un hipster putiniano. Vicedirettore della Verità, che sempre più va letta alla russa, “pravda”, Borgonovo è ospite fisso in qualunque trasmissione come il volto della nuova destra law and disorder (ma i bambini strillano quando lo vedono). Ha condotto programmi su TeleLombardia, ha pubblicato per Altaforte, ha scritto libri contro Renzi, ha collaborato col Primato Nazionale, era la voce critica contro i vaccini in tv all’epoca del Covid, insomma non gli manca niente.
Hoara Borselli
Domani è un altro talk. Viareggina, ha iniziato a lavorare come modella da giovanissima. Ha partecipato al concorso Miss Estate Festivalbar, a “Panarea” di Castellano e Pipolo, in “Un posto al sole”, in “Centovetrine”. Ma il momento saliente nella formazione di Borselli è nel 2005, quando vince la prima edizione di “Ballando con le stelle”, la nostra Harvard, la versione 2.0 del Mondo di Pannunzio come fucina dei talenti giornalistici per gli anni a venire. Nel 2011 è scelta da Ignazio La Russa come componente del suo ufficio di diretta collaborazione con le mansioni di conduttrice e co-organizzatrice degli eventi per le celebrazioni del 150º anniversario dell’Unità d’Italia. Dal 2019 è una dei volti femminili nel palinsesto retequattrista e non solo. Commentatrice per il Secolo d’Italia, il Tempo, Libero e il Riformista dove tiene la rubrica “Hoara s’è desta”. Tra i temi di cui si è occupata, l’albero di natale rosa di Milano, il Natale in generale (“Vietato dire buon Natale, gli islamici si offendono”), la annosa questione genitore 1 e 2, il tifoso palpeggiatore di Greta Beccaglia condannato (“una palpata non vale un anno e mezzo di galera”). È stata fidanzata con Walter Zenga.
Andrea Donzelli
Giacca di velluto e dolcevita, è il Sergio Rubini di Fratelli d’Italia. Già onnipresente nei talk. Soprannominato “il Monaco”, perfetto per l’immaginario tolkeniano-meloniano. Per resistere alla corruzione morale della politica romana ha messo su un bromance con Andrea Delmastro, “condividiamo un doppio monolocale con cucina in comune, la sera mangiamo a casa, non usciamo”.
Andrea Giambruno
Era dai tempi di donna Vittoria Leone che in Italia non c’era un first consorte sexy. Vestito attillato e ciuffo spavaldo, piacione il giusto, per conquistare proprio tutti/e ha messo sadicamente in giro la voce di essere di sinistra.
Francesco Giubilei
L’unico caso in cui il self publishing ha portato a qualcosa in Italia. Appena nominato consigliere del ministro per la cultura Sangiuliano. Trent’anni, pallidissimo ed elegante come richiede il codice estetico della destra meloniana, che prevede non un Superuomo ma un Uomo Lebole rivisto e aggiornato, inflessione romagnola, è autore presso la casa editrice da lui fondata Giubilei Regnani; la quale ha pubblicato sei libri suoi i cui argomenti variano dalla sovranità energetica all’ambiente alla storia della cultura della destra, più uno su Giorgia Meloni. L’ingresso di Giubilei nel novero degli intellettuali meloniani era scritta (anzi stampata) nel destino.
Matteo Perego di Cremnago
Sottosegretario alla difesa (sartoriale). Si occupa del brand di moda Cambiaghi che appartiene alla sua famiglia da generazioni, ma ha lavorato a lungo anche da Armani dove è stato capo per il Brasile. Discendente dei conti di Cremnago, tra cui il celebre architetto Filippo. Molto amico di Luigino Berlusconi. È primo firmatario della legge sulla mini naja e posa volentieri in mimetica, anche se decisamente è più a suo agio in monopetto (due bottoni, con pochette).
Beatrice Venezi
Maestro senza doppie punte. Toscano, trentaduenne, il maestro (rigorosamente maschile, ci tiene) è figlio di un ras di Forza Nuova. Uno dei direttori d’orchestra più acclamati in Italia, nel 2017 è stato segnalato dal Corriere della Sera fra le 50 donne più creative dell’anno. L’anno successivo il maestro è stato selezionato dalla rivista Forbes Italia fra i 100 leader del futuro under 30. Ha condotto la quarta serata di Sanremo l’anno scorso. Ha diretto il concerto di Natale in Senato, con brani di Verdi, Puccini e Mascagni, ma anche di Mogol (record di ascolti). È stato conseguentemente nominato consigliero per la musica del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano al posto di Morgan. A differenza di Morgan fa la pubblicità dei prodotti per i capelli Bioscalin.
Francesco Giorgi ed Eva Kaili
Belli, biondi e dicono sempre sì. Quella del Qatar gate è la coppia dell’anno, occhi azzurri, prestanti, vivevano tra Bruxelles e Atene come se fossero in “Laguna blu” o almeno in “Sapore di mare” (lui un Ciavarro prima maniera, lei una Eleonora ovviamente Giorgi) ma adesso il film è diventato “Natale a Doha”. Lei è greca di Salonicco, lui è di Abbiategrasso, dove era noto come “il surfista dell’Idroscalo” per la passione sportiva. Lei ha detto: “Non sarò un’Ifigenia”. Lui ha pronunciato una delle frasi più significative del 2022, veramente da film dei Vanzina, forse addirittura manifesto generazionale: “Ho fatto tutto per soldi di cui non avevo bisogno”.
Sam Bankman Fried
Nomen omen: in inglese il ricciolone delle criptovalute arrestato alle Bahamas sarebbe “banchiere fritto”.
Bernard Arnault
Lusso alla francese. A causa delle disavventure di Elon Musk, nel 2022 è diventato l’uomo più ricco del mondo. Pare che si stia comprando anche la casa degli Atellani di Milano. Tutti lo confondono sempre con François Pinault.
Elon Musk
Ormai il Carlo Calenda della Silicon Valley.
Bassetti, Pregliasco, Viola, eccetera
All’apice dell’emergenza Covid partirono i primi ingaggi. Contratti per ospitate televisive fisse. Dopo un po’ non si sapeva più cosa fargli fare. Ecco la fase “manierista”, Crisanti, Pregliasco, Bassetti che cantano una “Jingle Bells” vaccinista. Un anno dopo resta il problema di smaltirli. Come quei giocatori sotto contratto che non puoi cedere e alla fine devi far scendere in campo, anche se non sai dove metterli. Un po’ se li è presi la politica (Pregliasco, tra gli ultimissimi dopo Crisanti e Lopalco, si candida col Pd in Lombardia). Ma anche qui un problema di egemonia. I virologi “sono tutti di sinistra, tranne me”, dice Matteo Bassetti. Come artisti, scrittori, cantanti, intellettuali. Non se ne esce. Se non li prende il Pd restano in tv, costretti a improvvisare in assenza di bollettini medici. La professoressa Viola, già desiderio proibito dell’Italia quota 100, va a braccio su ddl Zan, Qatar gate e una sinistra “non immune” alla questione morale. Nel frattempo la Cina ritorna vicina. I contratti dei virologi sono congelati.
Alessandro Orsini
Caso da manuale del cortocircuito tra “talk” e “show”. In pubblico, “non si dovrebbe invitare uno come Orsini in tv”. In privato è uno di quei regali piovuti dal cielo: ogni autore televisivo vorrebbe un Orsini tutto per sé. La seconda stagione quasi meglio della prima. Un tremendissimo Frankenstein plasmato da Bianca Berlinguer che l’ha tirato fuori dalle oscurità della Luiss, l’ha dato in pasto al pubblico, e non sa come tornare indietro. I suoi interlocutori immaginari non sono più Putin, Zelensky, la Nato, l’occidente, ma giustamente Aldo Grasso, nominato dodici volte in uno degli ultimi video. Orsini ha alzato gli standard del disagio nella “Hall of Fame” dei nostri talk e ormai niente sarà più come prima. Difficile per chi verrà dopo fare meglio di lui. In tempi non sospetti l’avevamo già paragonato al Joker di Joaquin Phoenix. Ospite televisivo del “Murray Franklin Show”, al culmine del suo monologo spara in faccia a De Niro e accende la rivolta nelle strade di Gotham City. Era ancora il tempo di Orsini vittima di un famigerato “maccartismo”. Un intellettuale epurato dalla tv, e subito riammesso. Scanzi diceva “Orsini ci sta antipatico perché ci prende, perché dice cose che ci fanno paura, Orsini è un Crisanti della geopolitica”. Poi la carriera è decollata, sempre più in alto. Anche molto letteralmente, senza forza di gravità. Dopo “William J. A-M-P-I-O” ha scelto di non tornare più indietro (“so esattamente quali tasti premere, so quali sono le reazioni ai tasti che premo”). Un Orsini “mad as hell”, come in “Network” di Lumet, ma con un pizzico del Riccardino-Marenco di Arbore. Ormai può uscirne solo con “sapevo quali tasti premere, volevo fare capire a tutti l’importanza del bonus psicologo”.
Soumahoro
“A capodanno andiamo dai Soumahoro”.
Sabrina Impacciatore
L’eterogenesi delle serie tv. La prima stagione di “White Lotus” ha tenuto tutti incollati allo schermo, la seconda è talmente lenta e noiosa e piena di stereotipi da far considerare Don Matteo come un terzo fratello Coen. Nell’Italia immaginata dagli sceneggiatori gli abitanti sono solo baby prostitute, lesbiche di mezza età in the closet e paesani pazzi, altro che cultural appropriation. Se invece che alla Sicilia lo stesso trattamento l’avessero riservato a qualche (altro) paese in via di sviluppo come minimo scendeva in campo l’Onu (e Meloni muta). Sempre interessante come ci vedono dall’estero, e però “White Lotus” grazie a questo set da sottosviluppo (forse l’unico possibile per una serie italiana nella percezione americana) ha rivelato al mondo il talento di Sabrina Impacciatore, creatura ibrida che sembra fatta apposta per piacere a Hollywood, metà Benigni e metà Sophia Loren.
Elly Schlein
Più che l’anti-Giorgia, la nostra Ocasio-Cortez. Anche se non ha mai rischiato il pignoramento della casa, non viene dal Bronx, non litiga con Elon Musk su Twitter, non svela a Vogue i segreti della sua skin care, non ha una sigla perfetta per i social (AOC), e neanche un asteroide dedicato (“23238 Ocasio-Cortez”), che fa molto “Don’t Look Up”. Però se proprio si deve stare all’opposizione altri dieci anni, che sia almeno chic, cosmopolita, fluidissima, ma con solide radici nel Dams di Bologna, per ricordarci sempre chi siamo e da dove veniamo (Schlein voleva fare la regista, Ocasio-Cortez ha già alle spalle due documentari in cui “interpreta sé stessa”). Il nome impronunciabile che qui suona anche molto sospetto. I tre passaporti (svizzero, italiano, americano). L’ottimo pedigree. L’album di famiglia. L’impegno lgbtq+. Quello “green”. Quello Ong.
Le maratone in bicicletta per i beni comuni e l’anticapitalismo da “Internazionale Kids”. Non la solita, vecchia sinistra Ztl ma l’algoritmo della “star progressista” del XXI secolo, feticcio di un elettorato con il Phd e il parquet. Quindi non si capisce bene cosa possa fare qui. Se non far storcere il naso anche alla “base” in quanto non abbastanza “del popolo”, non abbastanza “dal basso”, non abbastanza dei “territori”. Elly Schlein alla guida del Pd, dunque Elly Schlein candidata premier, è una meteora per vocazione, progettata a tavolino con il kiss-of-death di Franceschini. Però l’idea è bella. Talmente improbabile che potrebbe anche farcela. Come i Måneskin a Sanremo.
Lorenzo Infantino
Nomen omen.
Daniela Santanché
Ci sono artisti che ci mettono una vita a trovare la propria voce. Daniela Garnero, già coniugata col chirurgo estetico Santanché, ha iniziato la carriera politica a Milano come collaboratrice di Ignazio La Russa, è stata deputata con An, poi assessore in un comune del catanese, poi portavoce di “La destra”, poi Pdl, poi Forza Italia, ma anche imprenditrice della pubblicità ed editrice di Novella 2000. Infine, grande imprenditrice spiaggista, e nel Twiga, la spiaggia identitaria di Forte dei Marmi, trova veramente e finalmente il suo ubi consistam. Balneare. Difficile immaginarla altrove, infatti. La spiaggia è il suo habitat naturale, la spiaggia accessoriata coi suv parcheggiati davanti, quella che incrocia il Salvini più selvaggio e il Briatore più abbronzato. In spiaggia – spesso con stivaloni e sombrero texano-messicano e Ray Ban – Santanché dà il suo meglio.
E non poteva che diventare ministra del Turismo, cioè delle spiagge. “Il mondo ha voglia di Italia”, ha detto recentemente. Ma soprattutto ha detto che quei poveracci che vanno nelle spiagge libere sono o tossici o appunto poveracci. Come Paola Cortellesi in “Un gatto in tangenziale”, l’idea di arrivare in un mare senza stabilimento le fa povero. Santanché sogna un’Italia di tante Coccia di morto di fascia alta (Cortellesi ne faceva peraltro una grande imitazione, con cavalli imbizzarriti che nitriscono al suo passaggio tipo Frankenstein Jr). A piedi nudi, comunque, mai. C’è il rischio di funghi (cit.). Come insegnava Franca Valeri, per evitare la sabbia “io vado solo nello stabilimento con la cementite”. Se Soumahoro prescrive il diritto all’eleganza, Santanché difende quello al gazebo doppio con tenda, tagliata di frutta, Franciacorta ghiacciato e piccola cassaforte.
Letizia Moratti
Dopo essere stata presidente della Rai, ministro dell’Istruzione, candidata per qualche ora al Quirinale, ora vuole prendersi la Lombardia. Forse scompaginando i giochi, forse caracollando la Lega di Salvini, forse arrivando terza. Ma il dato più terrificante è che si è messa a fare video su Instagram (mentre cucina una torta, mentre prepara un risotto).
Noemi Bocchi
Viene subito in mente “Amici Miei” (Noemi Bernocchi si chiamava la religiosissima ragazza impersonata da Domiziana Giordano che faceva invaghire l’architetto Melandri, convincendolo a un umiliante battesimo in età più che adulta). Nella realtà invece la donna del mistero che ha fatto innamorare Francesco Totti, nel giallo che ha tenuto col fiato sospeso tifosi e appassionati, lo ha portato soprattutto alla conversione a Roma Nord. E lì, visite ad attici e gite in moto al “centro cucine di Caserta” (una versione south working del Salone del mobile).
Con Noemi Bocchi si chiude la storia d’amore del pupone con Ilary, che nel frattempo si sarebbe fidanzata con un aitante imprenditore tedesco. Lo showdown tra l’ex coppia dei re di Roma, quanto di più simile ai Ferragnez che la capitale abbia prodotto (sgangheratamente, perché è la capitale) si è dipanata a inizio anno tra scoop di Dagospia, interviste feroci, denunce di Rolex trafugati di lui, selfie davanti al negozio Rolex di lei, avvocati celebri, parenti invadenti, Totti che porta Noemi allo stesso ristorante in cui andava con Ilary, e stuoli di parrucchieri ed estetisti confidenti e messaggeri (ma anche lo stesso personal trainer di Giorgia Meloni).
Giuseppe Conte
La più ostinata delle meteore, l’unico south working che abbia mai funzionato.
Memo Remigi
Metoo all’italiana. L’ottantaquattrenne immortale autore di “Innamorati a Milano” è stato cacciato dalla Rai per aver palpeggiato in diretta da Serena Bortone Jessica Morlacchi. “Ho fatto questo gesto stupido… Lavoriamo insieme da un paio d’anni, c’è una grande complicità e soprattutto una grande amicizia”, si è scusato Remigi. “Jessica è una ragazza molto divertente. Io la tenevo con la mano sulla spalla e poi scherzosamente, senza pensare che potessi creare tutto questo pandemonio, è scivolata la mano sulla natica”. “Lei mi ha dato un piccolo schiaffo sulla mano, l’ha presa e l’ha spostata davanti.
E allora, se in questo frangente, lei si fosse così risentita o offesa, io alla fine della trasmissione le avrei senz’altro chiesto scusa, ma non mi è stato detto niente”. La cancel culture all’italiana è durata solo pochi giorni, subito è arrivato l’appello di Maurizio Costanzo: “Mi spiace perché Remigi ha 84 anni, ha scritto ‘Innamorati a Milano’, quindi se la Bortone ha un briciolo di umanità lo richiami, gli dica qualcosa”, ha detto Costanzo. Basterà aspettare qualche settimana e il palpeggiamento si trasformerà, è chiaro, in un incredibile boost alla carriera di Remigi, portandolo finalmente in trasmissioni di primo piano. Di sicuro un Gf Vip, un’Isola dei famosi. O almeno una Bacchelli.
Carlo d’Inghilterra
Il suo discorso di Natale, in cui tutti lo aspettavano al varco, non solo non ha fatto fiasco ma ha battuto ogni record andando in onda praticamente a reti unificate il pomeriggio di Natale (ma registrato il 13 dicembre a Windsor, non lontano dalla cara salma della real Mammà). Divenendo re, Carlo punta a sfruttare al massimo queste occasioni per esprimere il suo pensiero, non potendo più tempestare parlamento e governo delle sue “note” contenenti il real punto di vista su medicine alternative, ecologia, architettura moderna e antica, note che i parlamentari affranti si vedevano recapitare con lo stemma pennuto del prince of Wales e scritte rigorosamente a mano (soprannominate le “black spiders” per la scrittura incomprensibile e ragnesca).
Carlo continua a vivere il suo paradosso, essere il primo dei Windsor ad avere così tanto da dire, così tanto da esprimere, e non poterlo fare proprio nel secolo dello straripamento del sé (in un universo parallelo, se Carlo fosse una donna, magari trans o nera, comunque giovane, sarebbe un fantastico testimonial di cause umanitarie o animaliste; è fissato da tempo con questioni i che ha anticipato prima di tutti: l’ambiente, l’ecologia, i borghi. Purtroppo è un maschio anziano bianco che si inferocisce se un valletto non gli sposta il calamaio a tempo debito).