il commento
Cosa ci insegna la storia sulla disobbedienza civile per il clima
Non è la prima volta che attacchi verso opere d’arte vengono utilizzati per mandare un forte messaggio politico. Inquadrare il fenomeno in un contesto storico ci permette di valutarne i pro e i contro
“Ritratto di Carlyle, opera di Millais, danneggiata con mannaia da macellaio. Ala est riapre al pubblico alle 12. La National Gallery resta aperta”. In un’epoca in cui gli attacchi alle opere d’arte da parte degli attivisti per il clima sono all’ordine del giorno, questo titolo appare pienamente contemporaneo. Eppure risale al 17 luglio del 1914. L’autrice del gesto, Anne Hunt, era un’attivista per il diritto di voto alle donne. Pochi mesi prima, il 5 e il 13 maggio, i ritratti di Henry James e del Duca di Wellington subivano lo stesso trattamento alla Royal Accademy, mentre il 10 marzo era stato il turno del Venere e Cupido di Diego Velázquez. In altre parole, non è la prima volta che attacchi verso opere d’arte vengono utilizzati per mandare un forte messaggio politico. Inquadrare il recente fenomeno in un contesto storico non è un mero omaggio a Giambattista Vico e i suoi “corsi e ricorsi storici”, ma piuttosto ci permette di valutarne i pro e i contro, e di conseguenza di formulare un giudizio ragionato sulla disubbidienza civile in chiave climatica.
Partiamo dalla causa. Dalla parità uomo-donna all’urgenza della lotta climatica, entrambe le cause meritano rispetto e massima attenzione. L’obiettivo, allora come oggi, era di svegliare con un’azione shock un pubblico troppo spesso apatico, distratto o assopito nel quotidiano. Vista in questa maniera, il fatto che da giorni televisioni e giornali italiani discutano del gesto shock degli attivisti di “Ultima Generazione”, invece che di frivola mondanità potrebbe essere interpretato come un successo. Allo stesso modo, gli attivisti che per primi avevano imbrattato i Girasoli di Van Gogh puntavano l’attenzione al fatto che era una delle rare volte che il cambiamento climatico finiva in prima pagina sul New York Times.
Se effettivamente così fosse, e questi gesti aiutassero a risintonizzare in maniera permanente il dibattito pubblico verso sfide epocali come la lotta al cambiamento climatico, allora la disobbedienza civile di questo tipo dovrebbe essere incoraggiata da coloro i quali hanno a cuore l’ambiente e il nostro futuro su questo pianeta. Per capire il perché bisogna capire come avverrà la transizione ecologica. Come spiego in maniera approfondita nel mio recente libro “Growth for Good”, la decarbonizzazione richiederà una completa trasformazione dei nostri modi di produrre e consumare, spostarci, mangiare, e anche le forme e materiali delle nostre abitazioni. In buona sostanza, quel che abbiamo davanti a noi è qualcosa che assomiglia a una Rivoluzione Industriale green da mettere a terra a velocità quantomai accelerata, a fronte di una scadenza, il 2050, dopo la quale gli scienziati ci dicono si potrebbero scatenare eventi catastrofici a catena.
I cittadini hanno un ruolo fondamentale nell’attuare tale transizione. In prima istanza, perché possono modificare i propri comportamenti spesso con minime ripercussioni sulla propria qualità della vita e un alto impatto sull’ambiente. I classici esempi sono usare di più la bicicletta per brevi distanze in città, il treno al posto dell’aereo fuori città, o ridurre il proprio consumo di carne. Se queste cose non avvengono già, è spesso perché prendiamo decisioni d’inerzia e non con l’ambiente in mente su base giornaliera.
C’è poi un ragionamento più sistemico. In gran parte le tecnologie a emissioni zero esistono già, come per esempio le rinnovabili per sostituire le fonti combustibili fossili, ma richiedono investimenti iniziali ingenti e a volte hanno prezzi più alti per il consumatore. Solo un consumatore attento all’ambiente vedrà l’opzione green come superiore, e sarà quindi disposto a pagare un prezzo più alto, attraendo così innovazione e abbattimento dei costi in questo frangente, rendendo la transizione possibile anche per le fasce meno abbienti. Questo è un po’ quel che stiamo vivendo in questi anni per esempio con le auto elettriche, viste al momento come top di gamma. Man mano che l’elettrico conquista fette di mercato, andrà però incontro a un abbattimento dei prezzi che permetterà la completa sostituzione delle macchine con motore a combustione interna.
Infine, almeno nelle democrazie, i consumatori sono anche cittadini, e come tali votano alle elezioni. Cittadini che hanno più a cuore le questioni climatiche, anche nel segreto dell’urna, metteranno i governi in posizione di adottare politiche pubbliche volte a facilitare e accelerare i fenomeni descritti sopra, sia i cambiamenti comportamentali che quelli di innovazione green. Per esempio potranno aumentare gli spazi pedonali e ciclabili in città, intensificare le infrastrutture per i servizi di trasporto su rotaia, o aumentare la tassazione sulle emissioni di CO2 per incentivare ulteriormente le imprese a reinventare i propri processi produttivi in chiave green.
Per formulare un giudizio intelligente, la domanda fondamentale da porre è quindi: le azioni shock degli attivisti climatici lavorano nella direzione della Rivoluzione Verde così descritta, o no? La risposta sarebbe forse da lasciare a esperti di demoscopia, e potrebbe variare da paese a paese. Ma sospetto ci siano limiti a quel che possiamo aspettarci oggi dalla disobbedienza civile. In primo luogo, perché una strategia che si poggia su azioni shock richiede di alzare l’asticella sempre più. Se imbrattare Van Gogh è stato sufficiente la prima volta per sbarcare in prima pagina sul New York Times, cosa sarà necessario in futuro? Non volendo dare suggerimenti, noto che il processo rischia la radicalizzazione, come per altro successe alle Suffragette: agli attacchi di mannaia alle opere d’arte seguirono i danni a scapito di edifici governativi, uffici postali, chiese, infrastrutture, pacchi bomba, roghi dolosi e persino assassini. In quest’ottica, non dovrebbe quindi sorprendere il successo del recente libro “How to blow up a pipeline” (Come far esplodere un oleodotto, ndr) di Andreas Malm. Se una passata di pomodoro contro una teca di vetro può forse shockare e destare simpatia in un pubblico moderato, la radicalizzazione viene generalmente accompagnata da paura, criminalizzazione e repressione. Sono in molti gli storici che suggeriscono che anche il movimento delle suffragette finì per remare contro la propria causa.
In secondo luogo, il contesto. Il movimento delle Suffragette in Inghilterra decise di interrompere le proprie attività con l’ingresso del proprio paese nella Grande Guerra. Negli Stati Uniti decise invece di proseguire le proprie attività di disobbedienza, alienando loro il favore dell’opinione pubblica più moderata. Viene quindi da chiedersi se azioni di disobbedienza verso infrastrutture, come quelle che abbiamo visto sul Grande raccordo anulare di Roma, o l’equivalente M25 di Londra, non rischino di diventare sempre più impopolari in un periodo di crisi energetica, inflazione e crollo nel potere di acquisto per molti. Non è forse un caso che “Extinction Rebellion” abbia di recente annunciato di aver deciso di abbandonare le proprie azioni di disobbedienza civile nel Regno Unito, per dedicarsi ad allargare la propria base.
Da ultimo, anche se le azioni di disobbedienza continuassero a limitarsi alla non violenza, come imbrattare edifici o opere d’arte, sospetto che queste riscuotano più successo e attenzione da parte di coloro che sono già attenti all’ambiente, e meno da quelli che non lo sono. Se così fosse, la loro utilità sarebbe minima. E il nesso con la causa climatica è talmente tenue che non suggerisce in maniera immediata come cambiare i propri comportamenti. “Che c’entra Van Gogh o la pittura arancione con il clima?”, è stata la riflessione di molti.
La transizione ecologica è una sfida epocale, che non può essere attuata da nessun singolo attore nella società ma richiederà uno sforzo congiunto. Le azioni di governi, aziende e cittadini saranno tasselli cruciali per il cambiamento. Se la disobbedienza civile lo sia o meno dipende da se e come influenzerà questi ultimi.
Politicamente corretto e panettone
L'immancabile ritorno di “Una poltrona per due” risveglia i wokisti indignati
Una luce dietro il rischio