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C'è a chi piace pagare donne per non farci sesso e farsi chiamare sfigati
Una volta la pratica dei money slave prevedeva almeno frustate o torture, mentre ormai il pagamento ha acquisito valore di per sé. Esiste qualcosa di più postmoderno, di più italiano?
In un’imprevista deriva erotica, il Corriere della Sera ha recentemente dedicato inchieste alle donne che si esibiscono su OnlyFans (lo fanno dal 2016) e alle coppie che vanno a praticare nudismo e scambismo a Cap d’Agde (esperti del settore mi assicurano che andava di moda una decina d’anni fa). In attesa che il prossimo speciale per épater le bourgeois sia dedicato a "Colpo grosso", segnalo che in realtà la più rilevante e significativa novità in materia di eros all’italiana sta accadendo sotto i vostri occhi, magari a opera delle persone che smanettano sullo smartphone in ufficio o ricevono una compunta notifica alla fermata dell’autobus: da qualche tempo, sempre più uomini pagano le donne per non farci sesso.
La pratica, quella dei cosiddetti money slave, ricade nel più vasto settore del sadomasochismo, in quanto prevede la presenza di una padrona (detta anche dea) e di tutta una coorte di uomini che le sono sottomessi in maniera più o meno costante, totalizzante o esplicita. Esattamente quindi come è sempre accaduto – da almeno tre secoli ne abbiamo testimonianza, talora anche raffinata e letteraria – a colpi di frustate, passeggiate al guinzaglio e torture varie. La differenza è che, in questo caso, non accade assolutamente nulla.
O meglio, accade soltanto ciò che un tempo era il presupposto per far accadere qualcosa: il pagamento. Anche questa, a rigore, non è una novità. Il mestiere più antico del mondo è quello del puttaniere (le prostitute sono sorte perché c’era domanda, non i clienti perché c’era offerta), quindi mantenute e cocotte di ogni genere sono una presenza costante nella storia. Perfino nella pudica età vittoriana l’eros domestico era basato su uno scambio; come diceva George Bernard Shaw, gli uomini pagavano il sesso col matrimonio e le donne pagavano il matrimonio col sesso. Oggi che il sesso si ottiene gratuitamente e fin troppo, senza nemmeno bisogno di sposarsi, l’atto del pagamento è rimasto appeso al nulla e ha acquisito valore di per sé.
La padrona riceve del denaro che lo schiavo le fornisce, e basta. E’ una pratica all’avanguardia resa liscissima dalle piattaforme di pagamento online, quindi alla padrona basta aprire su Verse o su Satispay un conto che frotte di sconosciuti si affrettano a rimpinguare; qualcuna più antiquata si limita a fornire l’Iban, mentre quasi nessuna usa PayPal, che a quanto pare ha commissioni troppo esose. Molto di rado la padrona accetta pagamenti dal vivo, ovviamente in banconote e in un luogo pubblico, ma per farsi concedere quest’onore è necessario versare un anticipo online, ovvero pagare per poter pagare, alla faccia di chi dice che col contante si risparmia.
Il contraccambio più comune è il disprezzo: la padrona mima con le dita la L di loser, taccia insomma di sfigati gli schiavi su Telegram o su OnlyFans poiché la pagano senza ottenere in cambio ciò che dà solo al legittimo fidanzato. Va forte anche l’umiliazione (la padrona pubblica l’elenco dei versamenti effettuati da uno specifico schiavo, dandogli del cane o più coerentemente della mucca, causa mungitura), ma un grande classico è l’indifferenza celeste espressa tramite la pubblicazione dello shopping a spese altrui, così come tramite l’assoluto silenzio. E’ ritenuto galateo che, se l’estratto conto della padrona termina in cifre dispari o in decimali, qualcuno tacitamente si offra per portarlo a cifra tonda.
Derivando dall’America come tutto, anche i money slave circolavano oltreoceano già da qualche anno; in Italia tuttavia il fenomeno si verifica ora su vasta scala e si è popolarizzato con conseguenze anche pittoresche. Tolta la notevole percentuale di donne che scambiano la pratica per una bieca compravendita di foto osé spedite dal cesso, magari mentre di là marito e figli reclamano la cena con la tv accesa su “L’eredità”, a molte signore dichiararsi dee e padrone è parsa una scorciatoia per ottenere da acquirenti ingenui soldi facili per le bollette, una specie di trucco del mattone impacchettato che travisa lo spirito del giochino.
Anche in questo caso, dunque, è stata la domanda a creare l’offerta. Da un lato abbiamo una pletora di uomini disposti a pagare la donna perché donna, illudendosi di riaffermare una supremazia sociale ormai desueta.
Dall’altro abbiamo sempre più donne che provano ad approfittarne, finendo così per esigere omaggi a cellulite, seni cascanti, mise discutibili e occhiaie; sedicenti padrone che intimano venerazione con frasi fatte scopiazzate dai profili delle professioniste (o delle talentuose), spesso irte di errori ortografici e grammaticali. Parimenti, all’ampliata concorrenza è corrisposto un abbattimento dei costi, talché la scena brulica di money slave che se la cavano versando alla loro padrona cifre irrisorie e dee che pubblicano tronfie, a riprova del proprio dominio sul genere maschile, scontrini virtuali da venti, dieci, cinque euro. E coi miei occhi ho visto un pezzente vantarsi di aver arrotondato un conto cui mancavano sì e no trenta centesimi. C’è qualcosa di più postmoderno, c’è qualcosa di più italiano?
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