Foto di Angela Franklin, via Unsplash 

L'intervista

Il riscatto della Gen Z contro la retorica del “cellulare sempre in mano”

Giacomo Astrua

"Due parole su di loro: riscatto e resilienza" dice Ilaria Iacovello, che ci ha scritto su un libro. I ragazzi si trovano con un passato difficile, un presente che ha bisogno di considerazione da parte degli adulti e un futuro da affidar loro con fiducia. Una riflessione

Premesso che classificare la popolazione in base all’anno di nascita non è sempre una grande trovata, si definisce Generazione Z il gruppo di persone nate tra il 1997 e il 2012. I giovani dei giorni nostri, quelli che hanno tra i 10 e i 25 anni e che incarnano il futuro della società. Questi ragazzi sono spesso sotto i riflettori del pensiero comune che facilmente li visualizza come “quelli con il telefonino sempre in mano”. Ilaria Iacoviello, voce e volto di SkyTg24, conosce bene questa generazione di cui si è occupata prima con un format televisivo, “Ragazzi interrotti”, e poi con un libro uscito da pochi giorni, “Due settimane forse un anno” pubblicato da Giunti. 

 

“Sono ragazzi come lo eravamo tutti quanti – spiega Iacoviello – e spesso la distanza che si crea tra loro e noi è data dalla diversità dell’ambiente in cui vivono, che è decisamente un altro rispetto a quello in cui, ad esempio, sono cresciuta io. Il mondo è diverso, le città sono cambiate, abbiamo i social ed è un periodo di rapide ‘rivoluzioni’ sociali. Forse l’unica cosa che è rimasta uguale è la scuola, che invece avrebbe dovuto evolversi. Quando parlo della Generazione Z mi vengono in mente due parole: riscatto e resilienza. Questi ragazzi, e ne ho incontrati tanti, sono sopravvissuti ad anni di pandemia che li hanno feriti e hanno lasciato delle cicatrici. Spesso hanno solo bisogno di un supporto adeguato. Non hanno paura di chiedere e di farsi aiutare ma in pochi gli tendono la mano e in molti si fermano solo a giudicarli”. 

 

Un giudizio che spesso è abbastanza negativo. Ai nostri occhi il “ragazzino del liceo” è spesso svogliato e assente. È chiaro che questo pregiudizio sia limitato e pressappochista, ma come mai noi “grandi” li additiamo spesso come fannulloni e colpevoli del loro essere così svogliati? “Forse perché nessuno vuole prendersi la colpa di alcune difficoltà che i ragazzi di oggi devono affrontare. Mi capita spesso di fare da moderatrice a convegni in cui si dibatte sul tema dei ragazzi, della formazione, della difficoltà che gli adulti hanno a rapportarsi con i più giovani. È uno scaricabarile! La scuola dà la colpa ai genitori che sono troppo permissivi, i genitori alla scuola che non capisce i ragazzi, entrambi danno la colpa ai ragazzi che sono svogliati e distratti. Muro contro muro, non si ottiene nulla e i giovani non vengono né compresi né supportati”.

 

Questa generazione preoccupa anche dal punto di vista della salute e delle abitudini sociali. Si pensa, ad esempio, che saranno degli adulti con scarsa capacità di relazionarsi e incapaci di vivere senza il telefono. “Ho girato molte scuole superiori: licei, professionali, nord, sud e ovunque ho sentito queste parole: ‘è vero che abbiamo i social e seguiamo gli influencer, ma abbiamo anche tante idee e passioni!’. I loro idoli sono sicuramente diversi dai nostri e magari trascorrono molto tempo al telefono, ma quando personalità affascinanti, come alcuni professori che ho conosciuto, si appassionano ai loro studenti allora anche loro ricambiano e alzano la testa dal cellulare, perché di fronte a loro c’è qualcosa, una proposta più interessante. Ecco, questo gli manca! I ragazzi hanno bisogno di educatori capaci e che tengano al loro futuro”.

 

Nel settore sanitario si teme anche una crisi dello stile di vita e delle abitudini alimentari, che in futuro potrebbe gravare rovinosamente sulla sanità pubblica. Cosa si può fare per aiutare questi ragazzi a migliorare? “Lo sport è chiaramente fondamentale. Parlando con psicologi importanti, più volte mi è stato detto che è forse lo strumento più efficace per contrastare un utilizzo eccessivo e poco sano del cellulare. Mi sembra però che lo sport non venga considerato adeguatamente dalla nostra società e dal sistema scolastico. Siamo ancora una delle pochissime nazioni in cui fare sport equivale a non volersi impegnare nello studio. È una prospettiva obsoleta. Un primo importante intervento sarebbe quello di aumentare vertiginosamente l’attività fisica scolastica. Per quanto riguarda l’alimentazione, sono necessarie consapevolezza ed educazione. I ragazzi che conoscono i problemi che possono essere causati da un’alimentazione inadeguata, per eccesso o per difetto, sono quelli che riescono ad affrontare meglio questo problema. Ho visto gruppi di ragazze aiutarsi a vicenda e studenti chiedere aiuto ai professori per un loro compagno in difficoltà. I giovani non sono né stupidi né indifferenti. Siamo noi che abbiamo la responsabilità di educarli a una vita sana e c’è da dire che in quanto a salute e corrette abitudini gli adulti di oggi non sono un ottimo esempio”.

 

Qual è il passato, il presente e il futuro di questi ragazzi? “Un passato tosto, forse più di difficile di quello di molti delle nostre generazioni, un presente pieno di aspettative e di bisogno di ascolto da parte degli adulti, e un futuro da affidargli cercando di fargli strada fin da subito”.

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