FACCE DISPARI

Ivan Orfei, a tu per tu con le tigri: "Non vedo l'ora di tornare nella gabbia"

Francesco Palmieri

Il domatore aggredito durante uno spettacolo a Lecce racconta l'incidente: "E' colpa di una mia distrazione". Il rapporto con gli animali, la passione di famiglia per il circo e il ricovero in ospedale. Intervista

Per nostalgia seduti ancora dalla parte sbagliata, dove ritrovarsi sempre più larghi è sparuto vantaggio, alcuni uomini del Novecento ricordano irrecuperabili stupori di rari pomeriggi infantili al circo, baciati da una gioia che non immaginavano esecrabile o peccaminosa. Se poi da bambini, come scrive Borges, indugiarono anche “davanti a una certa gabbia del giardino zoologico: delle altre non importava nulla”, e quella era la gabbia delle tigri, lo confessano col capo cosparso di cenere al cospetto dei probi, che tifano per la morte di toreri e domatori sotto le corna o fra gli artigli del vindice animale.

Ma poiché il libro del mondo nuovo non è per tutti un thriller, in cui le pagine si girano in fretta, ci soffermiamo fra le precedenti trovando nella scorsa Ivan Orfei. Trentun anni, cognome che non lascia dubbi, equilibrista e domatore, è assurto a notorietà per esser stato aggredito da una tigre siberiana allorché si esibiva nel circo di famiglia, il 29 dicembre in provincia di Lecce. Sui social la curva dei buoni, affollatissima, ha urlato rammarico per la sua sopravvivenza, invece noi ammettiamo che è stato un piacere ascoltarlo mentre attende la guarigione in ospedale.

 

Quanti punti di sutura le hanno messo?

Le ferite dei morsi e dei graffi sono così profonde che devono restare aperte per spurgare, altrimenti c’è rischio di infezione.

 

Perché la tigre l’ha aggredita?

Per colpa di una mia distrazione. M’ero concentrato su un’altra tigre offrendo un attimo di troppo le spalle a Taira, una femmina di otto anni, che intanto s’era avvicinata. Quando si è trovata prossima alle mie gambe, forse per giocare o forse per istinto mi ha assalito.

 

Dopo che è finito giù la tigre l’ha attaccata anche al collo. Ovviamente c’è chi tra il pubblico filmava con lo smartphone.

Mi ha salvato Eddy, un inserviente coraggioso che si è precipitato dentro la gabbia con uno sgabello e s’è lanciato addosso a Taira mettendole paura.

 

È la prima volta che subisce un incidente?

Sì, ma sono riuscito a rimanere lucido cercando di gestire la situazione. Se svenivo era finita. La preoccupazione maggiore era che le altre due tigri si unissero all’attacco. Quando ho visto che se ne disinteressavano ho capito che avrei potuto salvarmi.

 

Ma chi glielo fa fare?

Perché, tolti i momenti che trascorro con le mie due figlie, quelli in cui lavoro con le tigri sono i più belli della giornata.

 

Da quanto tempo è domatore?

Tre anni.

 

E prima?

Sono nato nel circo di mio padre Lino. Ho cominciato da bambino come clown, poi sono diventato equilibrista e addestratore di cavalli. Ma un circense deve imparare tante cose anche fuori dalla pista: elettricista, carrozziere, un po’ di tutto.

 

Un’altra volta chiederemo a un etologo, oggi dica lei com’è una tigre.

È intelligente e falsa, davanti fa la bella faccia ma se può ti attacca alle spalle. Se sa che le porterai da mangiare concede confidenza, ma una volta depositato il cibo ti odia perché sospetta sempre che tu possa rubarglielo. È più semplice domare i leoni: sono più bonaccioni, anche se gli animali sono tutti imprevedibili. Ho letto di recente di una signora sbranata dai suoi rottweiler.

 

Quanto mangia una siberiana?

Abbiamo un contratto con Amadori per una razione di venticinque polli al giorno ciascuna. Però quando il circo è stato fermo durante la pandemia mica gli animalisti si sono preoccupati che le bestie mangiassero, non ci hanno portato un solo chilo di carne. Dobbiamo ringraziare don Pino, il vice parroco di San Michele Salentino che raccoglieva in giro il fieno per l’elefantessa, la carne per le tigri e la pasta per noi.

 

Il futuro del circo è senza animali. Se n’è fatto una ragione?

I più la pensano così, però il circo nasce con gli animali. Quando ci hanno tolto le scimmie, si sono lasciate morire. Accadrebbe lo stesso alle tigri cresciute in cattività con noi. Chi crede che le maltrattiamo o le droghiamo per farle esibire non ha capito niente. Noi amiamo gli animali. Girando con il circo raccolgo e adotto tutti i cani trovatelli che incontriamo. E ho gonfiato di pugni un inserviente perché maltrattava di nascosto l’elefantessa, che ha cinquantun anni e mi ha visto nascere. È l’animale più intelligente che abbiamo: quando hanno imposto di tenerla in un recinto elettrificato, lei ha imparato a staccare la spina con la proboscide per andarsene in giro.

 

Cosa le hanno insegnato le tigri?

A non fidarmi di nessuno.

 

Gli occhi della tigre meritano davvero l’abusata espressione trasferita agli umani?

Senza dubbio: fissano per intimidire e ci riescono. Io controbatto fissandole a mia volta per dimostrare che non ho paura.

 

Anche a fronte del ruggito?

È il loro modo per dire: lasciami in pace, stai attento che ti faccio male. Non mi allontano, rido e rispondo alla tigre: “Quanto sei bella, amore mio”.

 

Ha paura di tornare nella gabbia?

Al contrario, non vedo l’ora. So che per Taira la faccenda s’è chiusa quella sera stessa e lei proseguirà come se niente fosse. Sarà lo stesso per me quando la rincontrerò, però la prossima volta presterò più attenzione.

 

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