La famosa invasione dei finlandesi in Sicilia che fa subito Checco Zalone
La famiglia "nomade digitale" che se ne va inorridita da Siracusa, con lettera aperta alla cittadinanza, perché in realtà vuole Helsinki a Siracusa. Ma io e te, caro nomade digitale, che se dovemo dì?
In un eventuale soggetto (serie, docufiction, ma va bene anche film normale persino per rete generalista) del post Covid non dovrà assolutamente mancare la storia della famigliola finlandese “digital nomad” che se ne va inorridita da Siracusa, con lettera aperta alla cittadinanza, immediatamente ripresa da stampa locale e nazionale.
Tra “Il merlo maschio”, “Viaggio in Italia” con Ingrid Bergman e naturalmente Checco Zalone finnico, è una fantastica rappresentazione di una delle trovate che ci son state lasciate in eredità dalla pandemia: che ognuno può lavorare dove gli va, che il mondo è bello perché è vario, che vanno riscoperti i “borghi”, insomma che tutto è meglio delle città e degli uffici. Il digital-nomadismo è una di quelle idées reçues che dei novelli Bouvard e Pécuchet avrebbero inserito nella loro lista di certezze alla moda demenziali. Uno dice: già, come non averci pensato prima, effettivamente perché mangiare aringa affumicata in pausa pranzo in un oscuro casermone di Helsinki, se puoi lavorare dal baretto a Ortigia di fronte a palazzo Beneventano, gustando una granita, e poi scendere a mare (a dicembre).
E dunque via, tutti nomadi: i cuochi si licenziano, la vita è troppo corta per essere passata lavorando, in cucina e no. Dopo gli chef, protagonisti del “quiet quitting” cioè dimissioni silenti, la monarchia è un altro lavoro che nessuno vuol più fare in presenza, meglio prendere il sole in California (anche Harry è un digital nomad, e chissà don Georg dove andrà a svernare); ma già il ricciolone delle criptovalute Sam Bankman-Fried, installato alle Bahamas, rifiutava la città e voleva rendere le isole un cripto-paradiso in braghe corte. I nomadi digitali, questa speciale categoria così in voga, armata solo di computer portatile, può appunto lavorare da qualunque posto e dunque un posto vale l’altro, e chissà mai che lavori faranno; ma non importa, è il nuovo mondo, e sembra il mondo sognato da Elly Schlein, sembra un manifesto del nuovo Pd (che vota le primarie online).
Paesi come Barbados, Estonia e Portogallo rilasciano già visti speciali per i digital nomads, che sognano la settimana da quattro giorni lavorativi o addirittura da quattro ore come prescrive il guru Tim Ferris; hanno app che aggiornano automaticamente il calendario ai fusi orari del paese in cui si trovano, e in tutto il mondo nascono “zoom town”, pronte per accogliere questi espatriati che poi lavoreranno in teleconferenza (ma se il wi-fi funziona solo nel vecchio campanile in cima al cucuzzolo, e se i muri di casa son così spessi che non lasciano passare alcun segnale, come nei meglio borghi italiani, come si farà?).
Si va per tentativi; e la famigliola nomade in questione, finlandese, era già stata in Spagna, poi se n’è venuta in Italia, chissà adesso dove andrà. E’ una vita d’inferno, questo nomadismo a tentoni, a spizzichi e bocconi (chissà per i pagamenti a Siracusa, profondo sud dell’Italia anti Pos: la Finlandia non solo ha abolito il cash ma sta anche abbandonando le vetuste carte di credito, si paga solo via app). Perché questi nomadi digitali poi vogliono le stesse cose che hanno in patria. La comodità di Helsinki col cannolo very cheap.
I vecchi nomadi analogici, quelli, erano però un’altra cosa. Si piazzavano in posti estremi del mondo e non rompevano le scatole. In Sicilia generazioni di signori a ruota del barone von Gloeden mica pretendevano standard occidentali, anzi apprezzavano molto quel solito delta di ritardo culturale che l’Italia offre da sempre al visitatore. E a Capri Axel Munthe mica cercava efficienze svedesi o scuole montessoriane. La famiglia finnica invece sì. La famiglia finnica vuole Helsinki a Siracusa. E naturalmente a modo suo ha ragione.
La lettera della mamma finnica va letta tutta perché son proprio due mondi destinati a non capirsi. La mamma finnica si lamenta che nelle scuole italiane non si faccia una pausa di 15 minuti ogni ora per prendere aria; che i bambini vadano a scuola non a piedi ma accompagnati da mamme e papà; che i professori di inglese in Italia non sappiano l’inglese: tutto giusto, tutto ovvio, ma il clash culturale è evidente, è lampante. Dove pensavano di andare? Sembra il vecchio sketch di Guzzanti: ma io e te, digital nomad, ma che se dovemo dì? (il sindaco di Siracusa, poveraccio, travolto dalla questione, si chiama, programmaticamente, Francesco Italia).
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