Le dolci pantere
Da Kardashian a JLo, ecco le dive che spingono oltre il confine i giochi della seduzione
Tra i profili più seguiti, ai maschi calciatori fa da controcanto un gran numero di donne. Nota comune? Spacchi, tacchi e décolleté. Accade infatti che la voglia d’ammiccare si sia piegata ma non spezzata. Il MeToo compie quattro anni (mica male), ma tanto ha fatto che non è bastato
L’irriflessa chiusura della palpebra dice tutto. Il resto è ammicco. Nel frattempo c’è il MeToo che compie quattro anni (mica male). Ma tanto ha fatto che non è bastato. Sarà un’onda anomala, come dicono loro, ma l’istinto di conservazione è rimasto intatto. E pur con tutti quei “prego, tocchi pure. Denuncerò nel duemila-poi”, l’ammiccamento di spacchi, tacchi e décolleté resiste. Non solo in quel dinosauro della tivù, ma pure sui social network. E tutto nell’irriflessa chiusura della palpebra perché, insomma, l’occhio è il varco della seduzione.
Intendiamoci. La nostra è sì un’epoca di femmine monacate, di donne barricate in gonne e sottogonne di complessi e recriminazioni. Di accuse scagliate dopo mezzo secolo come han fatto i Romeo e Giulietta zeffirelliani: trafficanti di rancore adesso ma nudi e innocenti nel ’68 del secolo scorso. In questi giorni, poi, arriva in sala “Anche io”, il film di Maria Schrader che racconta Megan Twohey e Jodi Kantor, premiate con il Pulitzer per aver svelato i retroscena del tappeto rosso. Fra i produttori anche Brad Pitt – accusato dall’ex moglie Angelina di avere le mani lunghe – ma giustamente indignato per il do-affinché-tu-dia cui in molti – tutti – siamo vocati. Almeno una volta nella vita. Ma cui in pochi – pochissimi – sono obbligati davvero. Ed è sì un’epoca di monache senza gioia e senza principio di realtà. Un tempo pieno di quelle che al “no, grazie” preferiscono il “sì, prego, tocchi pure, a denunciare ci penserò quando mi sentirò Norma Desmond sul viale del tramonto. Quando sarete lì lì per dimenticarmi, che sia fra un giorno o vent’anni che importa. E allora vi sputtanerò sputtanandomi. E muoia Sansone con tutti i filistei”.
Ultima nella sequela delle signorine “Prego, tocchi pure” è Cristina Comencini, secondo la quale se denunci vent’anni dopo, che fa? Magari prima dei vent’anni ti vergogni. E giustamente la vergogna, per le madame, va avallata. Non certo superata. Perché la vergogna è alla base del complesso, e il complesso è alla base del salotto. E dunque, senza vergogna, senza complesso e senza salotto, che madama saresti? Sono stati anni duri insomma per chi – a tutela dei propri estrogeni – ha sempre distinto un vicolo buio da un loft. Ovvero uno spray al peperoncino in tasca, la notte, da un divanetto con mano sul ginocchio. Mano laida e rognosa, sì, ma facile da scacciare senza eccessivo drama. Senza pretendere dalla società quanto spetta all’individuo, e cioè saper dire “sì, sì” oppure “no, no” (“tutto il resto viene dal maligno”). Sono stati anni duri. Ma a guardarsi intorno non va tutto male. Accade infatti che la voglia d’ammiccare si sia piegata ma non spezzata. Un po’ come si piega ma non si spezza la vita. E questo da sempre. Giacché vivere e ammiccare sono la stessa cosa. Soprattutto per una donna che nel vitalismo persevera.
Provate a fare una ricerca dei profili social più seguiti e subito scoprirete che ai maschi calciatori (Cristiano Ronaldo, Lionel Messi) fa da controcanto un folto numero di donne. Nota comune? Spacchi, tacchi e décolleté: l’ammiccamento, appunto. Fra le prime dieci posizioni, ben cinque sono occupate dalle sole sorelle Kardashian-Jenner che una dopo l’altra s’accaparrano metà della graduatoria. O quante belle figlie… Di padri diversi ma della stessa mamma: la “momanager” Kris, fautrice del reality famigliare ante-social. Le cinque sono oggi macchine da guerra e maestre del selfie. L’instagrammiana in assoluto più seguita è Kylie Jenner, ultimogenita (classe 1997).
Proprietaria d’un osso iliaco fra i più sensuali al mondo. Kylie sa come auto-catturarsi col dito ultra ungulato portato alle labbra o con l’accappatoio schiuso sul bikini in latex. Ceo di “Kylie Cosmetics”, pare avesse intortato Forbes per scalzare Zuckerberg nel primato di miliardario più giovane della storia. Se dunque aleggiano dubbi sul suo patrimonio, indiscutibili sono i follower: 378 milioni. Seguono Kim, regina di selfie e di “belfie”, campionessa di bocca a sederino e di sederino. (A chi sfugge la cintura pelvica da titana?). Vengono poi Khloé, Kendall e la primogenita Kourtney. Tutte e cinque capillarmente sparse nella rosa di vincenti instagrammiane. E tutte e cinque piazziste di se stesse prima che di smalti e creme. Le Kardashian-Jenner sono l’ammiccamento fatto donna e c’insinuano il dubbio – invero certezza – di un MeToo quasi tutto bianco. Il pastrugno di accuse e ricatti – chissà perché – è quasi sempre incarnato dalle Rose McGowan o dalle Asie Argento. E cioè dalle bianche pallide, con lo sguardo appisolato, malato, spento, un po’ klimtiano. Fateci caso. Benché Nicki Minaj (208 milioni di follower!) abbia conosciuto la mano laida, è difficile associare il suo corpo da Barbie mulatta al MeToo. Lei lo sa. E come nickname sceglie proprio “Barbie”, preannunciando una galleria di labbrone e culone ballerino. Un trionfo di reels in cui s’agita spingendo l’anca dalla famosa posizione accovacciata. E c’è da giurare che la Minaj, forte di quel bacino, non abbia un gran bisogno d’accusare come una klimtiana in disarmo. La sua carne vuol essere guardata, e il MeToo non si sposa alle veneri marroni. Allora, a proposito di sguardi, torniamo alle cinque creole. Ebbene, dopo reality e spin-off, le Kardashian hanno esportato sul social la scopofilia. Scopofilia ossia “perversione del vedere” (che pensavate?): la logica stessa della rete (e dell’ammiccamento). Costituzione non scritta del fazzoletto di terra digitale. Terra di cui le sorelle sono indiscusse domine. E tutto in forza dell’ammicco, se vuoi del ritocco. O comunque dello sguardo felino-assassino.
La teoria dell’ammicco si gioca fra l’occhio e lo spirito. Il punto è proprio questo, là dove il corpo è soltanto un tramite. Un oggetto di cui si ha pieno controllo, al quale si attribuisce il giusto peso (“giusto” nella misura che ognuna sceglie per sé). E’ un mezzo che si usa per disparati scopi. E che proprio per questo resiste al MeToo. A quell’onda che non emancipa ma inganna. Che sacralizza la carne a meno che il produttore non sia gnoccone (ed ecco l’ipocrisia delle monacate). Un’onda che crea una social catena di forche e cilici piuttosto che muscoli individuali.
Se per le puritane del cinema è tutto un “Ciccio, toccami toccami” seguito da un “Mamma, Ciccio m’ha toccata!”, per le pantere la logica è un’altra. Non è un toccami-toccami ma un guardami-guardami… E poi non-mi-guardare. Non è un caso che Hegel parlasse di “sensi superiori” contrapposti ai sensi bassi. L’udito ma ancor più la vista sono i sensi che trascendono il qui-e-ora. I sensi alti, appunto. L’occhio è il varco della seduzione. E l’ammiccamento, in senso medico, altro non è che l’irriflessa chiusura della palpebra. Quanto accade quando per la prima volta cercate di porre una lente su un’iride riluttante. E quanto accade, ancora, nel gioco della seduzione che governa vita e mercato (ché anche loro sono la stessa cosa). Se il pensiero del MeToo si svolge tutto nel senso basso del tatto, l’ammiccamento è di contro il gioco della lontananza. La danza che infatua mentre la si guarda. La musica che si ascolta da pifferaie che si vendono e vendono.
Seconda e terza classificata fra le imperatrici del selfie sono Selena Gomez e Ariana Grande. Nel 2019 l’icona pop del terzo millennio (che si chiama Grande ma sembra una Lolita) eguagliava il record dei Beatles di ben tre brani nei primi tre posti della Billboard Hot 100 Usa. In quello stesso anno si contendeva la medaglia d’oro dell’Instagram con Selena Gomez. Un saliscendi andato avanti a colpi di foto. In questo caso non culi da ottentotte ma faccette maliziose.
E ancora, nella lista dei più seguiti s’interpolano due matrone come Jennifer Lopez (seguaci: 231 milioni) e Beyoncé (291). Due maestre dell’ammicco col nerbo in glutei di marmo. Non immuni al MeToo – ovvio – ma capaci di mangiare la testa a produttori e registi. Il corpo di JLo, quel corpo che recalcitra la gravità, che ama esser guardato e frutta centinaia di milioni di dollari, riflette spirito di granito. “MeToo?”, si domandava in un talk organizzato dall’Hollywood Reporter, “ma non scherziamo. Capitò anche a me, certo, ma io vengo dal Bronx. Metto paura”. E insomma per la ragazza del ghetto si spasima. La si ammira e la si paga a che entri in azione. Ma non la si tocca senza arrischiarsi le gonadi. Perché la maestria dell’ammicco è l’esatto opposto della debolezza. Per un motivo semplice semplice. Se a dispetto della crisi del maschio l’uomo continua a guardare la donna, la donna – dal canto suo – continua a guardare se stessa mentre è guardata. Perlomeno la donna libera, quella senza complessi. (Perciò piano con l’avvocatura d’ufficio. Con le già trite difese del culo coartato dalla tivù commerciale. Le veline italiane saranno cadute in disgrazia, d’accordo. Ma Paolo Bonolis esiste ancora, e con lui “Madre Natura”, che non sembra provare orrore per lo sguardo di tre milioni di spettatori. Babbei che gioiosamente ignorano la crisi del maschio).
Se può consolare anche qualche donna – una regina, nientemeno – è in crisi. Una divina dei sensi superiori: capace d’essere guardata e udita fino allo sfinimento. Prima che il conformismo ce la portasse via, chi ipnotizzava il mondo meglio di lei? Chi meglio di Madonna Ciccone dava prova di un male gaze fai da te. Secondo le teorie femministe, si chiama male gaze lo sguardo maschile che determina l’immagine della donna nell’arte figurativa. Dalle veneri paleolitiche a François Boucher, con le svestite alla corte di Luigi XV, sino a Madonna che si sveste da sé. Era il 1992 quando – dopo testi e video irripetibili – veniva fuori “Sex”, il libro fotografico in omaggio al corpo (e al suo variopinto impiego). Steven Meisel ritraeva Madonna all’acme della sensualità, fra il Chelsea Hotel di New York e le autostrade di Miami. Compariva il suo alter ego, Dita Parlo, la mistress imbracata in pelle, borchie, mascherine. Oggi Madonna, che del corpo ha fatto un tempio (sublime e osceno), e dell’ammicco una religione, si è piegata a quel masochismo tipicamente bianco. Al complesso di chi forse teme la si apostrofi malafemmina. Per cui alle calze a rete alterna tutti i fervorini anti-uomo. Quando forse era stata la prima a capire il trucco: a fingersi oggetto con dirompente soggettivismo, diventando padrona dei suoi padroni. Intuendo la circolarità fra dominanti e dominati. Il corpo-oggetto è quanto di più dominante.
Musica per musica, di spogliarsi non ha avuto bisogno Mina. Che se il MeToo la vede, scappa via. Come poteva dire “anche io” una che era solo lei. Unica e sola. Vertice insuperato d’ammiccamento. Spassoso il sederone rapper di Nicki Minaj. Bella Madonna e le sue fallite imitazioni (Lady Gaga, Miley Cyrus… Tommaso Labranca le avrebbe inserite nel “trash”?). Ma vuoi metterle con quei testi insuperati di Cristiano Malgioglio. Vuoi metterle con la Mina virago. Vitello d’oro del sentimento omosessuale. Scuola massima d’ammiccamento è quel video bellissimo – o se non bellissimo, proprio magnetico – del suo primo piano che canta “Ancora, ancora, ancora”. Di video e canzone (anno 1978) basterebbero lo zoom sulla bocca e il distico d’apertura: “Se vuoi andare ti capisco / se mi lasci ti tradisco”. L’opera fu scelta come sigla finale del programma televisivo “Mille e una luce”, condotto da Claudio Lippi, Luciano De Crescenzo, Ines Pellegrini. Subito censurata dalla seconda puntata, Mina concludeva così le sue apparizioni televisive. Con quel fotogramma di culto, da perdere il fiato. Prova schiacciante di quanto il vedo-non vedo – nella presenza-assenza – sia alla base del mito.
Tocca fare un ultimo sforzo per un ultimo mito, perché l’ammiccamento è davvero un atto di coraggio, ben più di un’accusa cinquant’anni dopo. Riavvolgete il nastro. Non di mezzo secolo ma di qualche decennio, ed ecco Moana Pozzi. Uscita anche lei di scena nel momento migliore, non per scelta ma per fatalità, a poco più di trent’anni. L’angelo osceno decideva da sé cosa essere e cosa non essere, provando che l’ammicco non è né MeToo né pornografia. E niente era più intimo e nudo del suo sorriso in televisione, magari corredato da sentenze definitive: “L’oscenità è sublime”. Un vero mito in questo mondo ancora diviso fra chi ammicca e chi ammorba. Fra miti e MeToo… A ciascuno il suo.
generazione ansiosa