la polemica
Zelensky a Sanremo fa un gran bene. Basta vedere chi non lo vuole per esserne sicuri
Da Vauro a Mario Giordano gli opposti si uniscono contro la presenza del presidente ucraino al Festival. Persino il ministro Salvini si schiera contro. Ma la sua testimonianza può essere solo positiva per il programma (e per chi lo guarda)
Da sinistra urlano Vauro, Beppe Grillo, Moni Ovadia, Dibba e perfino Luigi de Magistris. Da destra strillano Nicola Porro e Mario Giordano. Gli opposti isterismi, insomma. Manca solo una dichiarazione contro di Giuseppe Conte per avere la matematica certezza che è giusto essere pro: pro l’ospitata di Volodymyr Zelensky a Sanremo. Ieri si è schierato anche Matteo Salvini, che sarà pure ministro di un governo che sull’Ucraina si sta comportando con inaspettata, dignitosa fermezza atlantista, ma evidentemente rimpiange i bei tempi delle gite all’hotel Metropol e di Putin “grande uomo di stato e di governo”, come proclamato a Cervia nel ’19, non vent’anni fa, insieme con i bouquet per Trump “salvezza per gli americani” e Bolsonaro “grande presidente”, viva la santissima trinità sovranista e golpista. “Speriamo che Sanremo rimanga il Festival della canzone italiana”, ha detto il Matteo, ignorando che la canzonetta, autarchica o meno, non è più il core business del Festival, da anni un contenitore dove c’è di tutto e di più, secondo il vecchio slogan di mamma Rai. Per dire: nelle ultime tre edizioni, gestione Amadeus, all’Ariston si è parlato di femminicidi, razzismo, intolleranza, parità di genere e di ogni possibile argomento d’attualità, con prevalenza di quelli più politicamente corretti (per inciso, di davvero desolante, nell’intervista di Salvini, c’è la definizione di Sanremo come “città dei fiori”, che non si sentiva dai tempi di Nunzio Filogamo ed è quasi più grave che usare “nella splendida cornice”, “la morsa del gelo”, “l’accorato appello”. Si affonda subito nel Banal grande).
Invece avere Zelensky a Sanremo fa bene innanzitutto a Sanremo, visto che le sue precedenti ospitate spettacolari, in tutti i sensi, si erano verificate ai Golden Globe, a Cannes e a Venezia, eventi decisamente più global e glam, e insomma certifica che il festivalone è meno irrilevante di quanto siamo abituati a pensare. Semmai c’è da rimpiangere che Sanremo in Russia non lo guardino più, a differenza dei bei tempi di Al Bano e di Toto Cutugno e dei Ricchi e Poveri, ultimi eroi di una passione russa per la musica italiana che risale addirittura a Cimarosa (musica magari un po’ migliore, volendo); però in ogni caso provvederebbe la censura del grande uomo di Stato e di governo a impedire ai sudditi di ascoltare il Nemico. Ma poi Zelensky che si materializza su Raiuno fa bene anche a chi la guarda. Nell’ottundimento collettivo di cinque interminabili serate di fiori e ritornelli e begli applausi, in questa bolla d’incoscienza che fluttua nel cielo sempre più blu dell’ottimismo coatto, nel migliore dei mondi possibili come sono tutti quelli che sospendono la realtà, ricorda a tutti che, mentre ci balocchiamo con sorrisi e canzoni, nel nostro continente c’è un dittatore criminale che sta cercando di asservire un popolo libero, che per restarlo combatte con un eroismo che suscita l’ammirazione di tutte le persone perbene.
Che c’entra Zelensky in mezzo ai Cugini di campagna (non quelli citati all’inizio, il gruppo) e ad Anna Oxa? Niente, come c’entra niente tutto ciò per cui Sanremo è Sanremo, questa cena dove il contorno è più importante, e di certo più saporito, del piatto forte. Come se, poi, ci fosse ancora qualche differenza fra spettacolo e politica (o forse sì, c’è: per fare spettacolo, almeno a certi livelli, qualcosa bisogna essere capaci di farla, mentre la politica è piena di gente senz’arte ma purtroppo con la parte). Tutti a definire Zelensky, in tono spregiativo, “un attore”, “un comico”, addirittura “un clown”: però al momento dell’invasione ha rifiutato un comodo esilio, ed è restato lì a combattere con la sua gente, sangue, sudore e lacrime invece di Beverly Hills. Il precedente di un attore che ha vinto la terza guerra mondiale senza nemmeno doverla combattere dimostra che non bisogna prendere sottogamba la gente di spettacolo che fa politica. Si chiamava Ronald Reagan. Peccato solo che Zelensky, stando a quel che annuncia la Rai, non parlerà dal vivo ma registrato e soltanto per due minuti, nella serata terminale dell’11 febbraio, fra la fine della gara e l’annuncio di chi l’ha vinta. “Zelensky? Non so come canta, ho altre preferenze”, ironizza Salvini. Beh, non canta male, anche se è meglio come ballerino, basta fare un salto su YouTube. Ma l’importante, per la sua performance sanremese, è che le canti chiarissime.