Crollo demografico
Complimenti alla Plasmon, che ci mostra come sarà l'Italia senza bambini
Il cortometraggio “Adamo”, sull'ultimo bambino che nascerà fra una generazione. Intanto in Giappone il mercato dei pannoloni per anziani da anni surclassa quello per bambini. E a Genova a città più vecchia d'Europa, dove i morti sono il triplo dei nati, non c'è stata nessuna nascita per venti giorni consecutivi
Nel 1983, un demografo italiano fu contattato dai capi della Plasmon. L’azienda era interessata alle sue analisi sulla popolazione. I manager della Plasmon si dissero preoccupati su una tendenza che stavano osservando in Italia, principale mercato di sbocco per i loro prodotti alimentari per l’infanzia: “Professore, i bambini italiani stanno diminuendo e, se l’attuale trend dovesse continuare, diminuiranno sempre più rapidamente. Capirà bene che per noi si tratterebbe di una catastrofe. Lei crede sia possibile una qualche inversione di rotta?”. La risposta del demografo fu un secco “no”. I dirigenti della Plasmon allora controbatterono: “Sarebbe corretto diversificare rispetto al mercato dell’infanzia dedicandosi a una linea di prodotti ‘Misura’ per adulti?”. Questa volta il demografo rispose di “sì”.
A fronte dell’“inferno demografico” come lo ha appena definito il ministro Roccella, per la Plasmon ci sono solo due soluzioni: diversificare o chiudere. Per questo, quarant’anni dopo quel colloquio, Plasmon ha realizzato “Adamo”, che non è solo il primo uomo, ma anche l’ultimo bambino che nascerà in Italia, raccontato in un cortometraggio con cui Plasmon ci proietta in un futuro neanche tanto lontano, il 2050, una generazione da ora, dove il numero di nascite è diminuito sempre di più fino ad arrivare appunto a uno. L’ultimo nato in Italia. Adamo.
Si vedono un padre e una madre che raccontano Adamo che cresce in un mondo senza simili, senza bambini, senza sorelle, senza fratelli, senza nessuno con cui giocare, come il film “I figli degli uomini” aveva “Baby Diego”. Il demografo Alessandro Rosina nel film spiega cosa è successo. E non è fantascienza.
“Se le nascite in Italia proseguissero il percorso di diminuzione con il ritmo osservato nel decennio scorso ci troveremmo a entrare nella seconda metà di questo secolo con reparti di maternità del tutto vuoti”, ha scritto Rosina giorni fa sul Sole 24 ore. “Lo scenario di zero nati nel 2050 difficilmente verrà effettivamente osservato – le dinamiche reali sono più complesse di una semplice estrapolazione –, ma i dati ci dicono che alto (oltre il livello di guardia) è diventato il rischio di un processo di declino continuo della natalità”. Se questa frana non s’arresta, le conseguenze ultime dell’illusione demografica sorprenderanno un popolo non più capace di riaversi, di riprendersi, di riconquistarsi, quando sarà troppo tardi. Terribile traiettoria segnata per l’Italia da cifre insofisticabili.
A Genova, il “ground zero” della denatalità italiana, la città più vecchia d’Europa dove i morti sono il triplo dei nati, per due negozi della linea per bambini Prénatal ci sono una quindicina tra punti vendita e supermercati per animali delle catene Arcaplanet e Fortesan. Anche il Secolo XIX, giornale che da sempre tira la volata al progressismo genovese, si è accorto che qualcosa non va: “Provate a immaginare che Genova sia una città assolutamente morta: tanti funerali come sempre ma, da un momento all’altro, nemmeno una nascita. E questo non per un giorno o una settimana, ma per venti giorni consecutivi, durante i quali tutti i reparti di ostetricia restano vuoti, nessuna neomamma allatta al seno un figlio, nessun sms annuncia un lieto evento. Bene, i numeri dicono esattamente questo…”.
In Giappone, l’occidente che sorge prima, il mercato dei pannoloni per anziani da anni surclassa quello per bambini. Qualche giorno fa, un professore di Yale, studioso con tutti i crismi accademici, ha suggerito il suicidio di massa dei vecchi in Giappone per risolvere il problema dell’invecchiamento. Non era più semplice favorire le nascite e la vita, prima che si compisse il destino di Adamo?