Un vero minestrone
Memorie di un vecchio bocconiano: ritratto rubato di Salvatore Grillo
Schietto, devoto, passionale, rompicoglioni. Un mito per generazioni di studenti. 84 anni, di cui più di 60 passati all’Ateneo di via Sarfatti. Ora ha messo insieme i suoi ricordi. E dice: "Ho dovuto farlo: me l’hanno ordinato dal Paradiso"
Almeno 200 lettere, mail, sms e messaggi WhatsApp. Ritagli di giornale. Filastrocche, fumetti, poesie, preghiere. Un autografo di Pablo Neruda. Un autografo del premio Nobel Miguel Angel Asturias. Un carteggio con Primo Levi. Una lettera di protesta indirizzata a Eugenio Scalfari. Una lettera del presidente della Repubblica. Una lettera del Patriarca di Venezia. Un vecchio menù battuto a macchina. Il frontespizio di Il governo dell’Economia e della Moneta. Contributi per una politica europea, di Mario Monti, con dedica del professore. I cartelli con cui tappezzava i muri dell’Università - frasi della serie: "Solo gli imbecilli hanno certezze. L’unica certezza è la morte. Tutto è mistero". E la fotocopia del cartellone, preparatogli dagli studenti nel 1994, con il suo famosissimo motto: "La vita è un dono. E se non lo avete ancora capito, vuol dire che non avete capito un cazzo".
La notizia è che Salvatore Grillo, storico dirigente dell’università Bocconi - 84 anni, di cui più di 60 passati all’ateneo di via Sarfatti 25, già autore del celebre Via Bocconi 12 (Melampo 2006) – ha dato alle stampe un nuovo libro. S’intitola, appunto, Minestrone di un vecchio cameriere. Il primo problema è che non è in commercio. Il dottor Grillo se l’è stampato per conto suo, intende farne omaggio a chi farà una donazione alla Fondazione Antonio e Giannina Grillo, la sua onlus, con cui aiuta i ragazzi in difficoltà. Il secondo problema è che, all’uomo, i giornalisti non vanno a genio per niente. "Interviste?! Io ho paura delle interviste" ci disse, la prima volta che lo contammo – ormai un mesetto fa – all’altro capo del telefono. "Anni fa, ne ho rilasciata una. L’articolo era bello, il titolo orribile: 'La Bocconi non è più in grado di formare i giovani'. In prima pagina! Lei se li immagina, i guai che ho passato?!".
Cominciò una corte serratissima. Mail. Messaggi. Telefonate. Contatti con quelli dell’ufficio stampa, che facessero da intermediari. Alla fine, forse per levarsi dai piedi questo giornalista rompiscatole, forse perché in fondo - sotto la scorza burbera – nasconde un cuore generoso, aprì uno spiraglio: "Senta, venga a Milano. Incontriamoci nel mio ufficio. Il libro glielo do". Quella in cui nacque il dottor Grillo, è una Milano che non esiste più. I suoi genitori – quinta elementare, famiglie di analfabeti – avevano una trattoria in piazza Diocleziano, dalle parti di corso Sempione. Suo padre, Antonio, nato in Brasile da emigrati calabresi, era cresciuto odiando il fratello Giovanni – un odio calabrese, duro, atavico, senza un vero perché. Sua madre, Giannina, a tredici anni l’avevano messa a fare la lavapiatti. Non aveva mai conosciuto il proprio padre, e ne soffriva. Tanto che una volta, durante un’ispezione in trattoria, la polizia le chiese di declinare le sue generalità, lei rispose, alzando la voce: "Giannina Guerrazzi. 'Figlia di n.n.'. Scriva pure 'figlia di puttana'".
Salvatore era un bambino grasso e con i capelli rossi. Alle elementari, si ritrovò per compagni i rampolli delle famiglie bene, che lo guardavano dall’alto in basso. Il profitto scolastico… lasciamo perdere. La disciplina, neanche a parlarne – ah, quante botte prendeva dai preti, in classe e all’oratorio! L’unico campo in cui pensava di poter eccellere era la frequenza. Ma non c’era niente da fare lo stesso, perché il padre, di punto in bianco, lo veniva a prendere e lo portava al ristorante per fargli lavare piatti, bicchieri, tazzine, servire ai tavoli. Ogni tanto, gli chiedeva anche di allungare il vino – ogni cinquanta litri, sette litri d’acqua. Lui gli diceva: "Papà, sei un ladro". E giù, altre botte. Una vita dura, difficile. Al lavoro dodici ore al giorno, 365 giorni all’anno, compresi i sabati e le domeniche (una volta Salvatore si buscò la polmonite, il medico lo mandò a curarsi sulle montagne, e il padre andò a prenderlo anche lì). Il servizio al ristorante fu però anche una finestra sul mondo. Da Giannina, in piazza Diocleziano, passavano camionisti, manovali, prostitute. Ma anche poeti, come Salvatore Quasimodo e Pablo Neruda. O intellettuali, come il dottor Luigi Locati, segretario dell’Associazione laureati Bocconi. Sicché, per le strane combinazioni della vita, il ragazzo che gli serviva il pranzo si ritrovò iniettato nel sangue il mito di quell’università. Prese un diploma di ragioneria alle serali. E, un bel giorno del 1958, si ritrovò matricola in via Sarfatti. La sua carriera accademica? Un disastro. Un 18 dopo l’altro. L’esame di diritto commerciale dato sette volte. Nel frattempo, per non farsi mancare niente, all’età di 17 anni e 9 mesi mise incinta una cameriera della trattoria e divenne ragazzo padre. Perse tempo dietro a una ragazza che non gli voleva bene, un giorno, preso dall’ira, non ebbe per lei il riguardo dovuto, e si prese una denuncia penale. Per non parlare di quando finì in commissariato per aver partecipato allo storico blitz dei bocconiani contro la Cattolica.
(Qui si impone una parentesi, perché la storia è fenomenale. Un mattino, la statua di Ferdinando Bocconi, che all’epoca si trovava all’aperto, fu ritrovata coperta di sterco. I bocconiani, vedendo l’augusto fondatore tutto smerdato, optarono per una spedizione punitiva. Nottetempo un commando di futuri economisti andò fino alla Cattolica. Sulla facciata, a caratteri cubitali, scrissero: "La figa agli anziani, il culo ai democristiani. Firmato: Giovanni XXIII". Ah, erano anni d’oro!).
Tornando a noi: il ragazzo sarebbe finito presto in galera se non fosse capitata un’altra delle strane coincidenze della trattoria Da Giannina. Un giorno capitarono a pranzo il giornalista Elio Sparano e don Francesco Beniamino Della Torre, salesiano, responsabile di un centro per ragazzi problematici, sotto osservazione del Tribunale minorile. Il giornalista volle provocare: "Padre, lei che si vanta di saperci fare con i giovani, veda un po’ se riesce a raddrizzare quel mascalzone lì". Il prete notò quel ragazzo corrucciato, triste, che si aggirava nel locale vestito di nero. Lo chiamò al tavolo, disegnò su un tovagliolo un bambino dietro le sbarre e disse: "Vienimi a trovare". Don Della Torre portò Grillo davanti ai suoi ragazzi. "Questo è uno studente della Bocconi. Ora ci terrà un discorso sul tema 'la confessione'". Lui, perplesso. "E io che cazzo ne so?", disse tra sé e sé. Poi le parole gli uscirono in automatico. "Cari ragazzi, non so come dirvelo. Ho i soldi. Ho una ragazza. Ho una macchina. Ma sento che così non posso più andare avanti". Si mise a piangere. E finì che, qualche tempo dopo, a confessarsi ci andò lui – la leggenda narra che don Della Torre lo tenne sotto torchio per quattro ore.
Come in molte grandi storie milanesi, Grillo divenne un convertito. Ma non pensate che questa sia una favola edificante. Primo: perché, come racconta lui stesso, "il passaggio dalla fogna alla luce è traumatico, e i primi a darti calci negli stinchi sono quelli che si definiscono cattolici". Secondo: perché il ragazzo non perse niente del suo modo di fare. Il che dimostra che le conversioni, come le magie, in realtà non esistono. Oppure, a seconda dei punti di vista, che il buon Dio ha un occhio di riguardo per i mascalzoni. Per prima cosa, Grillo andò da suo padre. "Antonio, se non sei uno stronzo, devi fare pace con tuo fratello". Pagò il viaggio di andata e ritorno dal Brasile allo zio Giovanni. Quelli si abbracciarono, scoppiarono in lacrime. "Ma allora vedete che siete due coglioni? Avete passato cinquant’anni a odiarvi…". Poi andò da sua madre. "Giannina, ma cosa continui a rompere i coglioni con questa storia di tuo papà? Chi l’ha detto che un figlio deve essere per forza frutto dell’amore tra due genitori? Se fosse così, al mondo saremmo sì e no diecimila, altro che miliardi". Lei capì, e corse in Duomo a confessarsi anche lei. Quindi pensò a sé stesso. Si mise a studiare. Al mattino presto, per conto dei genitori andava al mercato a procurarsi frutta, verdura, pesce, pollame. Alle 10, sui libri per un’oretta. Poi, di corsa al ristorante, mangiava, batteva a macchina il menù del giorno, serviva ai tavoli fino alle 15. Alle 15.30 ricominciava a studiare, poi di nuovo al Giannina fino alle 23. Il 19 febbraio 1968 era laureato con una tesi dal titolo Il mercato ittico all’ingrosso nella città di Milano. Mollò la ragazza che non gli voleva bene, si mise con una che invece gliene voleva. Il 28 febbraio 1968 era sposato, ebbe altri tre figli. Trovò lavoro: per due anni assistente del professor Luigi Guatri. Poi, a soli 31 anni, come direttore del Pensionato Bocconi. Il luogo cui legherà il resto della vita.
Il suo primo atto da direttore del Pensionato passò alla storia come "la caduta del Muro". All’epoca c’era un muro divisorio che separava le stanze dei ragazzi e quelle delle ragazze. Un’ipocrisia che non stava più in piedi, un po’ perché i tempi stavano cambiando, un po’ perché, con l’abolizione della facoltà di Lingue, i maschi erano molto più delle femmine e si poneva una questione di logistica. Per non parlare del fatto che gli studenti, del divieto, se ne infischiavano. Qualcuno passava una bustarella alle donne delle pulizie, e si infrattava nei loro appartamenti. Qualche baldo giovane si arrampicava sul tetto della mensa per calarsi poi nelle camere delle fanciulle. Claudio Dematté, futuro presidente della Rai e delle Ferrovie dello Stato, anni dopo spiegò che la sua tecnica era questa: smontava i bocchettoni degli idranti, si infilava nel cunicolo e passava dall’altra parte, dove c’era la ragazza ad aspettarlo. Sia come sia, Grillo, come vide il muro, ordinò di abbatterlo. Seguì un’ubriacatura di sesso che rimase negli annali. A chi gridava allo scandalo, obiettò: "Dio ci ha creati maschi e femmine perché voleva che stessimo insieme, mica divisi". E cosa vuoi rispondere, a uno così?
Dalle parti di via Bocconi giravano Capanna, Cafiero, Toscano. I sessantottini lo chiamavano "Grillo parlante" o "Grillo Pirlante", andavano al suo ristorante per gli "espropri proletari". Una volta finì pure assediato in una stanza da centinaia di persone che sventolavano bandiere rosse. Eppure, pur rappresentando "l’autorità da abbattere", riuscì a mantenersi in sintonia con gli studenti, poco più giovani di lui. Andava a riprenderseli in commissariato, qualche volta anche in carcere. E quando quelli fecero l’occupazione e il rettore ordinò di tagliare la luce, l’acqua e il telefono, e prenderli per fame, lui andava a trovarli, e distribuiva vettovaglie. Nell’autunno 1972, quando alcuni militanti del MSI tentarono di assaltare il Pensionato, non ce la fece più e sbottò: "Non potete fare di questo edificio, luogo pubblico, la sede di un movimento politico". Un ragazzo alzò la mano: "Ci vuole impedire di entrare qui con L’Espresso sotto il braccio?". Replica immediata: "Non rompere i coglioni. Tu vivi ad almeno dieci chilometri da qui, se dovesse partire un colpo di pistola, di certo non colpirebbe te". Quel ragazzo si chiamava Roberto Franceschi. Uno che non esitava ad andare a Parigi a manifestare contro la guerra in Vietnam, uno venuto alla Bocconi per ottenere "gli strumenti utili per l’analisi della realtà economica che intendeva combattere". Morì qualche settimana dopo, durante uno scontro con la polizia fuori dall’università, colpito alla nuca da un proiettile che gli trapassò il cranio.
Sono mille le storie che potrebbe raccontare. Emma Bonino. Mario Monti. Corrado Passera. Nando Dalla Chiesa, che arrivò a Milano diciottenne pensando di essere finalmente libero, e invece il padre il primo lo fece portare dalla stazione in un’università con un’auto dei carabinieri, una jeep per i bagagli (i compagni, crudelissimi, lo soprannominarono McNamara, come il segretario alla Difesa americano dell’epoca). E poi, Stefano Fassina, che voleva far abortire la fidanzata (Grillo gli disse: "Sei un comunista di merda. Ti definisci il difensore dei proletari, dei poveri, degli emarginati, degli ultimi e poi proponi di uccidere i bambini nella pancia della mamma invece di fare di tutto affinché questa società accolga tutti", quello ci ripensò). E poi ancora: mille storie anonime, ma importanti. Bambini concepiti nelle stanze del Pensionato. Tentativi di suicidio sventati. Casi di anoressia. Vocazioni religiose. Il ministro che telefona furibondo perché il figlio, nel suo bagno, non ha il bidet. Con tutti – famosi e no – Grillo ha sempre applicato i suoi quattro principi: "Uno studente non si forma soltanto studiando contabilità e statistica, ma deve interessarsi di poesia, di musica, di teatro, di politica, della vita". "Sono stato un ragazzo in difficoltà e i giovani di oggi sono tutti ragazzi in difficoltà". "I requisiti di un cameriere sono buon senso e pragmatismo: basta muoversi e fare le cose". "Un bravo cameriere deve essere un po’ complice e un po’ confessore delle gioie e delle debolezze altrui". Tutti concetti che gli parvero mettersi in fila l’uno con l’altro quando Carlo Baccarini, per anni consigliere delegato dell’ateneo, prima di morire, gli confessò: "Grillo, sappia che lei è stato assunto perché io, ateo, mi fidavo di don Della Torre. E lui una volta mi aveva detto che, se avessi avuto bisogno di un uomo di fiducia e innamorato della Bocconi, dovevo chiedere a Salvatore Grillo".
Oggi i capelli di Salvatore sono diventati grigi. Se gli studenti organizzano un evento, sui manifesti scrivono "parteciperà il dottor Grillo", per incentivare la partecipazione. Lui scuote la testa: "Ma cazzo, una volta se andavo alle assemblee mi sputavano addosso, e adesso voi mi battete le mani? Robb de matt". Alla Bocconi, gli studenti non sono più poche centinaia, ma almeno 13 mila, molti arrivati dall’estero. Le residenze universitarie sono cinque o sei. Manca la vita comunitaria. Manca il tempo libero. Non si pensa più a cambiare il mondo, ma a far carriera - anche se forse, a pensarci bene, dipende dal fatto che il mercato del lavoro si è fatto più spietato e non è più pronto ad accogliere a braccia aperte il primo bocconiano che passa. È cambiato il rapporto tra ragazzi e ragazze, i maschi oggi sono vittima di una sorta di impotenza psicologica - anche se forse, a pensarci bene, sono sempre state le donne a gestire quelle faccende. Il dottor Grillo spesso è tentato di cedere alla nostalgia. Poi però nota la studentessa cieca, arrivata con una borsa di studio. Vede che tutti le danno una mano. E pensa: ma no, la natura umana è sempre uguale. Lydia Franceschi, madre del ragazzo al quale inconsapevolmente augurò la morte, se ne è andata un paio d’anni fa. Nando Dalla Chiesa lo ha aiutato a mettere assieme le sue memorie, sostituendo, in parecchi passaggi la parola "cazzata" con "sciocchezza". Mario Monti che, a una seconda lettura del manoscritto, senza perdere il suo aplomb, commentò: "Grillo, ma lo sa che in questo passaggio ci stava molto meglio la parola cazzata?".
Insomma, ora che la sua storia la conoscete, potrete capire con quanta cautela – ormai una settimana fa – varcammo la porta del suo ufficio, nell’edificio che i bocconiani chiamano "I Leoni", al numero 25 di via Sarfatti. "Diamoci del tu" cominciò lui. "Mi infastidisce sentirmi dare del lei". Va bene. "In che anno ti sei laureato?". Nel 2019. "Sei un bambino!". Finalmente, dopo altro po’ di chiacchiere, prese una borsa di cuoio e tirò fuori il Minestrone di un vecchio cameriere. "Devi sapere che io sono credente e osservante" disse, facendosi molto serio. "La mia vita fu capovolta da un prete che si chiamava don Francesco Beniamino Della Torre. È stato lui a dirmi di mettere assieme questi ricordi. Mi ha mandato delle PEC dal Paradiso". E ci mise in mano il libro. Ecco le lettere. Ecco l’autografo di Neruda. Ecco la dedica di Monti, il menù battuto a macchina, il famoso cartellone con la famosissima frase sul senso della vita. Mentre sfogliavamo quelle pagine, Salvatore Grillo continuò a parlare a lungo. Ci rivelò cose che non si possono scrivere. Ci fece anche intendere il vero motivo per cui non vuole rilasciare interviste. Fu solo al momento di andarsene, quando ormai ci eravamo alzati e stavamo avviandoci verso la porta, che la buttammo lì: "Dottor Grillo… per l’intervista, fa niente. Ma… che ne diresti… di una recensione?". Noi ci vergognammo un po’ per la faccia tosta. Lui rimase un attimo in silenzio. E ancora non abbiamo capito se, subito dopo, pronunciò le parole che pronunciò perché in fondo - sotto quella scorza burbera – nasconde un cuore generoso, o solo per levarsi dai piedi questo giornalista rompiscatole. Fatto sta che, dopo averci pensato qualche secondo, ci strinse la mano. E disse: "Senti, fai un po’ il cazzo che vuoi".
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