saverio ma giusto
Non vorrei mai essere parente del ministro Piantedosi
Un ministro schierato contro l'istinto di sopravvivenza: chiamare i pompieri se la casa va a fuoco, o il bagnino se ti viene un crampo al mare? No, andrebbe contro l'etica e la responsabilità: "Pensa piuttosto a cosa puoi fare tu per i vigili del fuoco"
Non vorrei essere figlio del ministro dell’Interno Piantedosi. Se lo fossi e fossi grande abbastanza andrei subito via di casa; e il mio babbo ministro non lo andrei mai a trovare, nemmeno in vacanza, nemmeno per un fine settimana. Supponiamo infatti che un cortocircuito al quadro elettrico alimenti un improvviso incendio in casa, o un violento nubifragio si abbatta sulla nostra abitazione in maniera pericolosa, o una scossa di terremoto metta a rischio la tenuta dello stabile: papà Piantedosi non mi consentirebbe mai di salire in macchina e fuggire da una morte certa, perché come sappiamo i dati sulla sicurezza stradale in Italia ci dicono che gli incidenti mortali sono in aumento, le strade non sono sicure, e specie se dopo cena, con la stanchezza e l’alcool in circolo e la visibilità ridotta, sarebbe poco raccomandabile mettermi alla guida. E tutto questo andrebbe contro la dottrina Piantedosi: “La disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli”.
Quindi, se fossi il figlio del ministro e la nostra casa tremasse, o fosse avvolta dalle fiamme, o una tromba d’aria stesse per scoperchiarne il tetto sopra alla nostra testa, mentre tenterei la fuga mio padre mi si parerebbe innanzi sulla porta d’ingresso, e ostruendone il passaggio con il proprio corpo griderebbe: “No! Non devi partire! E’ pericoloso! Hai bevuto vino a cena, e quando si è in queste condizioni non si deve partire! Non è etico!”. Neanche a dire che io possa mettermi a gridare o chiamare aiuto: mio padre alias il ministro Piantedosi mi sgriderebbe subito per il disturbo della quiete pubblica e per il mio egoismo: “Sono stato educato anche alla responsabilità di non chiedermi sempre cosa devo aspettarmi io da un luogo, ma cosa posso dare io per il riscatto dello stesso”. Proverei a ribattere: “Papà, ma cosa c’entra, hai l’arteriosclerosi? La casa sta bruciando!”, ma solo per sentirmi rispondere: “Pensa piuttosto a cosa puoi fare tu per i vigili del fuoco”.
Fortunatamente, non sono figlio del ministro; ma ho letto che ne ha due. A loro va tutta la mia solidarietà. Non so se siano ancora bambine o già grandi abbastanza da emanciparsi da un uomo così, privo di umanità e con una morale alquanto bislacca; di certo se queste povere figlie vanno al mare col padre e improvvisamente gli prende un crampo in acqua o un’onda anomala le travolge, quello non chiama nemmeno il bagnino per senso di responsabilità, del decoro, dell’etica (sic). Ne abbiamo viste di ogni; ma è la prima volta che un ministro della Repubblica si schiera apertamente contro l’istinto di sopravvivenza: istituzioni contro natura umana, c’è dell’epico, del mitologico. Per non parlare di quel “non si deve partire!” ribadito con tono fermo più volte, e che il ministro si è raccomandato sia un messaggio che venga trasmesso nel mondo: decontestualizzato (ma nemmeno troppo) passa da messaggio disumano a danno per il turismo. Rischiamo un’alleanza rivoltosa fra Ong e Federalberghi. Le parole di compensazione del ministro nel day after, “volevo dire che verremo noi a prendervi”, sono l’arrampicata sugli specchi più goffa e maldestra mai vista al mondo. Vorremmo che il ministro, per coerenza etica, applicasse lui per primo la sua dottrina; e la mattina non partisse, restasse a casa. Visto che è educato alla responsabilità, che non si chiede cosa aspettarsi dall’Italia ma come lui possa contribuire al riscatto del nostro paese: ecco, stia a casa che è meglio. Non si muova. La veniamo a prendere noi.
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