illuminare la tragedia

Ricami d'oro per vestire il coraggio. Intervista al sarto dei toreri

Viaggio nell'atelier di Antonio Lopes Fuentes, che dal 1963 cuce, per dodici ore al giorno, i vestiti di luce, abiti di seta per i più grandi matador di Spagna

Caterina Di Terlizzi

Per vestirsi da torero servono: un cappello piatto nero a due punte laterali, chiamato montera, una camicia bianca con il colletto duro e petto ricamato, un giubbetto corto con larghe spalline e maniche a ricami d’oro. Inoltre un panciotto trapuntato, anch’esso in oro, una cravatta, pantaloni stretti fino al ginocchio a bande ricamate, scarpette nere e calze rosa. Sotto però bisogna avere il fisico d’acciaio e per quello non ci sono stoffe, solo sacrifici e fatica.

 

Al primo piano di Calle Aduana 27 a Madrid, Antonio Lopes Fuentes, il sarto dei toreri, cuce dal 1963 per dodici ore al giorno i vestiti di luce, abiti di seta ricamati d’oro e d’argento, per l’élite taurina. La stagione delle corride, iniziata a marzo, si concluderà a ottobre e l’80 per cento della produzione del negozio deve essere pronta. Gli spettacoli nelle arene sono tanti e molti i matador, banderilleros e picadores da abbigliare. 

 

L’atelier avvolto dalla calda boiserie non si affaccia sulla strada, quasi non volesse mostrarsi a chi di tauromachia non s’intende. “Qui si tramandano dinastie torere, non esiste il rapporto normale tra cliente e venditore”, ci dice Don Antonio, al comando della sartoria Fermin.

 

 

Le luci morbide del negozio non tradiscono le tonalità di sete e broccati dei traje de luz, appena avvolti da una nuvola bianca di carta velina e riposti sulle mensole, pronti per essere ritirati. Mai degli abiti sono stati tanto preziosi e significativi da vestire perfino il coraggio. Il leggendario giornalista del Corriere della Sera Max David, nel libro Volapiè dell’anno 1955, descriveva questi abiti come “Il più bel costume che mai abbia ricoperto le membra umane”.

 

Poco prima di aprire l’atelier, dietro al grande tavolo da lavoro e con il metro al collo, Lopes Fuentes rivela canoni e trucchi per creare il vestito di luce perfetto “Bisogna esaltare i pregi del torero e nasconderne i difetti” racconta Antonio, mentre allinea e tira con precisione millimetrica la seta. Il sarto, con effetti ottici risolti nel disegno, trasforma il fisico di chi li indossa, “Se hanno le gambe storte, corte, il busto lungo o ci sono delle proporzioni da aggiustare creerò ricami di garofani, rose, foglie e uccelli per far risaltare al massimo la sua figura”. La natura rappresentata nei vestiti è il tema costante, spiega.

     

   

Antonio, esalta la fisicità del torero, lo assiste, ma raramente consiglia il colore. "Quello non lo decide il sarto, ci pensa meditando il torero. Nel mondo della tauromachia la suerte (il destino) è tutto e se dovessi consigliare una tonalità a un matador che subisce un contrattempo… Be' non vorrei mai essere additato a causa della sua sfortuna”.

 

Certo Antonio ha delle preferenze. “Ci sono abiti creati apposta per intonarsi con l’atmosfera dell’arena. Il più bello? Per me il rosso, che con l’oro sta benissimo ed è un colore da combattimento, da gladiatore. Quelli che preferisco meno? Gli azzurri, molto eleganti, ma senza forza. L’oro risalta sul blu marino o il verde scuro, con i ricami di luce è magnifico”. Lopes Fuentes allunga un braccio e dallo scaffale prende una pezza di seta color muschio e la srotola sul tavolo. 

    

Suona il campanello, entrano dei clienti e attendono seduti su comode poltrone di pelle, gli uomini delle quadrille, le squadre dei matador. Sono venuti a ritirare i vestiti per combattere nel pomeriggio, alle 5 della sera, come scriveva il poeta Garcia Lorca. Arriva anche un banderillero, ha tra le braccia i pantaloni del traje de luz arancioni da ricucire dopo i colpi subiti da corna affilate come bisturi, “Dio mi ha dato solo due mani, ci metterò un po’ di tempo a sistemarlo”. I due si salutano e avanti il prossimo cliente. 

   

 

Arriva con passo svelto, è un matador, si dirige in fondo al corridoio dove c’è il camerino di prova, la stanza più intima dell’atelier. Il grande specchio raddoppia la bellezza decò di sedie e lampadario, l’atmosfera è ovattata se non fosse per la moquette rosso sangue che gli ricorda che lì non si scherza.

 

Capita che i toreri si divertano durante la prova del traje de luz e da lontano si senta ridere. Si guardano da narcisi ardimentosi, la suerte aleggia, tanto vale star leggeri, alla fine decide solo lei.

  

Dietro una porticina, ecco il laboratorio. Le mani di tante ricamatrici in camice bianco, disegnano con l’ago. È il cuore dell’atelier, dove il vestito si illumina. Il ricamo ha qualche cosa a che fare con la devozione. “Scuole di sartoria taurina non ne esistono quasi più, ci ha insegnato tutto Antonio”, dice una di loro inserendo le passamanerie che arricchiscono l’abito, rendendolo massiccio. 

 

   

Il torero, con addosso il traje de luz, pesa sulla bilancia quasi venti chili in più, perdendo agilità senza beneficiare di protezione e lo stesso Lopes Fuentes confessa che “muoversi con il vestito è difficile, ma quando c’è un toro di seicento chili che inizia la carica verso il matador… l’ultima cosa a cui si pensa è se sia comodo”, paradosso per l’arte acrobatica della tauromachia. L’assurda bellezza va in scena e migliaia sono i riti che accompagnano la vestizione fra i commenti della sala d’attesa: “Il mio matador, prima di una corrida, prova sempre il vestito davanti a sei persone”. “Questo non puoi guardarlo, il torero non vuole”, dice un ragazzo rimettendo nel sacchetto la giacca rosa salmone dai ricami d’oro. 

      

Avere un traje de luz della casa Fermin è un sogno che non sempre si avvera, soprattutto per i giovani poco conosciuti che, non potendoseli permettere, li affittano in negozi di paese per il pomeriggio in cui devono combattere, e guai a romperli, dovrebbero ripagarlo. C’è chi invece ha la fortuna di suonare il campanello di calle Aduana 27 a Madrid e Antonio, da dietro gli occhiali, scruterà e indovinerà i desideri dei suoi clienti. 

   

“Non si fa in tempo a finire un vestito di luce e devo cominciarne un altro”, lamenta. Dal 1963 sono state tante le stagioni di corride che hanno portato in trionfo i suoi costumi e la fretta non sembra disturbarlo perché fra lui e il cliente c’è sempre di mezzo la suerte. Lei entra in atelier senza bussare, è dappertutto, è un’ombra che si nasconde fra le sete dai colori più squillanti, l’hanno vista tante volte in Arena diventare un fatale colpo di vento. “Il peggior nemico di un matador”, dice Lopes Fuentes, “perché sposta la muleta, il drappo rosso di flanella che è l’arma e lo scudo del torero”.

    

A volte la suerte è seduta fra il pubblico, sulle gradinate delle antiche arene romane incantata anche lei dalla luce divina di quel raggio di sole che tocca il ricamo d’oro di Antonio e la fa diventare buona sorte. 

Di più su questi argomenti: