Il commento
Niente scioperi, manifestazioni, striscioni. L'Italia che non si mobilita
Siamo maestri del fluido, impegnati a relativizzare la norma. Non abbiamo il nostro Bibi, né il nostro Macron. Solo una ducia liberale impegnata nell'agenda Draghi
L’intellettuale impegnato in Italia si è messo in lutto, lutto stretto. Non si vedono mobilitazioni adeguate, scrivono e dicono. Niente scioperi, manifestazioni di studenti e operai, striscioni, bandiere, blocchi stradali ben fatti, mortai capaci di lanciare petardi, lacrimogeni, qualche attacco alle banche e ai McDonald’s, assalti ai bacini idrici per svuotarli ecocompatibilmente, ci accontentiamo della siccità che c’è; non si vedono fuochi urbani, gilet di varie fogge, teste di corteo in possente avanzata, appelli alla decapitazione del re, si vedono rifiuti ingombranti ma non per effetto di interruzione del servizio, è il servizio stesso che da anni li produce o li tollera in abbondante quantità. Ce lo chiede l’Europa, e perfino Israele, ma noi no, non siamo abbastanza europeisti per sfilare gridare o modulare il canto del domani: e noi faremo come la Francia / e suoneremo il campanel.
Quando da noi minacciava di arrivare la tirannia, altro che Bibi le leggi ad personam del temerario Cav., almeno facevamo il girotondo, che era un modo aggraziato, scolastico, infantile, delicato, di spiegare quella storia della rivoluzione che non è un pranzo di gala, al massimo un picnic.
Poi è arrivata l’èra dei governi tecnici, della pensione a 67 anni, della gara liberista e neoliberista in cui eccelleva la sinistra del tradimento, e manco più quelli. Di qui la lagna, il piagnisteo: possibile che da noi la molotov sia solo un ricordo sostituito dal talk-show, che è combattivo sì, indignatissimo, foriero delle migliori e peggiori leggende metropolitane, ma pur sempre immagine, è tutto un cinema delle opinioni e maschere, vuoi mettere la carne fresca per il socialismo radunata in piazza e inerpicata su per la scala che dalla Comune di Parigi in poi porta direttamente in cielo?
In realtà delle motivazioni per lo stallo italiano della mobilitazione ci sarebbero. Non abbiamo un re, neanche un re repubblicano, da decapitare. Nella casa dei papi, al Quirinale, abita un rassembleur, un consolatore degli afflitti, un mediatore con il suo apparato esternatorio, un garante. Le libertà e i diritti li prendiamo sul serio, sicché abbiamo inventato la mobilitazione per altri, la mobilisation pour autrui. Socialmente, siamo affetti da bassa produttività, da salari spesso inconsistenti, da prestazioni pubbliche relative, da un fisco generoso con chi lo intende di nuovo per altri, da profitti basati sull’esportazione dei talenti e da sussidi non sempre e non tutti giustificati.
Siamo impegnati a relativizzare la norma, nostra signora Norma balneare, con le deroghe, e gratuitamente alcuni di noi si rifanno la casa, altri l’impianto doccia, la caldaia, le zanzariere, il credito più che riscosso viene ceduto e il debito è così grande che non lo vediamo nemmeno. Siamo maestri del fluido, non conosciamo le rigidità europee, gli impegni gravosi, e sorridiamo quando nel paradiso del welfare e della joie de vivre ci si innalza come barricate per due anni appena di incremento dell’età legale per la pensione. Al premio Strega ora danno da bere anche ai poeti, e la platea dei candidati è sterminata.
Il Festival di Sanremo, con i suoi gravi episodi di distruzione di rose e tulipani, esprime un massimo di agitazione e controversia dalle quali ci vogliono due o tre stagioni per riprendersi, fino alla successiva edizione. Se apri una serranda, con il risucchio riempi subito il locale di enragées, di cinefili, di appassionati universali, di partecipatori inconcussi; se organizzi un parco giochi per parlare di libri, della Costituzione che si porta con tutto, della democrazia, della mente, dell’economia, del made in Italy che anche quello si porta con tutto, folle festose accorrono per la famosa impollinazione culturale celebrata da Franzen in un suo romanzo. Mobilitazione? La nostra specialità è la movida. I cortei duri sono riservati ai No vax e agli anarcoinsurrezionalisti, cose che fanno secolo scorso, niente a che vedere con il Settecento e l’89.
Una delle spiegazioni è poi la dialettica di tragedia e farsa nella costruzione e nel cursus honorum delle classi dirigenti. Il trumpianesimo è una brutta malattia, con tratti endemici, da noi è durato 48 ore ed è finito con l’estate in uno stabilimento balenare sull’Adriatico. Le nostre sovranità sono al massimo alimentari, l’insurrezione è contro i grilli e altri insetti nella farina e nella pizza, non hanno niente a che vedere, i governanti venuti da lontano, con il tocco suprematista e razzista e xenomofobo di Potere ebraico, della Guardia nazionale di Ben-Gvir o delle formazioni ultraortodosse di Smotrich. Alle origini della nostra Repubblica stanno i consorzi eroici e nazionalpopolari di democristiani socialisti liberali repubblicani e comunisti, non gli scontri tra Haganah e Irgun, non le diatribe ossessive e smaglianti tra Ben Gurion e Zabotinskij.
Lo so, sarebbe bello non avere una Ducia liberale impegnata nell’Agenda Draghi e circonvicini, magari una tipa tosta che decida di sbattezzare la repubblica delle procure con un provvedimento diverso dal centone di interviste del grande garantista Nordio, così lontano da Levin il Guardasigilli di Bibi Netanyahu, sarebbe bello avere qualcuno contro cui mobilitarsi e battersi all’arma bianca. Ma che ci volete fare? Si può sempre sperare che le cose peggiorino, c’è tempo, intanto possiamo celebrare gli ultimi giorni dell’umanità, il cambiamento climatico e la fine della democrazia, con l’esercizio connaturale a noi tutti dello stare fermi.
generazione ansiosa