Vanità e oblio
Decalogo dei nuovi tabù. Come cambia il nostro immaginario collettivo
Dal sesso ai lassativi, dall’ateismo alle pellicce, fino a Steve McQueen e la solitudine. Una raccolta sprezzante dei dieci grandi rimossi della nostra gloriosa età
Recitare. Durante il regno della prima Regina Elisabetta, ai tempi del Globe Theatre, il problematico drammaturgo William Shakespeare organizzava comizi transfobici di grande successo come Sogno di una notte di mezza estate e metteva in scena l’opera di “propaganda nera” più nociva nella storia dell’imperialismo eurocentrico: Romeo e Giulietta, un concentrato di violento proselitismo per coppie etero, altamente ingannevole e fondato su una traumatica serie di ricatti emotivi. Oggigiorno, per fortuna, le perle di hate speech declamate da Romeo e Giulietta sono rintracciabili solo spingendosi al di là degli Urali, tra le più controverse propaggini ortodosse del cristianesimo. O nella tv del pomeriggio.
Cazzo e figa. Sono l’eterno grande rimosso dell’immaginario collettivo: quasi mai mostrati, ma sempre suggeriti. O almeno così è stato fino a quando sono arrivati i sacerdoti della post-liberazione sessuale. Le persone che predicano la sex positivity e beatificano il nudo come forma di empowerment sono riuscite a realizzare il sogno proibito dei bacchettoni di ogni epoca: hanno disinnescato il sesso. Lo hanno ridotto a una caratteristica identitaria, un trip esclusivamente linguistico, cancellando il corpo. Storicamente la comunità queer ha sempre voluto allontanarsi dal modello di famiglia imposto dalla società: quello in cui si è costretti a riprodursi solo nell’ambito di una precisa unità economica monogama (maschio+femmina), attenendosi a regole di convivenza talmente rigide che metterebbero ansia anche a un dominionista della Carinzia. Le persone queer della mia generazione volevano organizzare concerti acid rock in una comune poliamorosa sull’isola di Oahu, quelle di oggi sognano di essere un parlamentare scandinavo a Strasburgo e, nel frattempo, hanno imparato come far fare yoga al proprio bambino mentre ancora nuota placido, sicuro nell’utero di papà.
Oggi l’intestino non è più lo sgraziato epilogo della digestione, ma una colonia di intelligenze multiculturali
Lassativi. Il più intelligente tra i vostri amici è quello che da mesi vi ripete: “L’intestino è il nostro secondo cervello”. Se gli avete dato retta almeno una volta, dovreste aver imparato che il microbiota umano (quello che tra i profani è noto come flora intestinale) contiene uno sconfinato patrimonio di informazioni genetiche, cento volte più vasto del genoma della persona che lo ospita. L’intestino non va preso in giro, non deve essere associato a stronzi e scoregge. Non è più lo sgraziato epilogo della digestione, ma una colonia di avanzatissime intelligenze multiculturali, un’utopia a metà tra ayurveda e Star Trek. In quest’ottica, dire a una persona di prendere un lassativo è come incoraggiare l’opinione pubblica a versare napalm sulla cerimonia di consegna dei premi Nobel: una pratica disumana, un genocidio colonico. E se l’intestino è un secondo cervello, la purga non è altro che una forma di lobotomia. La sorella di Tennessee Williams e quella di John Fitzgerald Kennedy sono tra le ultime celebri lobotomizzate del Novecento. Entrambe si chiamavano Rose, come il fiore che siamo abituati a recidere e associamo all’amore.
Ateismo e pellicce. La filosofia continentale sostiene che in Europa anche l’ateo è cristiano. È un dato di fatto, perché i cristiani si sono presi la briga di spazzare via l’unica radice di pensiero alternativo al proprio, cioè quello dell’antica Grecia, in cui l’uomo non associava la natura a se stesso, ma la vedeva come un altro da sé. Erano la civiltà più avanzata del nostro pianeta, ma i cristiani li hanno cancellati perché li ritenevano poco spirituali, troppo antropocentrici e quindi specisti. San Tommaso d’Aquino, il filosofo che – riciclando Platone e Aristotele – si è inventato l’anima, in origine aveva negato il privilegio dello spirito agli animali, ma negli anni la chiesa cattolica – con gran disappunto di san Pietro – ha spalancato i Cancelli del Cielo a cani, gatti, pesci rossi e pappagalli. Questo vuol dire che scuoiare un visone è una pratica inaccettabile: non tanto perché le pellicce sono immorali, ma perché anche il visone ha un’anima.
Scuoiare un visone è inaccettabile: non perché le pellicce sono immorali, ma perché il visone ha un’anima
Steve McQueen. Ci sono due uomini che l’imperialismo ha dovuto annientare senza pietà per imporre i propri valori. Il primo è stato eliminato in modo tutto sommato onesto e senza troppe false narrative: Saddam Hussein. Il secondo, invece, è stato inizialmente accettato e celebrato per poi essere cancellato, decennio dopo decennio, annientando attentamente ogni tratto della sua personalità: Steve McQueen. Grazie a un’imponente opera di revisionismo storico, i suoi film sono stati rimossi dalla memoria del pianeta e McQueen, campione mondiale di autodistruzione, è stato ribrandizzato come testimonial di orologi e abiti sportivi. Nel 1968, mentre i cinema del Sunset Strip proiettavano Bullitt, Steve McQueen era impegnato a bere, scopare e assumere quantitativi olimpionici di cocaina, una dieta quotidiana arricchita da una media di due pacchetti di sigarette al giorno. Oggi, nell’Anno del Signore 2023, se cerchi di scaricare un film di Steve McQueen su Stremio, il tuo ip viene immediatamente segnalato alla Commissione europea, che ti farà prelevare da una camionetta nera: un modello di van molto vintage, prodotto esclusivamente in Argentina.
Livelli di lettura multipli. Todd Solondz, un ebreo americano radicalmente di sinistra, è autore di splendidi film che oggi rischiano di essere fraintesi come capisaldi del suprematismo bianco. Da quando i supereroi hanno spazzato via dal grande schermo ogni possibilità di sottigliezza, negandoci il lusso di una doppia e tripla lettura, l’arte del cinema è tornata a essere una prerogativa di chi si può permettere di dire qualcosa e non di chi ha qualcosa da dire.
Vivere da soli. La solitudine è vista con estremo sospetto. Se hai già commesso il reato di non avere figli, non potrai permetterti anche il lusso di non avere un animale domestico. Che la produca un neonato o il tuo lagotto romagnolo, ciascuno di noi ha il dovere di maneggiare una quota fissa di merda.
Chi propone di risolvere un problema nel 2023 è accolto con lo stesso entusiasmo riservato a chi propone un infanticidio
Non vantarsi. C’è un solo nome che mette d’accordo filosofi analitici e filosofi continentali: Immanuel Kant, e in particolar modo per la sua etica, che non sopportava la gente incline a sfoggiare i propri valori e tutti quelli che ci tenevano a dimostrare di essere brave persone. Nella Königsberg di fine Settecento, il virtue signalling doveva essere un fenomeno molto marginale, ma Kant se ne accorse, perché lui era come quel tuo amico che si fissa sulle piccole cose della vita. Molto probabilmente, se non avesse avuto la cattedra di Metafisica e Logica ma solo un palco e un microfono, Kant si sarebbe lamentato del virtue signalling nello scantinato di una birreria, davanti a un pubblico indifferente, come un incompreso Seinfeld prussiano. Al giorno d’oggi, il fenomeno si è esteso a macchia d’olio e permea la società. Se mai dovesse passare da Milano, arrivato a Porta Venezia il padre dell’etica europea si trasformerebbe nel generale Schwarzkopf.
Risolvere un problema. Un maschio alfa che propone di risolvere un problema nel 2023 è accolto più o meno con lo stesso entusiasmo che si riserva a chi propone un infanticidio. Essendo una controversa manifestazione delle gioie del patriarcato, il maschio aggiustatutto può esercitare la sua funzione solo in assenza, ovvero restando fuori dall’inquadratura. Come in quegli austeri video tutorial in cui, con inquadrature strettissime su mani e attrezzi, un uomo a caso ripara una sedia o sabbia un parafango, senza mai mostrarsi in volto. Davanti a un problema da risolvere, il maschio deve esercitare un livello di discrezione vicino all’invisibilità. Questo perché, soprattutto in presenza di un etero dominante, anche il problema più semplice smette di essere una condizione temporanea e diventa una qualità inerente all’oggetto/persona/situazione di turno. Per esempio, in tempi lontani trasportare merci da una sponda all’altra di un fiume era considerato un problema concreto, affrontabile con una soluzione altrettanto concreta: un ponte. Oggigiorno, poiché la difficoltà non va superata ma celebrata, un rimedio è visto come un’aggressione, e quindi il ponte diventa problematico, perché limiterebbe i guadagni delle tribù autoctone che detengono il monopolio mafioso del traghettamento merci.
In tv l’ora di puntare su qualcosa di nuovo è sempre lontana, perché non è mai il momento giusto per rischiare
Tempo. David Sylvester è stato un influente critico inglese che ha giocato un ruolo determinante nell’ascesa di artisti come Francis Bacon e Lucian Freud, e che ha canonizzato anche figure laterali rispetto al mondo dell’arte come Ken Adam, pluripremiato scenografo di tanti 007 e Barry Lyndon. In un’intervista del 1967, Sylvester sottolineava che lo scrutinio mediatico a cui gli artisti contemporanei erano sottoposti non permetteva loro di sbagliare, di attraversare fasi in cui producevano pessima roba, e quindi di sperimentare e inventarsi qualcosa di buono. E questo era un male, “perché gli artisti devono poter avere dei brutti periodi. Devono poter fare brutte opere, incasinarsi e fare della fiacca sperimentazione. Devono poter avere periodi in cui si ripetono in maniera sterile e insensata, prima di riprendersi e andare avanti”, diceva Sylvester. “Il genere di attenzione a cui oggi sono sottoposti, quell’atmosfera di eccitazione che circonda la creazione di un’opera d’arte, il fatto che tutto avvenga sotto gli occhi del pubblico… è decisamente troppo. Sono solo pressioni anti creative.” Queste stesse cose le possiamo dire di un qualsiasi martire dell’intrattenimento televisivo che provi a mandare in onda due minuti un po’ controintuitivi. Una missione impossibile. L’ora di puntare su qualcosa di nuovo è sempre lontana all’orizzonte, perché non è mai il momento giusto per rischiare. E così facendo la tv è riuscita a compiere il suo capolavoro: ha cancellato il tempo.