L'auto, ultima libertà
L'Italia è deragliata molto prima dei suoi treni. Meglio la gomma, individualista e senza divieti
Anch'io viaggiavo molto in treno. Poi ho scoperto che l'ultimo residuo di libertà è di chi sposta in auto. Niente stazioni grigie, niente raccolta differenziata e tutta la musica che voglio (senza cuffiette)
L’Italia è deragliata. Mica da ora. Anch’io viaggiavo molto in treno: in un’altra vita, in un’altra Italia. Era l’Italia monoetnica, qualcuno se la ricorderà (Lollobrigida senz’altro), l’Italia dei rapidi e delle littorine, delle carrozze fumatori e dei vagoni letto, delle stazioni con i gerani alle finestre, con le grandi biglietterie piene di bigliettai, con le sale d’aspetto monumentali e le panche di legno scuro come in chiesa, e le edicole coi giornali fragranti di carta e piombo, e le fontanelle sulle banchine. Prima seccarono i gerani, poi cominciarono gli sbarchi, i bivacchi nei piazzali, gli accattonaggi sui regionali, via via scomparvero le sale d’aspetto, le fontanelle, i giornali, e oggi uso il treno solo per andare in centro a Roma.
Solo perché il traffico di Roma mi angoscia e in centro a Roma non sono capace di parcheggiare. Ogni volta me ne pento, anche in assenza di deragliamenti (comunque rari: sono un uomo d’onore e devo ammetterlo, ricordo più ritardi nell’Italia monoetnica che nella Babele odierna). A Parma hanno abolito le panchine, tocca leggere in piedi, appoggiati al palo, a Bologna hanno abolito l’orientamento, salire dall’alta velocità ai vecchi binari è un’odissea, da tanto i due livelli sono collegati male. E ovunque passeggeri mascherati, covidisti ostinati, e spesso sono giovani e mi prende la rabbia e mi assale lo sconforto: povera patria!
L’Italia è deragliata ma adesso viaggio molto su gomma, in macchina: da Nord a Sud, dal Piave al Po, dal Tirreno all’Adriatico. Sono il duca nel mio dominio, parafrasando Capote che magnificava Brando. Esagero? Per nulla: viaggio sulle ali dei miei sogni. Di grandezza e bellezza. Ascoltando molta musica, e senza auricolari infilati (scaletta di questi giorni: “’O DJ” di Liberato, l’ultimo Iggy Pop, “Life on Mars?” nella nuova versione di Brad Mehldau, “No reason” dei Chemical Brothers, “BC” di Alfa Mist, “Isadora” di Thurston Moore. Niente Suki Waterhouse perché è troppo bella, viene voglia di guardare il video e non si può).
L’Autosole è meravigliosa, l’Adriatica fino a Porto Sant’Elpidio idem. Le sei corsie mi esaltano e pure le quattro fra Termoli e Taranto, deserte, e fra Canosa e Nola, Palmanova e Udine, Piovene Rocchette e Rovigo… La ristorazione urbana è decaduta mentre in autostrada i cappuccini continuano a essere buoni e a volte buonissimi (no, niente pasti né panini, non esageriamo, resto pur sempre un buongustaio). La raccolta differenziata è stata imposta con la forza ovunque, la libertà è dopo il casello, in quelle oasi antiambientali che sono le aree di servizio dove buttare senza cernita nei cestini, come fossero ancora gli spensierati anni Novanta. “L’intera impresa della modernità può essere letta come un progetto volto a negare alla virilità ogni ruolo nella nostra società” ha scritto il filosofo Harvey Mansfield. La raccolta differenziata è infatti una castrazione collettiva: come fai a sentirti maschio se separi l’umido? In autostrada puoi ancora pensarti virile, detieni ancora il volante del comando. Col benessere psicologico che ne consegue.
Lo ha spiegato il filosofo Flavio Cuniberto: “L’attenzione che si concentra sulla guida dà piacere, il piacere di una potenza formidabile asservita ai gesti di una mano. Questa sensazione di potenza lucida, controllata, assomiglia a una presa di coca”. Leggo e già mi eccito. E’ per questo che il Leviatano odia il trasporto privato! Gli autovelox, il boicottaggio di benzina e diesel, le ztl dove si annidano gli elettori statalisti e genderisti hanno una funzione depressiva… L’Italia è deragliata ma io no, io sto accelerando.
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