oltre i dati
Il futuro inghiottito da una futurologia invasiva e presuntuosa
L’Onu ha sbagliato le previsioni demografiche africane. Da quando economia, sociologia e statistica hanno cominciato a toglierci il dubbio su come saremo, siamo rinchiusi nella prigione del pessimismo cifrato e certificato
Peggio della scomparsa delle lucciole, certificazione pasoliniana e poetica di un fatto che non sussiste, è la scomparsa dell’alea, del rischio, dell’incertezza implicita nella sorte. Federico Rampini racconta che l’Onu si è sbagliata di centinaia di milioni nelle sue previsioni demografiche africane, in particolare il famoso irrefrenabile e minaccioso boom delle nascite in Nigeria. Nel 2060 i nigeriani saranno molti, ma molti di meno di quanto incautamente pronosticato, e la cosa riguarda nel complesso l’Africa intera. Con le cifre previsionali balla il futuro dei continenti, delle migrazioni forzate, dell’assetto di società emergenti decisive anche per la nostra, appunto, sorte. Con la scolarizzazione delle ragazze, con l’urbanizzazione delle megalopoli, vengono a mancare i presupposti di uno dei pilastri dell’apocalissi negromantica in voga. Non è uno statistico bastian contrario, è l’Onu stessa a sanzionare con nuove proiezioni, che rovesciano quelle vecchie e le cancellano, il suo clamoroso errore.
Se la demografia è al fondo incerta, figuriamoci la climatologia. Quanto si riscalderà l’atmosfera in media, e quando, quando e quanto si innalzerà il livello dei mari e degli oceani eccetera. I modelli predittivi più sofisticati sono diventati, da aggeggi utili entro il limite del razionale, strumenti avvilenti di una scienza triste e prepotente, che invade la comunicazione, fa ideologia, ci toglie forza soggettiva, senso della storia, capacità banalmente umanistica di padroneggiare per quanto si possa il presente in nome della reverenza verso il presunto dominio scientifico sul futuro. Da quando economia, sociologia statistica futurologia e algoritmi vari forsennatamente hanno cominciato a toglierci l’alea, il rischio, il dubbio su come saremo, che è sempre la premessa per essere concretamente e riformisticamente migliori di come siamo, siamo rinchiusi nella prigione mentale del pessimismo cifrato e certificato, tutt’altra cosa dal pessimismo cosmico dei grandi poeti come Leopardi e Hölderlin. Non mi sembra un progresso, né etico né storico, questo trionfo delle pseudoscienze.
L’Onu non sa bene cosa fare, come si vede quando il rischio di una guerra o di una concatenazione di guerre, riarmi, schieramenti, ma anche pandemie, diventa improvvisamente realtà. L’ozio è il padre dei vizi, e l’Onu di tempo per oziare senza vero potere di mediazione, di intervento, di ricognizione, ne ha tanto. Lo usa autorevolmente per modellare un futuro che non esiste finché non arrivi. E’ per dirla con Lollo la “sostituzione tecnica”, una futurologia invasiva e presuntuosa forgia mentalità, diffonde messaggi fuorvianti, istiga le giovani generazioni a scioperare di venerdì a scuola e a imbrattare i muri durante il weekend. Poi ci si rende conto che l’appello al rigore dei conti globali o cosmici era infondato, che curve e algoritmi facili non ci guidano lungo una strada sicura, e a un certo punto la stessa immensa macchina mangia-idee, mangia-criteri e mangia-soldi che spinge i governi alle loro retoriche spesso farlocche fa marcia indietro e ci informa che erano tutte balle o possibilità invece che probabilità statisticamente dimostrabili quando l’arte o tecnica dei numeri è versata al futuro.
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