università costrette a scusarsi
Il video sul razzismo in treno è l'esempio che sui social abbiamo sostituito lo sputtanamento all'empatia
L'episodio che ha riguardato una ragazza americana e tre ragazze ventenni dimostra che il potere dei senza potere si è ridotto a questo: riprendere i cafoni chiedendo la loro testa su TikTok e finire dalla parte del torto (ma con qualche hashtag e tanti like)
Partiamo dai fatti: hanno tutti torto. C’è una ragazza americana di origini pachistane, Mahnoor Euceph, che prende un regionale Milano-Como (tragico errore) e si ritrova in mezzo ai maranza e alle mean girl ventenni, le quali, imbambolate dalla stupidera, prendono in giro il suo fidanzato asiatico imitando i cinesi e sghignazzando in quel tipico modo fastidioso delle ragazze. Questo perché le ventenni sono potenzialmente tutte Samantha Cristoforetti ma molto più probabilmente non le vuoi sedute di fianco a te.
Nella sua ricostruzione dei fatti, che è poi l’unica che conta qui, l’americana si avvicina alle ragazze italiane, chiede loro di smettere di rompere i coglioni e quelle rincarano la dose. L’americana fa ciò che abbiamo visto fare tante volte negli ultimi anni, da democratici e repubblicani, sia quando c’è un pazzo che sbraita contro i gay al centro commerciale, sia quando c’è un nero nel vialetto: tira fuori il cellulare e sputtana sui social (che è sempre meglio che sparargli). E scrive: “Spero che voi italiani possiate rintracciare queste ragazze e svergognarle“
Il potere dei senza potere si è ridotto a questo: riprendere i cafoni chiedendo la loro testa su TikTok e finire dalla parte del torto (ma con qualche hashtag e tanti like). Siccome cambiano i social ma rimaniamo una società di mentecatti, stiamo sempre con quelli che “allora ti filmo e ti sputtano”. “Stiamo” nel senso che è la minoranza rumorosa che inizia a raccogliere la chiamata dell’americana alla gogna pubblica. D’altra parte mica poteva chiamare i carabinieri. Pronto polizia ci sono delle ragazzine che ridono di me, correte. Capiranno l’inglese? Meglio fare un video, per non passare per mitomane e documentare tutto (ieri hanno trovato una colf insanguinata in strada e si cercava l’aggressore ma le telecamere hanno ripreso la scena: s’è presa a mattonate in faccia da sola).
Registri il video per documentare sì, ma poi lo pubblichi, magari in prospettiva d’alzare qualche follower e passare da quei video banali in cui Mahnoor Euceph si truccava gratis ai video banali ma pagati in cui si trucca per lo sponsor (sogno d’essere insultato, riprendere tutto e pubblicare passando per vittima, l’unico modo in cui poter essere famoso senza talento, e fare tantissimi follower così da guadagnare dalle pubblicità come i miracolati dei social).
Il video funziona, milioni di volte. C’è il razzismo, la strafottenza e l’ignoranza giovanile, l’accusa all’Italia. L’americana dice che le hanno rovinato il viaggio (prossima volta: carrozza silenzio sull’executive). Ma dice anche una cosa più sorprendente: lei e il suo ragazzo non hanno mai vissuto tanto razzismo. E vivono negli Stati Uniti. A questo punto vengono in mente almeno due cose.
La prima è che se io fossi minimamente empatico, parola ricattatoria che è passata da “comprendo l’esperienza umana” a “hai ragione tu perché se io fossi in te vorrei mi dessero ragione”, dichiarerei che non posso sapere cosa si prova ad appartenere a una famiglia asiatica in giro per l’Italia. Una risata può far male (sì, ma pure viaggiare con i poveri non scherza).
Ma non dirò questo. Prima di tutto perché da ricchione di provincia ho conosciuto la cattiveria e ho sufficienti punti emarginazione da guadagnarmi il diritto di parola. E poi perché è vero che una risata può ferire (se non hai superato i sedici anni) ma è ancor più vero che internet consente la rivincita sui bulli trasformandoti in un bullo anabolizzato. Cosa ci fa credere che fare gli stronzi con gli altri per vendetta sia meglio? La seconda, che mi interessa di più, è questa: non per minimizzare, ma se l’apice del razzismo son tre sfigate che ti ridono in faccia, puoi ritenerti fortunata.
Nessuno glielo dice. Perché hanno tutti la coda di paglia a fuoco e sono convinti che quelle ragazze rappresentino la nazione. Si scusano “a nome dell’Italia”, come fossero Mattarella, la invitano in ogni città, in ogni casa, manca poco le vendano i figli. L’americana però non cerca ospitalità, cerca vendetta.
La folla scopre come si chiamano le tre maleducate, dove lavorano, quale università frequentano (pieno di gente senza un cazzo da fare, come saprete l’Italia è un paese molto competitivo). L’americana, che ha la stessa idea di giustizia privata che hanno quei proto-leghisti che inseguono le borseggiatrici in centrale, aveva un solo desiderio: rovinate la loro reputazione. Il confine tra prenditi la responsabilità e se non lo fai ti manganello, non si vede più.
È nel bel mezzo di questo delirio che succede qualcosa che sorprende e passa quasi inosservata: Bicocca e Cattolica, spinte a rispondere ai commenti come fossero due pizzerie coi clienti inferociti per la pizza col bordo bruciato, sentono l’urgenza di dissociarsi dal razzismo e da ogni forma di discriminazione (mi hanno fatto rimpiangere le bacchette e i cannoli di D&G). Scrivono che esamineranno il caso per “eventualmente sanzionare” i responsabili. Forse le Università sono diventate i nuovi asili nido per incentivare la natalità.
Questo articolo è già stato scritto un milione di volte. Con la differenza che siamo all’inversione rispetto a pochi anni fa quando se non ti pubblicavano sui giornali potevi scrivere le tue verità sui social. Oggi se scrivessi queste cose sui social sarei bandito a vita. (Elon Musk avrebbe risparmiato comprandosi un giornale anziché inseguire Twitter). Se però ti attieni a un linguaggio consono puoi essere libero, libero di chiedere la mia testa, o la testa di chi chiede la mia testa, e così potenzialmente all’infinito fino a che c’è banda o tempo libero. Empatia?! Abbiamo da tempo stabilito che i social non ci servono a capire l’altro, ci servono a punirlo.
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