Storia del cabaret milanese - 2
Da comici a barboni: la grande purga dello Zelig
Sul palco solo con la tessera di Democrazia proletaria, o se davi metà compenso al partito. Milani c’era, ma forse ricorda male
All’inizio, fine anni Ottanta, lo Zelig era uno schifo, parlo come palco e locale in sé. Appena entravi c’era un odore di vino da far paura. Penso che in parte fosse dovuto sia a Giancarlo Bozzo che ai suoi sodali Gino Vignali, Michele Mozzati e Nico Colonna. Bevevano di tutto, dal Fernet alla grappa al mirtillo distillata nel cortile davanti al locale. Una vergogna. Chi poteva immaginare che quella porcilaia (con rispetto parlando) sarebbe diventata una holding dello spettacolo. Inutile elencare gli artisti che da Zelig sono diventati star del cinema. Un nome: Silvio Orlando. Penso che tanti non lo sappiano, ma ha iniziato come cabarettista in viale Monza. Gli ho anche ciulato il portafoglio in camerino. Non contento, ho fatto ricadere la colpa su un giovane cameriere nigeriano che purtroppo, anche se comunista, venne ingiustamente licenziato. A quel punto mi dispiaceva e dissi ai padroni del baraccone: “Amici! E’ innocente! Sono stato io a ciulare il portafoglio a Silvio Orlando!”. Padroni della baracca: “Non è vero! Fai così per salvarlo, ma anche se iscritto a Lotta Continua, lo dobbiamo lasciare a casa”. Io: “A questo punto fate non bene, benissimo!”.
In quegli anni avrei scommesso (la casa) sul successo di alcuni artisti. Meno male. Ricordo il Trio Reno di Bologna, erano troppo bravi. Invece… Pongo (Massimo Pongolini), grandissimo, già attore nei film di Celentano anni Ottanta. Io, sembravo chissà cosa, invece… ridotto allo stato laicale dal pubblico (che ha ragione). Altri nomi non facciamoli per educazione. Ma sì, invece: Giorgio Melazzi, veramente bravo; Giorgio Ganzerli, bravissimo; che, invidia a parte, ti chiedi, come fanno ad aver successo (e qui non faccio nomi) colleghi che adesso su TikTok ne trovi a migliaia, e Melazzi e Ganzerli o Carlo e Simone, piuttosto che i Papù o Rinoceronte? Misteri! Come nel calcio e in tutto il resto.
In questi giorni si apprende che lo Zelig e società della holding stanno fallendo, tipo 36 milioni di debito. Anche qui uno si chiede: ma come fai? Nemmeno a fare apposta! O avete fatto apposta? Se è così, avete fatto bene! Come diceva alla fine di ogni serata il brigante Gasparone: amici vi saluto, carico su il rame (sinonimo di malloppo a metà ’800) e chi si è visto si è visto. Vado sul lago di Como presso villa Carlotta a potare le betulle, senza permesso della sovrintendenza delle Belle arti. Che allora non esisteva. Ma c’era un altro ente che rompeva le balle uguale. Un mito da sfatare: mentre allo Zelig tutti quelli che contavano erano comunisti, al Derby no! Figuriamoci il brigante Gasparone, per lui Marx era un pirla.
Per quanto riguarda la storia del cabaret africano, non è ancora stata scritta. Anche perché hanno iniziato ieri a fare i cretini nei locali sulle rive dello Zambesi. Noi più modestamente facevamo i deficienti sulle rive della Martesana, il naviglio più romantico e completo di Milano. La Martesana, detta gentilmente la fogna di Milano. Quando la svuotano, trovano dentro anche i vasetti di miele invenduti. I cabarettisti dello Zelig negli anni Novanta tenevano nel cortile del locale delle casette di api. Il miele, chiamato CONGO BELGA, veniva venduto a km zero. Ma anche a km 1.500… In privato, se uno lo voleva ad Ankara, non c’era problema a spedirlo. Gino e Michele (i padroni), dicevano: “Bisogna diversificare gli investimenti, così se fallisce un settore, stiamo in piedi con l’altro”.
L’attività di vendita miele e polline fallì subito. Con sigilli dell’autorità sanitaria. Non si avevan i permessi per vendere alimentari. Inutile dire che un intero magazzino di vasellame di miele (Millefiori) venne sbattuto nel naviglio. Sia Martesana sia alla Darsena. Questo per un semplice motivo. Se tiravano i 150 bancali di vasetti di miele tutti nella Martesana si formava una chiusa. L’acqua del canale non scorreva più e l’intero quartiere di Gorla-Turro veniva inondato. Cosa mai successa nemmeno ai tempi di Leonardo, che di pasticci idraulici a Milano ne ha fatti di più di Bertoldo. Quindi, una notte, Gianni Fantoni e io, su un furgone (con targa araba) abbiamo caricato due terzi delle scorte di miele invendute. Parliamo di decine di quintali. Lo sversamento è avvenuto senza problemi in viale Gorizia. Appunto nella Darsena, il porto di Milano. Tanti che hanno visto ci hanno applaudito. Fantoni da galantuomo: “Non è il caso! Non siamo a teatro”. Ma la gente è andata avanti ad applaudire e chiederci il bis. A quel punto per non offendere si è buttato nella Darsena un discreto numero di sedie e tavoli del Comune. (Non ho capito ancora oggi cosa ci facessero lì; penso per un convegno il giorno dopo).
Ma dicevamo del cabaret africano che non è mai decollato. Lo Zelig, negli anni d’oro, aveva aperto diverse filiali in tutta Italia. Con laboratori per imparare a fare il cretino. Tramite il terzomondista Gabriele Salvatores, venne aperta una filiale di cabaret a Rabat. Però, vuoi le difficoltà degli aspiranti comici ad attraversare il Ciad, vuoi gli ippopotami che caricavano sulla strada, e altri problemi legati alla Siae africana, il cabaret non è mai decollato. Anzi, è regredito. Aveva una tradizione. Arrivati questi sapientoni di sinistra, con la supponenza di aver letto Pennac… Hanno rovinato quel poco di buono che c’era dell’umorismo africano. Inutile dire che Daniel Pennac non fa ridere.
Nel 1999 venne a Milano a suonare il suo clarinetto quel mezzo imbecille di Woody Allen. Informato che qui in Italia stavano facendo un sacco di miliardi con il nome di una sua opera chiese: “Non per mancare di rispetto al comunismo, ma una fetta di torta per me non c’è? Anche perché se non arriva mezza torta vi faccio causa”. Non so se le minacce portarono al risultato. Penso che un accordo segreto ci fu. La stagione 2000-2001 la ricordo benissimo. In bacheca, dove c’era la programmazione mensile, c’era un “editto”. Venivano epurati del locale tutti i comici non dichiaratamente di Democrazia proletaria. Anzi, vendoliani. Niki Vendola iniziava a incantare con il suo eloquio (fine a sé stesso) i miliardari comunisti. “Non graditi in questo locale”, seguivano i nomi:
- I Papu (duo bravissimo)
- Gianni Fantoni
- Rino-Ceronte (bravo di Parma)
- Carlo e Simone
- Carlo Barcellesi (io)
- Marco del Conte (Novara)
- Diego Parassole (Alessandria d’Egitto, almeno così diceva lui, a me risultava di Carpi)
- Gabriele Cirilli.
La lista è lunga e la pubblichiamo completa, sono 130 nomi, sul sito del Foglio. In pratica, sul palco dello Zelig dovevano andare solo artisti che poi davano metà compenso al partito. (Mani pulite era di anni prima, ma giustamente andava avanti). Che, parlo per me, ma se ci avessero detto Gino e Michele: “Amico! Non è tanto quello che guadagni qui; ma quello che (lo Zelig) ti porterà a livello di cinema, televisione, editoria, teatro, ecc. Quindi se dai la metà dei compensi al partito lavori… Altrimenti vai a fare il pane. Qui in viale Monza c’è un panificatore che cerca un garzone…”. Ecco, se avessero parlato così, io avrei risposto: “Ma amici, non scherziamo, vi giro al partito il 75 per cento dei soldi che mi farete guadagnare”. Cari lettori, chi non ci starebbe su 2 milioni di euro che ti fanno guadagnare, a restituirne 1,3? Poi in nero, che voglio dire è sempre bello prenderseli. Trovi anche più facilmente la compagna per dividere la vita. Purtroppo non è andata così. Adesso parlo per me e Gianni Fantoni: siamo due barboni. Inutile nascondere la verità. Profetica è stata l’intervista che Gianni fece al Maestro Paolo Villaggio. A un certo punto, è Villaggio a chiedere a Fantoni: “Hai mai chiesto la carità?”.
Fantoni: “No!”.
Paolo Villaggio: “La chiederai”.
Da grande tragico aveva visto giusto, attualmente Fantoni ed io chiediamo l’elemosina in stazione a Ferrara (alla mattina). Al pomeriggio ci spostiamo a Milano Rogoredo senza comprare il biglietto del treno per andare a Milano. Quello è inutile dirlo. Anzi è il controllore stesso che quando noi vogliamo esibire il documento di viaggio ci dice: “Non è necessario! So che siete stati discriminati dai miliardari comunisti, ho il permesso della direzione FS di farvi viaggiare gratis in tutte le tratte di R.F.I.”.
A proposito del grande Fantozzi, nel 1991 doveva condurre un programma comico sulla rete 3. Era l’era di Angelo Guglielmi… di Bruno Voglino, di Romano Frassa, di Chiambretti, di “Telefono giallo” e balle varie. Lo ricordo benissimo ai bordi del palchetto di viale Monza. “Provinava” i giovani comici. Mi stupiva che non guardava l’esibizione, avendo a un metro l’artista. Guardava i monitor che lo riprendevano. Ai piedi del palco. Forse per vedere se veniva bene in tv… che poi quasi tutti venivano male, avendo la faccia da pirla (uno, dispiace dirlo, ero io). Il programma non andò in porto, anche perché Villaggio non si fidava di Gino e Michele e soprattutto dell’allora presidente della provincia, che nemmeno sapeva cosa facevamo. Per cui non c’era il motivo di diffidare… L’anno dopo il progetto venne ripreso con Paolo Rossi capocomico con il vergognoso programma “Su la testa”. Un progetto demenziale, portare il cabaret nelle periferie. Che se gli autori non fossero stati comunisti veniva chiuso dopo una puntata, per me, giustamente.
La prova? Dario Vergassola, uno dei pilastri dello storico Zelig, visto il progetto si defilò. Mi ricordo anche le sue belle parole: “Che brutto programma quello di Rai 3 di Paolo Rossi. Piuttosto che partecipare rimango all’arsenale di La Spezia a fare le pulizie dentro i sottomarini quando sono fermi”.
Che voleva dire; non fare niente. Essendo l’Italia priva di sottomarini, ne aveva uno: il Toti, ma è al museo della scienza e della tecnica e lo pulisce mia zia della cooperativa di facchinaggio. Ieri licenziata per aver ciulato una statuetta greca, è andata a lamentarsi alla Cgil oggi. Dovrebbero darle ragione, le statue greche a Milano, le signore delle pulizie dentro al museo della tecnologia le hanno sempre ciulate. Perché interrompere una sana tradizione?
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