Contro il pacifismo strabico
I tiranni cadono grazie alla solidarietà del mondo libero e al coraggio dei dissidenti, ma quelli russi non compaiono negli appelli dei pacifisti italiani. È un pacifismo che ricorda quello filosovietico: non crede nell’efficacia della non-violenza per fermare Putin, e così chiede il disarmo di Kyiv
Natan Sharansky, insieme ad Andrei Sacharov uno dei principali esponenti della dissidenza sovietica degli anni Settanta, che passò nove anni in un gulag siberiano per le sue battaglie per i diritti umani in Urss, oggi ricorda che ci sono due condizioni necessarie per far cadere i tiranni come Putin: la prima è la presenza di dissidenti politici disposti a sacrificare la propria vita per la libertà, come stanno facendo molti prigionieri politici come Vladimir Kara-Murza, Alexei Navalny e Ilia Yashin; la seconda è la solidarietà attiva dei leader e dei cittadini del mondo libero: “È nel contribuire a forgiare questa solidarietà che i dissidenti hanno davvero un ruolo storico da svolgere”.
Purtroppo accade una cosa singolare. I dissidenti russi, coloro che si oppongono pacificamente alla guerra all’Ucraina scatenata da Vladimir Putin, vengono completamente ignorati dai nostri pacifisti. Non vengono menzionati, è come se non esistessero. Nell’appello lanciato da Michele Santoro, e sottoscritto da molti intellettuali di sinistra, non c’è una sola parola per chi si batte contro la guerra di Putin e per una Russia democratica, anche a costo di sacrificare la propria libertà e la propria vita. L’appello alla base della “Staffetta della pace” era rivolto, proprio nell’incipit, “a chi è contrario all’invio di armi in Ucraina”. Non a chi vorrebbe fermare l’invasione russa, ma a chi vuole fermare la resistenza ucraina. La Russia non è mai citata, Putin solo una volta, per la premessa di rito sulle sue responsabilità nell’invasione, subito seguita dal “ma” che condanna la Nato e gli Stati Uniti per “l’escalation” che “trasforma un conflitto locale in una guerra mondiale strisciante”. L’invasione di Putin non poteva non essere citata, ma è evidente che l’obiettivo politico e retorico del movimento pacifista è l’occidente: il bellicismo della Nato e la “subalternità” dell’Europa agli Stati Uniti. Se questi sono gli ostacoli alla pace, disarmare l’Ucraina è la soluzione.
Nulla di nuovo. Fa parte di una lunga tradizione della sinistra comunista. Ermanno Rea, nel romanzo “Mistero napoletano”, che racconta il Pci degli anni Cinquanta, lo definiva “pacifismo strabico e pesantemente strumentale”. Rea racconta come nel Dopoguerra il movimento pacifista, inizialmente spontaneo, fu “egemonizzato dal Pci” e “assunse quel tanto deprecato carattere di spinta unilateralità (demonizzazione dell’occidente, e dell’America in particolare, e divinizzazione dell’Urss e dei suoi alleati)”. Si tratta di un’epoca storica molto lontana da quella odierna: non c’è più l’Unione sovietica e non c’è più un Partito comunista legato a doppio filo a Mosca. Ma nel “pacifismo strabico” resiste ancora un tratto ideologico comune.
Nei cortei della Festa della Liberazione, lo scorso 25 aprile, sono apparsi striscioni dei “Partigiani della pace”: si tratta di un’organizzazione pacifista, che raccoglieva importanti intellettuali di sinistra, promossa dal Pci e dal Psi sotto le indicazioni dell’Unione sovietica, in particolare per iniziativa dell’ideologo dello stalinismo Zdanov, con l’obiettivo di estendere attraverso il pacifismo l’influenza sovietica su gruppi sociali non strettamente comunisti e di ostacolare l’integrazione economica, politica e militare dell’occidente. I Partigiani della pace si opponevano ad esempio al Piano Marshall, erano ovviamente contrari all’adesione dell’Italia alla Nato, ma si opponevano anche alla Ced (la Difesa comune europea) sostenendo che fosse solo “una formula per camuffare la rinascita di un esercito aggressivo tedesco”, tanto che gli Stati Uniti avrebbero dato il comando della Ced al “criminale di guerra, feld-maresciallo nazista Kesselring”. Quando nel 1950 la Corea del nord invase la Corea del sud, il movimento pacifista protestò contro la Nato e in particolare contro il sostegno militare degli Stati Uniti alla Corea del sud aggredita.
Per lo storico russo Victor Zaslavsky, “storicamente la creazione del movimento pacifista, organizzato come movimento dei partigiani della pace, fu il capolavoro della politica estera e della propaganda stalinista”. Non a caso, a due leder del movimento pacifista come il segretario del Psi Pietro Nenni e don Andrea Gaggero l’Unione sovietica assegnò l’ossimorico “Premio Stalin per la pace” (che Nenni restituì dopo l’invasione dell’Ungheria nel 1956). Questi elementi, che hanno permeato il movimento pacifista composto in stragrande maggioranza da persone in buona fede e inconsapevoli dell’influenza di Mosca, sono proseguiti anche alla fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, con la crisi degli euromissili, quando l’Urss tentò di usare il movimento pacifista per impedire alla Nato il dispiegamento nell’Europa occidentale dei missili Pershing in risposta ai missili balistici SS-20 che Breznev aveva puntato contro l’Europa. All’epoca nacquero, sempre sotto spinta sovietica, i “Generali per la pace”, un gruppo di ex alti ufficiali Nato (tra cui l’italiano Nino Pasti, parlamentare del Pci) che attaccavano l’occidente per la “corsa agli armamenti” e l’aggressività nei confronti dell’Urss.
Naturalmente ora non ci sono legami organici e ideologici con Mosca, sebbene all’epoca venissero nascosti. Ma questo pacifismo ha mantenuto come tratti comuni l’antiamericanismo, lo strabismo e il disarmo unilaterale dell’occidente. E non c’è dubbio che l’attivismo di questi movimenti faccia ora comodo a Putin, come faceva comodo a Stalin e a Breznev. Anche perché, sotto la patina di idealismo, questo pacifismo strabico è permeato di cinismo. Lo ha spiegato Marco Travaglio, che non ha il difetto dell’ipocrisia, in un editoriale a supporto della “Staffetta per la pace”: dire che la manifestazione “dovrebbe premere anche su Putin perché si ritiri non ha senso: Putin lo votano i russi; i guerrafondai Meloni, Salvini, B., Schlein, Renzi e Calenda li votano gli italiani”.
Il direttore del Fatto quotidiano ha il pregio dell’onestà nel definire la natura cinica del pacifismo che chiede lo stop alla fornitura di armi a Zelensky. È un pacifismo che non confida nell’efficacia della non-violenza per far ritirare le truppe russe, e quindi si comprende perché non ci sia alcun sostegno per la lotta pacifica dei dissidenti russi. Ma se Putin non può essere fermato con le buone e si esclude di farlo con le cattive, è chiaro che l’unico modo per fermare la guerra è fare pressione sulle democrazie occidentali affinché ritirino il supporto all’Ucraina per costringerla a una resa. Si può arrivare a una “pace” anche disarmando gli aggrediti, ma è il tipo di pace che piace ai tiranni.
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