scala mercalli
La mia ossessione per Luca Mercalli, climatologo cataclimatico con il papillon
Il commentatore insiste sul “ground zero della megasiccità”, ma qualche dubbio sulle colpe dell’uomo viene anche a lui
Sono un appassionato lettore di Luca Mercalli, climatologo cataclimatico con il papillon. Stamane dove vivo si rischiava l’annegamento appena messo un piede fuori casa, c’erano dieci gradi a mezzogiorno, i cani chiusi in casa, comprare il pane un problema e, come diceva il poeta S. T. Coleridge alla fine del Settecento, water water everywhere / nor any drop to drink. La Scala Mercalli è in verità una mia ossessione. E le vere ossessioni non deludono mai. A un certo punto diventano paranoie e non hanno rivali. L’anglospanglish Peter Gomez tenta anche lui, per la verità, la sua scalata al cielo, con un fascicolo imponente di una specie di The Atlantic del Fatto eurasiatico, intitolato “non piove, governo ladro”. Ma non è concorrenziale.
Sono giorni e giorni che il commentatore climatico mio preferito insiste sulla siccità, ma che dico la siccità, lui lo chiama il “ground zero della megasiccità”. Cita rapporti molto significativi, menziona dati efferati sui trenta gradi in Siberia (gli sta bene, ai siberiani), sulla Spagna secca peggio della Mancia del Chisciotte, sul Piemonte derelitto con il Po spiaggiato, i canali di Cavour interrati, il cuneo salino che dal mare arriva alla Gran Madre di Dio, sotto piazza Vittorio Veneto, l’agricoltura in ginocchio, la sete imminente, la neve riarsa trasformata in sabbia sahariana. E’ che per la Scala Mercalli, mai sostituita dalla Signorina Richter, “la natura non funziona più”, causa riscaldamento globale, che come qui annunciato già vent’anni fa non è affatto incompatibile con il raffreddamento locale. Io vivo nella speranza escatologica di un’estate fresca o almeno accettabilmente calda per il solo gusto di smentire Luca; cosa non facile perché con quella storia da Nobel, e il papillon harvardiano è il dettaglio che convince, quella storia del clima che c’entra un cazzo con il meteo, qualunque situazione è riconducibile ai fenomeni estremi causati dall’homo perfidus, cattivo, senza fede, che non vuole accettare la verità dogmatica fissata una volta per tutte e si ostina a scaldare il pianeta con le emissioni delle auto e delle vacche.
Con il caldo, scrive Luca Mercalli, l’acqua evapora in fretta, la neve di montagna non dura (“solo sulle Alpi Giulie nevicate di primavera hanno portato il manto nevoso a superare i tre metri”, ma-con-gran-pe-na-le-re-ca-giù era la filastrocca per designare la partizione delle diverse filiere montuose alpine, per i meno piccini). Il cataclimatico non è sprovvisto della dote liberale del dubbio, dev’essere un liberale senz’altro, perché annota: “L’attribuzione di questa situazione meteorologica anomala (le stagioni, ndr) ai cambiamenti climatici generati dalle attività umane è complessa”. Si vede che sotto sotto è un lettore di Giulio Meotti se non addirittura di Franco Prodi. Ma alla fine ama insistere sulla “siccità calda a scala plurimillenaria”, sebbene un residuo di ragione gli consigli di attenuare l’assertività con queste parole: “Invece dal punto di vista della durata del periodo senza piogge significative è più difficile avere un riferimento certo precedente alle misure pluviometriche. Esistono numerose cronache qualitative, ma si sa che la descrizione soggettiva in mancanza di strumenti di osservazione può risultare ambigua”. Non ha torto la Scala Mercalli quando dice che sono cambiati i venti, le nuvole si spostano a caso, e che rischiano di tornare i tempi in cui don Bosco raccontava la morte per fame e siccità dei poveri di primo Ottocento, con l’unica differenza che ora ci sono i supermercati, le pensioni sociali, e le tende primaverili per gli studenti. Sulla Scala della Signorina Richter, questo si chiama un progresso.
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