Il racconto
Da Calimero al Buondì, il progresso della promozione dei prodotti
Ecco gli spot più scorretti ed esilaranti della storia della tv. Quando la pubblicità non aveva l’obbligo del politicamente corretto e non esisteva ancora il #Metoo
Altro che “anima del commercio”, come dicevano i nonni, chiamandola però réclame. La pubblicità trascende le categorie di usi e consumi. Svela e rivela mentalità, mode, modi di vita, visioni del mondo e di come è cambiato, non necessariamente in meglio. Pensiamo al politicamente corretto: agli occhi dei nostri cari indignati speciali in servizio permanente, una bella percentuale delle pubblicità del passato remoto o anche prossimo risulterebbero appunto scorrette perché sessiste, razziste, cattiviste. C’è solo l’imbarazzo della scelta e talvolta, in effetti, la scelta è imbarazzante.
Prendete l’America felix degli anni Cinquanta e Sessanta, che le pubblicità coeve raccontano come un film con l’allegra famigliola di Rock Hudson e Doris Day che la domenica invita a pranzo il parroco nella linda villetta con il prato tagliato di fresco (con il senno e le rivelazioni di poi, lui risulta un po’ improbabile come integerrimo pater familias, ma tant’è: l’ipocrisia è un vizio privato ma una pubblica virtù). Riviste oggi, provocherebbero subito una generalizzata rivolta woke, magari anche con editoriali scandalizzatissimi e le immancabili richieste di censura, sempre però negando che di censura si tratti. Lì le donne devono soltanto sorridere, cucire e cucinare per mariti altrettanto sorridenti anche quando vanno in ufficio, ma che è meglio non irritare con qualche inefficienza domestica. Altrimenti ci arrabbiamo, come avrebbe detto la coppia Bud & Terence. Succede nella pubblicità del caffé Chase & Sanborn, dove la moglie colpevole di non aver scelto il chicco migliore viene sculacciata dal marito in bretelle. Lei però è curatissima, elegantissima, fresca di permanente, housewife per nulla desperate, per cui questa réclame dell’epoca di Eisenhower oggi sembra semmai un gioco erotico. Stereotipi di genere? Sì, grazie. Così la birra Schlitz, nel 1952, mette in scena la sposina che ha bruciato il pranzo e naturalmente è desolata ma pur sempre impeccabile. Stavolta il marito la consola, virilmente protettivo: “Non preoccuparti, darling, non hai bruciato la mia birra”, virando su un nonsense quasi già da teatro dell’assurdo. Ma si sa, la brava casalinga del Midwest non brilla per capacità intellettuali, e per lei già capire come si apre il tappo della bottiglia di ketchup è un’impresa. Però nel ‘53 ci riesce benissimo con quello griffato Del Monte, un tappo, si direbbe, a prova di idiota. Anzi, si dice proprio: “Vuoi dire che una donna (sottolineato, ndr) può aprirlo?”. Naturalmente, c’è il rovescio della medaglia: il maschio dominatore, appena lo metti ai fornelli, si rivela una frana. E così, nel ‘57, la Aunt Jemima pubblicizza un prodotto per preparare il pane in casa (purtroppo mettendoci anche la foto. Dacci oggi questo pane quotidiano? Per carità) con questo slogan: “Girls, scommettiamo che a preparare un pane così riesce anche tuo marito?”.
O tempora. Anche in Italia, nella fausta stagione di Carosello, non si era da meno: politicamente scorretto che nessuno però considerava tale, tanto più che lo si lasciava a portata di bambini, infatti spediti a letto subito dopo (che paese, però: che attori e sceneggiatori meravigliosi, che inventiva, che fiducia ancora intatta nelle magnifiche sorti e progressive in quell’Italia diccì, e insomma cosa aspettate a ridarci le convergenze parallele e le caute aperture, siamo qui, open to meraviglia). Così Virna Lisi, sfolgorante in tailleur e filo di perle da sciura chic come Candida Chedenti accanto a un Enzo Garinei signor Prudenzio, sbatteva l’occhione azzurrissimo chiedendo stordita: “Ho detto qualcosa che non va?”. Ma no, “con quella bocca può dire quello che vuole”, la rassicurava la voce fuori campo. E Calimero, il pulcino “diversamente bianco”? Macché inclusività, united colors of Benetton, diritto al lusso anche per gli unicamente neri delle cooperative benefiche: il tenero pulcino finisce nel mastello della brava massaia e viene decolorato, tipo Michael Jackson dopo il tremillesimo intervento di sbiancatura. E gli fanno pure la morale: “Vedi Calimero, tu non sei nero, sei soltanto sporco”. Ma in un paese allora monoculturale, senza immigrazione, forse ancora un po’ nostalgico delle faccette nere, non c’era alcun motivo di scandalo, nessuno fece un plissé e Calimero diventò, giustamente, uno dei personaggi più amati del teatrino di Carosello. Ma già il Sessantotto incombe, la rivoluzione sessuale è alle porte, l’Italia, pur restando democristiana, è meno cristiana. I cattolici si indignano per il “Chi mi ama mi segua” sugli short ridottissimi che coprono il ragguardevole lato B della modella dei jeans Jesus: pubblicità che oggi non farebbe né caldo né freddo, ma che allora qualche brivido lo provocò. Al confronto, fece meno scandalo il celebre bacio fra prete e suora di un Oliviero Toscani dei più brillanti, ovviamente per Benetton.
Questo del sedere femminile come ineffabile ma infallibile testimonial è sessismo? Certamente sì, ma non ha impedito che almeno due spot diventassero celeberrimi. Il primo è quello delle caramelle Morositas, la titolare Cannelle, l’anno il 1988, lo slogan “La vera mora, la più desiderata”. Ma almeno della nera fanciulla si vedeva la faccia. L’intimo Roberta, sette anni dopo, non svelò invece quella della diciassettenne svizzera Michelle Hunziker, cosa che non le impedì di fare una lunga e brillante carriera televisiva sotto il Canton Ticino. Tanto che la signora, che è intelligente e anche ironica, non solo ci ha risparmiato i consueti pentimenti, ma ci ha pure giocato: l’anno scorso, in vacanza alle Maldive, ha postato una foto dov’era ritratta dallo stesso lato, e dove si è potuta constatare, dopo più di un quarto di secolo, la stessa intatta, marmorea compostezza di questo capolavoro della genetica elvetica (del resto, informano i giornali people, il programma di fitness via social della signora si chiama “Iron ciapet”, ciapa su – appunto – e porta a casa).
Eh, questo sessismo. Colpisce ancora e sempre. Come non ricordare, anche in epoche meno isteriche dell’attuale, il putiferio per una celebre pubblicità di Dolce & Gabbana, con un gruppo di bonazzi seminudi che circondano una bonazza invece vestitissima a terra: istigazione allo stupro, si disse allora. Pure Tom Ford è stato molto discusso in almeno due occasioni: la boccetta di profumo messa proprio lì, a celare quella che Courbet avrebbe chiamato “l’origine del mondo”, e la modella nuda che stira velocemente i pantaloni di lui che legge il giornale in smoking, già pronto per uscire. Mentre l’amaro del Capo metteva in primo piano una fanciulla dalle labbra molto rosse e molto turgide con lo slogan: “Fatti il capo”, e va bene che non impazzava ancora il #metoo. Sempre a proposito di donne oggetto: nel 2010 la Peta, l’organizzazione no profit americana in difesa degli animali, scodellò una Pamela Anderson in bikini con stampati sulle curve i nomi dei vari tagli di carne: “All animals have the same parts”, strillava l’annuncio prima di invitare lo spettatore a diventare vegetariano, anche se la divina bagnina che dice “no alla carne” sembra un po’ Conte che dice sì alla coerenza. Quanto ai saloni di bellezza Fluid, misero una modella elegante su un divano con un uomo alle spalle e la scritta: “Sii bella, qualsiasi cosa tu faccia”. Peccato che la ragazza avesse un occhio nero. Si era già nel 2011, e la cosa fece molto polemizzare. E da noi? Stesso anno, pubblicità per San Valentino del gioielliere Natan. Senza parole, soltanto due foto: nella prima, le gambe di lei accavallate davanti alle mani di lui che reggono un cofanetto chiuso; nella seconda, le gambe di lei aperte davanti alle mani di lui che reggono il cofanetto aperto, da cui sberluccica un anellone.
Poi, è ovvio, ci sono le pubblicità volutamente scorrette. Con tanto di Oscar alla perfidia: i Chip Shop Awards, che dal 2002 premiano le migliori campagne di peggior gusto. Robe tipo la metropolitana di Londra che invitava a suicidarsi a casa invece che sui suoi binari o alla società danese del frisbee che usava come testimonial Adolf Hitler. Noi malvagi ci divertiamo moltissimo, è chiaro. Dispiace per esempio non aver mai visto in Italia lo spot dei preservativi Zazoo del 2007, protagonista un papà al supermercato con il pupo capricciosissimo, prepotente, urlante, che si avventa sugli scaffali e butta tutto all’aria fra lo stupore dei clienti e l’irritazione dei commessi. Primo piano sulla faccia di lui (lui padre, intendiamo), fra il desolato e il rassegnato, e scritta in sovrimpressione: “Use condoms”. Una festa, per chi ritiene Erode uno dei più sottovalutati benefattori dell’umanità. Sempre a proposito dei cari pargoletti, perfida anche la pubblicità del 2013 di un parco di divertimenti svedese, con tre bambini locali ovviamente bellissimi e biondissimi (beh, due su tre, una è bruna, viva l’inclusività) ma in lacrime: “Quest’estate alcuni bambini saranno costretti ad andare in Italia (o a Maiorca, o a Creta). Venite invece al Liseberg Amusement Park di Göteborg”, sai che spasso.
E così siamo alla pubblicità più divisiva degli ultimi anni. Correva l’anno 2017 e Saatchi & Saatchi approntò per il Buondì Motta, prodotto un po’ rétro da rinfrescare, uno spot che fece colare fiumi d’inchiostro e, ovviamente, d’indignazione, tanto che probabilmente ve lo ricordate. Dunque: parco della casa elegantissima di campagna, madama molto chic con filo di perle (sì, anche lei) che sta sistemando un mazzo di fiori sul desco della ricchissima prima colazione, insomma tutto lusso, calma e voluttà, quando sbuca la bambina petulante e rompiballe che recita tutta la tiritera sulla “colazione leggera ma decisamente invitante, che possa coniugare la mia voglia di leggerezza e golosità” (che si diceva? Torna Erode, tutto è perdonato!). La mamma, saggia, pontifica fra una rosa e l’altra: “Non esiste una colazione così, cara, possa un asteroide colpirmi se esiste” e zac!, dal cielo arriva un enorme masso che incenerisce lei, i fiori e la colazione. Sbuca il papà grullo: “Cara, hai visto mamma?”. La bambina ricomincia la sua filippica sulla colazione leggera eccetera, e il babbo: “Non esiste, possa un asteroide ancora più infuocato di questo colpirmi se esiste” e ri-zac!, cancellato anche lui. Poi fanno una brutta fine (lo spot completo è lunghissimo, quasi quattro minuti, in tivù ne andava solo la versione mignon), nell’ordine, il postino, il primario dell’ospedale dove mamma e papà sono ricoverati, anzi l’intero ospedale colpito da un altro meteorite, il prete che celebra le esequie di tutti, per finire la terra polverizzata da un enorme Buondì. Finché un Dio in smartworking, ciabatte e accappatoio, non la ricrea inserendo nel suo computer un floppy griffato “Terra” e addentando, ovviamente, la merendina che ne ha causato l’estinzione. Puro genio, insomma. Ma, con l’abituale passione nazionale per alzare polveroni sul nulla, scatenò una rissa mediatica. Ci furono proteste, polemiche, articoli di fondo, accuse di istigare alla violenza e al femminicidio, mamme arrabbiate che descrivevano figli piangenti (e noi, sempre più malvagi: benissimo, si allargano i polmoni) e l’Aiart, l’associazione cattolica dei telespettatori, parlò di “cattivo gusto dei pubblicitari nel raccontare un momento importante di relazione familiare come quello tra madre e figlia”. Committenti e realizzatori dello spot si difesero spiegando l’ovvio, cioè che si trattava di ironia anche alquanto surreale, perché fra le infinite sventure che ci affliggono non c’è (per ora), la caduta di asteroidi-Buondì. In realtà gongolavano, perché tutta Italia stava parlando del loro prodotto, che è poi lo scopo di ogni pubblicità. Tanto che recidivarono con un altro spot, nel 2022, stavolta firmato Connexia, dove a fare una brutta fine una e trina era una fatina molesta venuta a reclamizzare, anche lei, la colazione gustosa e leggera. “Ma c’è già!”, sbottava il padre infastidito schiacciandola come una zanzara, idem, nelle altre versioni, la madre e la figlia. Anche qui, polemiche e nuova pubblicità alla pubblicità. Bisogna rassegnarsi: la virtù è più noiosa del vizio. Il politicamente scorretto paga. Ed è anche più divertente.
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