Diego de Vargas e la stupidità del social
Grande pubblicitario, ma non di sé stesso, e un addio nobile come una lezione di stile all’ignoranza irridente
Il mondo che considera suo inalienabile diritto infilarsi il coltello in bocca a tavola, anzi che ha sempre ignorato la totale inappropriatezza di farlo, lo scorso weekend si è ritrovato compatto sui social per sbeffeggiare, irridere, calpestare fra le urla e gli sberleffi la morte del duca Diego de Vargas Machuca e la lunga pagina di necrologi che ne ha accompagnato l’annuncio sul Corriere della Sera. Naturalmente non ne conosceva o minimamente ne sospettava l’esistenza, nonostante fino alla metà degli Anni Novanta Diego de Vargas fosse stato un pubblicitario di grande caratura e uno dei palazzi di famiglia, a Vatolla, nel Cilento, cinquecento anni fa avesse dato riparo a Giambattista Vico per un decennio.
Di origine asturiana, in prima fila nella Reconquista, la casata antichissima è giunta in Italia verso la metà del Seicento, ricca di terre e di cariche concesse da Filippo IV fra cui il governatorato di Capua. Incunaboli e cinquecentine di sua proprietà originaria si trovano sparse in tutte le più importanti biblioteche nazionali, Marciana compresa, e per sintetizzare i de Vargas Machuca sono imparentati con tutte le famiglie di cui non si legge mai sui giornali se non, come da regola, nemmeno più alla nascita ma solo in morte. Appunto.
“Ok, ma chi caz*o è il duca de Vargas Machuca”, titolo di un quotidiano (sic) online, giusto per dire a che punto siamo con la capacità giornalistica di reperire le informazioni anche quando ce ne sono a bizzeffe. E non è stato nemmeno l’epiteto peggiore che sia stato riservato a quell’uomo alto e sottile, gran naso da hidalgo, che nel 1992 prese le redini della Publicis, allora come oggi una delle agenzie più importanti del mondo, ne trasferì gli uffici di fronte alla Rai di Milano che ora accolgono le associazioni di Confindustria Moda, e prese con sé per rilanciarla anche un vecchio sodale, Aldo Biasi, il creativo che vinse tutto il vincibile con gli spot dei Johnny Lambs, quel nick-mimicking di Gianni Agnelli che oggi suona come una nemesi, visto che quel giochetto di nomi oggi si è rivoltato contro a de Vargas nell’unico paese che giudichi la nobiltà, impossibile da contraffare e di cui ornarsi come tentano di fare i cosiddetti marchi del lusso con la storiella dell’heritage, nemmeno ottenibile last minute come i nobili “della scaletta” di Umberto di Savoia che scappava in Portogallo, un affronto intollerabile per il presentismo da TikTok in cui trascorre le proprie giornate e l’orizzonte altezza fuoriserie su cui misura il proprio successo.
De Vargas Machuca lasciò Publicis Italia (all’epoca Publicis Fcb) nel 1996 dopo averle fatto vincere qualche altro premio a Cannes, in una situazione finanziaria non proprio brillante. Tornò ad occuparsi delle sue proprietà e da allora nessuno ha più sentito parlare di lui. Fino a quando lo spirito dell’unico vero nobile che piaccia ai sanculotti nazionali, che è ovviamente il marchese Del Grillo, ma non quello autentico di cui le cronache dell’epoca si affannano a narrare la supponenza, bensì il simpatico cialtrone interpretato da Alberto Sordi, è tornato ad affacciarsi dietro il post di un tizio che di mestiere fa il critico musicale in quella sentina del populismo d’accatto che e’ diventato facebook anzi meta, e si è scatenata una corsa becera all’insulto onomastico che ha toccato le figlie di de Vargas, le amiche, le nipoti “e c’è una che si chiama Laudomia”. Laudomia, che affronto, che spocchia, quando invece si possono chiamare le proprie figlie Samantha e Deborah con la H, condannandole a prendere in faccia tutte le porte di qualunque ascensore sociale dovesse mai aprirsi.